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Il mondo di mezzo del tennis

Finita la partita di Federer, la lounge FIT si popola neanche tanto improvvisamente. Lo svizzero è stato bravo a chiudere velocemente il suo match d’esordio, dopo aver tenuto con il fiato sospeso e con il pollice su Twitter i suoi fan per tutta la mattinata. Bravo Federer a finire il match in fretta, ma anche per aver concluso poco dopo le 13, l’orario perfetto per andare a pranzo. Per i fortunati che possono salire le scale che portano alla terrazza Lounge FIT-CONI senza essere “rimbalzati” dal personale, la tavola era già apparecchiata da ore.

Ad occuparsi del catering, nella terrazza federale dell’unico resto di architettura fascista a Roma nord, è il Forte Marmi, un resort per VIP della Sardegna, la stessa regione che ha dato i natali al presidente della FIT. E insomma mentre Djokovic si allena sotto la terrazza con le poltrone bianche vuote, e un qualche match femminile si conclude nel campo adiacente con i soliti pochi spettatori in tribuna, una fiumana di gente entra in sala, dove noi eravamo stati invitati per un evento che poi, crediamo, non si è svolto, sentendoci quindi imbucati nel regno dei commensali di lusso del Foro.

Tutto è ordinato: i tavoli quadrati e ben apparecchiati, con una posata per ogni portata e il vino servito con solerzia non appena il livello del bicchiere si avvicina al fondo, e lo chef a cucinare ad intervalli puntuali, molto brevi, i culurgiones, una specialità sarda che consiste in pasta ripiena di patate e menta, serviti col pomodoro. 

Qualche commensale dal palato fino si lamenta, a bassa voce, della qualità degli scampi serviti con le orecchiette, buttando un occhio distratto agli ultimi game di Roger Federer contro Sasha Zverev. Andrea Gaudenzi, ex tennista italiano numero 18 ATP, alterna l’inglese e l’italiano a seconda di chi gli rivolge la parola, fra impegni d’affari e semplici chiacchiere di cortesia.

Funzionari della Fit e del Coni, la stessa gente che incontri ad ogni evento delle federazioni dove sia previsto un catering, prendono posto nei tavoli prospicienti la vetrata sui campi periferici, le cui finestre aperte lasciavano passare un godevole ponentino per i trafelati appena usciti dal centrale. Sconosciuti ai più, questi personaggi che governano le istituzioni sportive italiane, non si perdono in chiacchiere inutili e iniziano a riempire i piatti.

foro lounge fit terrazza
La vista dalla terrazza Coni-Fit
Arrivano le icone della FIT per gli eventi: Lea Pericoli in mise giallo chiaro con i soliti occhiali dalle chiare lenti blu a fare pendant con la chioma bionda, e Nicola Pietrangeli, ottuagenario fra i più in forma, occhiale scuro e polo bianca infilata nei pantaloni chinos. Dalla parte opposta della sala, a distanza massima dalla diagonale che taglia in due il quadrato della lounge, prende posto il presidente della FIT. Vestito con un completo beige tendente al giallo, con camicia rosa e scarpe e cinta neri, Binaghi ha la barba di qualche giorno e l’immancabile panama bianco che lo fa individuare facilmente dalle telecamere della “sua” TV. Quando cammina ricorda Sentenza in uno qualsiasi dei film di Sergio Leone.

Siede da solo in uno di questi grandi tavoli quadrati predisposti per dieci persone, dopo essersi riempito il piatto di prelibatezze della sua Sardegna. Qualcuno gli rende omaggio, gli confida qualcosa all’orecchio mentre lui mangia. Sembra infastidito da questi gran commis desiderosi di andare in processione a ossequiare il responsabile della Federazione.

E quindi, nel posto più riservato del Foro, si ritrovano i maggiorenti delle federazioni sportive mischiati a imprenditori ospiti del Coni, prevalentemente maschi e senza un capello bianco nonostante i sessant’anni passati da un pezzo. C’è anche qualche ex atleta, di quelli accasatisi a lavorare per le federazioni sportive dopo una modesta carriera di agonista. E tutti si intrattengono vicendevolmente, sorridendo cortesemente e salutandosi con deferenza, alimentando la rete di relazioni necessaria alla sopravvivenza in questo sottobosco autoconsistente.

Lontani da questo mondo ci sono, invece, gli appassionati di tennis arrivati a Roma da tutte le parti d’Italia, intenti a camminare velocemente nell’affollato viale del Foro dando la mano ai propri bambini, tanta è la confusione in questi giorni. Sono quelli che cercano il primo posto nello stadio Pietrangeli, ché se il tennista è di buon umore magari passa a firmare una palla gigante. E dovreste vedere la determinazione di questi bambini che si sporgono sulla balaustra di vetro, con i genitori che li ammoniscono con l’adagio romanesco “nun te fa male che te do l’altre”. Persone che guardano il cielo pregando che non piova, perché altrimenti questo biglietto pagato a caro prezzo non sarà rimborsato, e che per pranzo hanno i panini da casa se sono famiglie, o fanno la fila ai tanti stand presenti. E lissù, in alto, la lounge federale guarda senza mettere a fuoco questo mondo che vive di sotto.

Preso il caffè, decente al contrario della media romana, è tempo di tornare a guardare un po’ di tennis dal vivo. Scesa la scalinata in marmo per tornare al piano del vecchio Bar del Tennis – ora presidio fisso della BNL dove si accede per pranzo con la preziosa medaglietta al collo “We are tennis” – ci fermiamo a dare uno sguardo agli allenamenti della Halep, neanche tanto “centrata”. Al lato del campo 8 ci sono gli stand di altri sponsor, che hanno preparato qualcosa per pranzo: tartine, bruschette, un po’ di vino. Tutto in tono minore rispetto all’agognata terrazza, la cima della piramide, ma pur sempre un certificato di rango all’interno del sottobosco romano degli eventi.

Il solerte steward apre il cordone che delimita l’ingresso del villaggio ospitalità, “spaventato” dai tanti numeretti del nostro pass: potremmo essere delle persone importanti per lui e invece siamo solamente dei giornalisti. Superiamo la barriera, e finisce il marmo bianco. Ora c’è l’asfalto, la frenesia, il rumore dei passi, le scarpe da ginnastica, l’odore della mortadella, le chiacchiere ad alta voce, gli accenti, i colori. E c’è anche qualche capello bianco.


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