menu Menu

Un altro giro di clessidra

La prima volta se ne accorsero in pochi, forse nessuno. Era un gelido inverno a casa sua, ma lui stava dall’altra parte del mondo contro uno che era forte, fortissimo, e che aveva prima battuto il numero 1 del mondo e poi Andreino Agassi e che passerà la vita a far credere che se solo avesse voluto… Chissà, nel frattempo questo forte è investito da uno che ha ancora i brufoli, ha già vinto Wimbledon, è numero 2 del mondo, tira un dritto spaventoso, gioca un rovescio splendido, attacca come vuole, difende chissà, perché non gli capita quasi mai. Roger Federer la sua leggenda l’ha già cominciata da un po’, giusto qualche mese, quando vince Wimbledon, però con Philippoussis, quindi insomma. Ma il secondo Slam certifica che lo svizzero col codino, che una volta era biondo e spaccava racchette, adesso è il numero 1 del mondo.  Poco male, nell’ultimo anno c’erano già arrivati in 4 prima di lui, quanto vuoi che duri questo?

Il resto è storia nota, Roger Federer in cima al ranking ci rimane fino al 18 agosto del 2008, anno che verrà considerato “orribile” nonostante vinca uno Slam, arrivi in finale in due, e in semifinale in Australia, sempre sconfitto dal vincitore. Gli amanti dei calcoli si sbizzarriscono, sono 237 settimane di fila, 73 in più di quelle di Connors, diciotto mesi. Rafa Nadal è impietoso: «È stato il tempo di Federer, ora non lo è più».

A Rotterdam, diciannove anni fa.

Nonostante la parentesi di New York, tutto sembra dare ragione a Rafa. Federer vince a Basilea ma colleziona sconfitte una dietro l’altra: contro Murray a Madrid, quando ancora si giocava al coperto; costretto al ritiro a Bercy; contro Simon e ancora Murray al Masters. Quando torna nel gennaio del 2009, nonostante la sconfitta di Doha, ancora contro Murray, sembra rinfrancato. Gioca uno splendido Australian Open e proprio per questo il colpo inflittogli da Rafa in finale sembra quello definitivo. Le lacrime di Federer certificano un’impotenza che sembra irreversibile.  I due mille nordamericani sono un calvario, Federer perde ancora contro Murray e contro Djokovic finisce col rompere la racchetta. Nella stagione sulla terra basta un Wawrinka non ancora “The Man” per escluderlo da Montecarlo. A Roma arriva in semifinale contro Djokovic e ancora perde. Alla fine del torneo è ancora il numero due ma sono in tanti a vedere quella posizione come provvisoria: vedrete che dopo Parigi il computer metterà le cose a posto, non solo Nadal, lontano più di 4500 punti, ma anche Murray e Djokovic sono ormai davanti a lui. Altro che tornare in vetta al ranking.

Prima di Parigi però, c’è un torneo nuovo da giocare. Madrid e Tiriac si sono stufati dell’inverno e del campo coperto e sono usciti all’aria fresca di maggio, piegandosi alla terra rossa. Nonostante l’altura chi mai dovrebbe fermare Rafa Nadal che ha vinto a Montecarlo a Barcellona a Roma e insomma la solita litania?

Lo svizzero si fa dare una mano dall’altura e dopo aver rischiato qualcosa contro Roddick arriva in finale. Nadal, dopo un torneo semplicissimo, viene invece trascinato da Djokovic in una splendida semifinale che si chiuderà dopo circa quattro ore. Il Rafa che si presenta in campo 15 ore dopo è chiaramente stravolto, fa partita per i primi otto game e poi praticamente crolla, non come ad Amburgo due anni prima ma la sua resistenza è molto flebile e così alla fine del torneo i punti di vantaggio sono rimasti quelli.

