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La cerchia di incestuosa angustìa del giornalismo

Quando i giornali erano su carta la nascita di una nuova testata veniva in genere salutata con una certa simpatia o almeno non con particolare astio. Difficilmente si metteva in dubbio la legittimità di provare a trasmettere la propria opinione, di sperimentare nuovi linguaggi, di esprimere nuovi stili. Nulla di particolarmente arcadico –  i bei tempi andati non sono mai esistiti in fondo – visto che non mancavano certo le critiche tra colleghi di penna, espressi con vigore o con la più sovrana indifferenza. Ma una novità di questi giorni/anni è invece la curiosa pretesa di pensare che il possesso di un tesserino sia una sorta di “patente di scrittura”. Questi “patentati”, giornalisti o aspiranti tali che ogni anno versano una quota all’Ordine dei Giornalisti, una istituzione nata durante il periodo del fascismo, ogni volta che qualche sito, qualche singolo blogger, o che qualche tipo di produzione culturale attraversa il proprio quarto d’ora di celebrità, non importa se meritato o meno, ritengono doveroso far conoscere la propria opinione sul fenomeno.

Sulle modalità ci sarebbe da ridire. In genere prima abbozzano, poi mugugnano, infine esplodono: quelli, gli altri, i “senzatesserino”, sono dilettanti allo sbaraglio, riempono di parole inutili i lettori, abbassano la qualità dell’informazione, rendono impossibile una distinzione tra vero giornalismo e robaccia. Non solo, ma accettando di lavorare gratuitamente fanno dumping e contribuiscono allo sfruttamento di quelli che sono giornalisti veri e, va da sè, di qualità; certificata dal tesserino.

Complici i social network, questi mugugni, invece di rimanere come forse sarebbe successo una volta in camera caritatis sono emersi. Tweet, stati di fb allusivi e poi, finalmente, articoli tra lo sdegnato – per la gloriosa professione macchiata da dilettanti – e il disilluso di chi la sa lunga sullo spirito dei tempi, Che ci vuoi fare? il mondo è questo, si raccolgono pomodori. Alcuni provano a mettere un minimo di cautela, luogocomunando sulla sacralità dell’autore e sul distacco dai lettori che è stata cosa giusta mettere in discussione. Ma aggiungendo che, ohibò, qui si esagera. Il lettore rimane inferiore mica può mettersi a scrivere. Sulla profondità di queste analisi sembra inutile soffermarsi, al massimo possiamo suggerire ai possessori di tesserino di vincere la loro pigrizia e indagare un po’ meglio le ragioni di questo loro fastidio.

Il ristretto mondo del tennis non solo non è immune da questi processi ma sembra fatto apposta per amplificarli. Nonostante la grande popolarità i signori con le racchette continuano a vivere in un mondo in cui ci si conosce quasi tutti, niente a che vedere con il calcio, ad esempio. Col risultato di accendere potenti riflettori sul clamoroso errore di prospettiva che i possessori di tesserino commettono quando provano a commentare l’attività di questi “neofiti”.

Quello che questi giornalisti non considerano – e, verrebbe da dire, non hanno gli strumenti culturali per farlo, il loro mestiere è un altro in fondo – è che la composizione dei nuovi scribacchini non è esattamente come la descrivono. Il tennis, soprattutto il tennis, attrae non soltanto lo studente di terz’anno di scienza della formazione o il frequentante di club di vecchia data a cui piacerebbe tanto scrivere ma che non ha mai neanche compilato una lista della spesa. Ci sono anche loro, certo. Ma accanto a loro convivono i più svariati talenti, gente che scrive da decenni e che con la scrittura ha un rapporto persino più continuo di quelli dei possessori di tesserino. E che provengono spesso da mondi un po’ più colti, ma in ogni caso più riflessivi, di quelli da cui sembra provengano molti giornalisti sportivi e non, e che hanno prodotto col tempo riflessioni acute e interessanti scritte con deciso amore per uno stile non sciatto. E che conoscono il tema molto meglio dei possessori di tesserino.

Non è sorprendente. Non pare ci sia ragione alcuna per ritenere che nel web si dovessero verificare fenomeni diversi da quelli che si verificano sulla carta stampata o in televisione. Così come sulla carta stampata  la presenza massiccia di gente che non conosce minimamente il tema per cui scrive è predominante, allo stesso modo nel web molta gente dà libero sfogo alle proprie pulsioni. Se mai servissero prove, basterebbe aprire un qualsiasi giornale – scegliete pure il campo: dalla politica allo sport passando da spettacoli ed economia – per rendersi conto del terribile stato in cui versa (ma non da oggi eh? da sempre) la scrittura. Ci sono eccezioni, ovvio, e c’è gente che vale la pena leggere. Esattamente come nel web. Ma il discorso potrebbe ulteriormente ampliarsi alla letteratura. Probabilmente i “possessori di tesserino” ritengono che un tempo scrivessero solo Tolstoj e Balzac (che sono abbastanza famosi da essere conosciuti…) e sarebbero stupiti di sapere quanta robaccia ci fosse in giro. O nella musica magari ritengono che Strauss fosse l’unico ad essere famoso e che gli spettacoli teatrali siano stati tutti scritti da Shakespeare (alcuni di loro, pochi, magari diranno anche Shaw).

Fa quasi un po’ pena leggerli. Anche perché in genere questo discorso è fatto proprio da quelli che tanto bene non scrivono e i cui testi non è troppo complicato prevedere saranno vittime della “critica definitiva dei topi” (citazione facile).

(Il titolo dell’articolo è una citazione di Tommaso Pincio: “quella cerchia di incestuosa angustia dove il non conoscersi fra addetti ai lavori è fantascienza”)


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