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A Roma nun ce serve niente

Di tutto possiamo rimproverare il gruppo dirigente della Federazione Italiana Tennis e il suo gran cerimoniere Binaghi, tranne quello di non essere immaginifico. Creatori di una vera e propria cosmogonia da far impallidire Lovecraft (e decisamente più spaventosa di quello dell’uomo di Providence) il tennis visto dalla Sardegna, temporaneamente emigrata a Roma, è uno show quasi quotidiano in cui si agitano personaggi degni della migliore commedia dell’arte. O di un racconto gotico, appunto.

Tra la Coppa Davis che diventa l’unico metro di valutazione di un intero movimento; la cooptazione di ex glorie che lo furono solo fino ad un certo punto e non certo fuori dal raccordo anulare; creazione di canali pronti a dirci tutto del glorioso WTA di Biel, a condizione che non giochino figlie di capelloni dall’accento incerto, seppure grammaticalmente ampiamente all’altezza di quello che si ode dalle parti del Foro Italico la seconda settimana di maggio; carriere rovinate a poveri cristi in cerca di redenzione aiutati da patriottiche magliette e, come si dice, l’elenco potrebbe continuare a lungo, il meraviglioso gruppetto guidato dal presidente del CONI (scusate la parola), come ormai tutti sanno, si è prodotto nell’assalto al cielo: l’attacco a colui che non si deve nominare, il Jim Morrison senza problemi di tossicodipendenza, il Mick Jagger e John Lennon contemporaneamente, quello che non ha passato né futuro perché semplicemente “È”, che va, viene resta ma sempre vince e se non vince è perché non importa.

Questo apocalittico scontro da fine del mondo si è celebrato durante la conferenza stampa di presentazione degli Internazionali d’Italia, nel mondo di Binaghi il quinto slam, e non stupitevi della professione di modestia, perché in fondo vincere Roma è più complicato che vincere il Roland Garros e c’è più gente che gioca nella Città Eterna che a Flushing Meadows. Incredulo che si conoscesse altri che non lui, di fronte a taccuini aperti tenuti sotto controllo da una rigorosa politica degli accrediti, il prode ingegnere ha sostanzialmente detto, in chiesa, che Dio non esiste e che la si smettesse di adorare falsi idoli, che chiamati a mostrarsi alla destra del padre sardo hanno infilato sconfitte con Mantilla, Volandri, Gulbis, Gasquet ma soprattutto contro l’unico degno di profferire nome, quel Rafa Nadal capace di sfidare persino le vesciche pur di compiacere la vera religione. Apriti cielo, perché fino a quando si scherza si scherza.

A Binaghi, in nome dei 10 giorni con la brezza serale che fa tanto VIP e alla ricerca della carbonara a Trastevere sbirciando dai ponti per vedere il cupolone, tutto è stato concesso, tanto poi maggio si andava a Parigi, poi a Wimbledon e insomma si tornava nel mondo reale, alla ricerca della meraviglia. Ma questo no, questo non si doveva fare. Solo che pensandoci bene qui mica siamo nel mondo reale e allora i meravigliosi corifei alla ricerca della passerella su Supertennis hanno preferito o glissare o definire “audace”, al limite un po’ “audace” l’uscita del sardo in resta. Del resto i cronisti della grande stampa ne hanno viste tante e sanno che ai loro lettori di questo sport secondario e pure un po’ misterioso poco importa, si passi in pagina il comunicato stampa e via, verso nuove fantastiche avventure, tra il vermicello e lo sfizioso piatto etnico, che poi è sempre il cuoppo napoletano.

Ma se i giornali sono in crisi non è certo un caso, perché la nicchia che si ritrova a parlar di tennis lo fa altrove, nei famigerati social e in quelle riviste – in fondo come la nostra – che hanno ambizioni più ampie, addirittura di svelamento, quando non di, figuriamoci, “impegno”. E così quello che non troverete su Repubblica o Gazzetta lo troverete ampiamente sulle riviste di internet più gettonate e tutte, in nome del tennis, derideranno Binaghi. Lo stiamo facendo anche noi, che siamo più basiti che scandalizzati, anche perché ci viene un po’ il sospetto che tutto questo scandalo non si sarebbe destato se invece di fare il nome che non si può nominare senza farsi il segno della croce, si fosse parlato di uno qualsiasi, magari il numero 1 del mondo oppure l’ultimo a vincere i 4 slam contemporaneamente, o magari il re indiscusso della terra rossa. Imprese che spariscono di fronte alla vera e propria tirannia che colui che tutto può, anche vincere il tempo, ha creato sui campi di tutto il mondo. E allora chissà, le vie resistenziali prendono le forme più impreviste: se Binaghi fosse l’ultimo argine al dispotismo di un ingordo tiranno che non vuol saperne di andarsi a godere il meritato riposo?

Purtroppo però ad un certo punto il racconto finisce e rimangono solo brividi.

ATP Roma 2017


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