Del Roland Garros 2009 si è scritto fin troppo per soffermarci più di tanto. Federer – crediate o no alla complicità di Söderling – risorge e alla fine del torneo, oltre ad aver completato il Career Grand Slam, si trova a poco più di 2000 punti dalla vetta del ranking. Sono tantissimi, certo, ma adesso c’è Wimbledon e Rafa deve difendere la vittoria dell’anno prima. Nadal però non ha solo perso Parigi ma anche la buona salute e dopo misteriosi tentativi si ritira dal torneo a tabellone già compilato. A Federer a quel punto “basta” vincere il torneo (la sola finale non sarebbe stata sufficiente) per tornare numero 1. Lo svizzero, dopo aver vinto Parigi ed eguagliato Sampras come numero di Slam, gioca con i piedi sulle nuvole, vola su quel Wimbledon smarrendo un inutile set contro Kohlschreiber e quando si trova davanti Roddick tremerà più di quanto si sarebbe mai aspettato ma alla fine si prenderà il suo sesto Wimbledon.

Dalla semifinale contro Djokovic a Roma sono passati meno di due mesi. Roger Federer è di nuovo il re.

Quando sembrava che Nadal lo avrebbe battuto per sempre.

Lo resterà per quasi un anno, fino a Parigi, ovviamente no? Nadal si riprende Roland Garros e numero 1 in un colpo solo. Ancora una volta c’è lo zampino di Söderling, perché è lo svedese a fermare Federer – la prima sconfitta in un quarto di finale Slam dopo ventitré vittorie di fila (è record, eh?) – e sarà ancora lui ad arrivare in finale, perdendola nettamente come dodici mesi prima. Di nuovo Federer sembra avviarsi al tramonto. A Wimbledon perde quasi senza lottare contro Tomas Berdych, a New York perde la semifinale contro Djokovic con match point a favore.

L’anno successivo è quello di Djokovic e per Federer c’è gloria giusto in un pomeriggio di giugno che i suoi tifosi ancora ricordano con un certo stupore, il che è tutto dire per uno che negli anni successivi continuerà a meravigliare in ogni modo immaginabile. Federer, dopo l’ace che chiude la partita con Djokovic, agita l’indice e sul volto gli compare un ghigno difficile da interpretare. Dopo la solita sconfitta in finale con Nadal, arriva quella clamorosa con Tsonga ai quarti di finale di Wimbledon, dopo due set di vantaggio. Perfino le dichiarazioni di Federer di quel giorno sono inusuali: «Beh, a parte il punteggio, molte cose sono andate bene. Penso di aver giocato un buon match. A dire il vero, sono molto contento della mia prestazione. È dura dover uscire in questo modo, ma purtroppo a volte succede. Quantomeno lui ha dovuto giocare una partita speciale per potermi battere, il che è positivo». Per uno come lui, poco abituato a dover riconoscere la superiorità del rivale, sembra un punto di non ritorno. Se il 2007 è l’anno in cui Federer si è reso conto che non era più una divinità, il 2011 è quello in cui lo svizzero realizza che non è nemmeno il più forte degli umani. Il treno per gli Slam sembra passato, figuriamoci quello per il numero 1.

Eppure quella partita è il prologo all’incredibile risalita di Federer, che dopo aver perso a Montréal e Cincinnati con Tsonga e Berdych, gli stessi che lo hanno fermato nel suo Slam preferito, inizia a giocare ad un livello sempre più alto, che in dieci mesi lo riporteranno al numero 1 del ranking ATP, all’età di 30 anni e 11 mesi. Tra settembre 2011 e luglio 2012, Federer gioca con una costanza e una voglia di vincere che non sembrano umane: negli Slam, prima di Wimbledon, perde tre volte su tre in semifinale, una con match point a favore; negli altri tornei, però, vince sempre o quasi. Basilea, Bercy, ATP World Tour Finals, Rotterdam, Dubai, Indian Wells, Madrid. Dagli US Open fino alla finale di Halle, persa contro Tommy Haas, fanno 63 vittorie in 70 partite. Per tornare al numero 1, però, serve un incastro favorevole a Church Road: Djokovic, numero 1 e campione in carica non deve andare oltre la semifinale, Federer invece deve vincere. La sorte è dalla sua parte, perché Federer finisce nella metà di tabellone occupata da Djokovic.

Il cammino dello svizzero non è dei più semplici. Il giorno dopo la clamorosa eliminazione di Nadal sconfitto da un incredibile Lukas Rosol, Federer scende in campo contro Julien Benneteau e per poco non esce dal torneo: perde i primi due set, vince il terzo e nel quarto si trova a due punti dalla sconfitta. In qualche modo Federer si salva ma una nuova nube si addensa sui pensieri dello svizzero. Nel quarto turno, vinto in quattro set contro Xavier Malisse, in molti si accorgono che Federer sta mettendo una maglietta della salute sotto alla polo bianca. Si comincia a chiacchierare sulle sue condizioni fisiche, in particolare della schiena, i tifosi fanno ogni genere di ipotesi, mentre Federer procede spedito verso la semifinale. Ai quarti un impotente Youzhny chiede consiglio ad Agassi, che dal Royal Box ammira la leggiadra prepotenza con cui lo svizzero si sbarazza per l’ennesima volta del russo.

È tutto pronto per la semifinale che tutti stavano aspettando. Djokovic, che è reduce dall’ennesima delusione al Roland Garros, non gioca sulla sua superficie preferita ma è pur sempre il campione in carica. Eccetto un set ceduto all’amico Stepanek, si è qualificato alle semifinali senza far mai arrivare i suoi avversari a cinque game, e sembra il favorito. Serve qualcosa di speciale, insomma, e Federer a Wimbledon di cose speciali ne ha fatte tante. La prestazione con Djokovic, alle soglie della perfezione nel terzo set, è inferiore, e di poco, solo a quella della finale con Murray. Lo scozzese, per quasi due set, gioca ad un livello superiore rispetto a Federer. Con le spalle al muro, quando ogni suo tifoso sembra ormai rassegnato a giocarsi il secondo set al tie-break, Federer si sveglia all’improvviso e diventa, per due punti, quello di qualche anno prima. Prima si apre il campo con un dritto da sinistra e chiude con una volée in allungo che in molti forse non sarebbero nemmeno riusciti a giocare; poi si prepara il punto in un modo che avrebbe fatto felice Wallace: dritto in allungo profondissimo, dritto incrociato stretto che costringe Murray ad accorciare il colpo, rovescio anticipato dalla parte opposta e voleé di rovescio con effetto ad uscire. Irraggiungibile anche per un Murray che non aveva sbagliato nulla fino ad allora.

Federer è diventato numero 1 del mondo per la prima volta il 2 febbraio 2004, oltre 14 anni fa.

Lo sanno tutti che la partita è finita lì. Lo sa il pubblico, che continua imperterrito a sostenere Murray. Lo sa Andy, che progressivamente perderà tenacia e freschezza, pur avendo sei anni in meno del suo avversario e ancora nessuna “W” nella tabella dei risultati in progressione negli Slam su Wikipedia. E lo sa Federer, che a inizio terzo set, gioca un colpo la cui meccanica ti costringe a rivederlo una decina di volte, per capirne davvero la difficoltà. Un’ora più tardi, Federer alza la coppa, la bacia, e il giorno dopo è di nuovo al numero 1 del ranking.

Tra i tifosi di Federer, il 2012 è l’anno dell’impossibile. Non tanto per il numero 1, non tanto per lo Slam, il primo dopo oltre due anni, quanto per il livello di gioco, la cattiveria e la costanza che è riuscito a mantenere per dodici mesi. Il 2012 sarà anche l’anno del 6-0 7-6 contro Djokovic a Cincinnati, l’ultimo sforzo prima dell’inevitabile calo che culminerà nelle difficoltà del 2013.

Su quello che è avvenuto in questi ultimi cinque anni è inutile dilungarsi. Stavolta però che Federer torni numero 1 ancora una volta, a 36 anni e 195 giorni, sembra quasi logico visto quello che è avvenuto negli ultimi 13 mesi. Per molti lo è da tempo, il numero 1, e in effetti solo la scelta di saltare completamente la terra rossa ha consentito a Nadal di rimanere un po’ di più in vetta. Quando Murray diventò numero 1, nel novembre del 2016, Federer si congratulò dicendo “abbiamo un nuovo re in città”. Ma la vittoria con Robin Haase certifica, formalizza, sancisce, decreta che fino a quando Roger Federer non deciderà di ricordarsi di essere invecchiato e che è giunto il momento di fare altro, per il computer in testa al ranking ci potranno pur essere meravigliosi reggenti, fuoriclasse che onorano il nostro sport. Ma il Re, ranking o non ranking, è uno solo, ha 36 anni e viene da Basilea, Svizzera. Si chiama Roger Federer.

ATP Rotterdam 2018 Roger Federer


Previous Next

keyboard_arrow_up