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All'O.K. Corral spesso vince il cattivo

C’è stato un momento a Wimbledon in cui l’interregno di Novak Djokovic stava per terminare. Il serbo era sotto due set a zero nel quarto turno, contro Kevin Anderson, uno che non aveva mai raggiunto i quarti di finale di un torneo maggiore. Nole, a Londra, era alla ricerca del riscatto dopo la finale persa nell’unico Slam che non ha mai vinto, il Roland Garros. Anderson era a un set da uno storico successo, un set che avrebbe marchiato come fallimentare la stagione di Djokovic, nonostante la vittoria del “solito” Slam, quello australiano.  I due tornarono in campo il giorno dopo, con un solo set da giocare visto che Djokovic, prima dello stop per oscurità, aveva recuperato lo svantaggio. Tutti sappiamo come finì la partita. E il torneo.

Con la vittoria su Roger Federer nella notte fra domenica e lunedì Novak Djokovic ha concluso la parte più importante della stagione vincendo tre prove su quattro dello Slam, esattamente come Serena Williams. A Parigi, nell’unico torneo maggiore che gli è sfuggito di mano, ha perso in finale. Così facendo è entrato nel club ristretto dei vincitori di Slam a due cifre, con Federer, Nadal, Sampras, Borg, Emerson e Tilden. La partita con Federer non è stata avvincente e ha rispettato il pronostico, quello che dava Djokovic vincente, con Federer che avrebbe avuto chance solo in caso di vittoria del primo set.

Il match ha seguito il canovaccio classico, con Federer a cercare di non dare ritmo a Djokovic cercando soluzioni estemporanee, accelerazioni e discese a rete improvvise, oltre agli oramai famosi “attacchi furtivi” sulla seconda, che pure hanno portato punti. Nole, dal canto suo, ha mantenuto una calma glaciale nonostante non abbia giocato al meglio, sbagliando anche più del dovuto. Solo che lo svizzero ha fatto peggio di lui. Federer ha perso il primo set mettendo nel rettangolo del servizio il 53% di prime palle. Davvero troppo poco. È andata meglio nel secondo set – che, infatti, ha vinto – quando la percentuale è salita al 60%. Proprio sul setpoint, il pubblico dell’Artur Ashe ha cominciato a lasciarsi andare più del dovuto.

Non appena Roger chiude vittoriosamente il secondo parziale, il giubilo degli americani, che probabilmente hanno alzato il gomito durante l’attesa forzata per la pioggia pre partita, si percepisce anche attraverso i salotti delle case, uscendo dagli schermi TV tipo Poltergeist. Neanche Roberta Vinci, autrice del più grande upset della storia del tennis per tutti, dello sport per molti, ha subìto un trattamento del genere dal pubblico USA. C’era da capirli: avevano perso Serena Williams un paio di giorni prima, e ora stavano proteggendo il panda del tennis, Roger Federer. Il problema, però, è che dall’altra parte c’è un giocatore abituato ad avere il pubblico contro. E a vincere anche contro questo.

Man mano che il terzo set scorre con Djokovic sùbito avanti nel punteggio, il linguaggio del corpo di Roger Federer comincia a essere negativo. Lo svizzero non urla i suoi classici “chum jetze”, il “come on” svizzero. Si rabbuia in volto, e ha spesso lo sguardo rivolto verso il blu del campo. Il plot della partita segue quello della finale di Londra del luglio scorso, ma con addirittura meno spettacolo, per una sorta di Wimbledon Redux. Altro presagio che finirà male per i tifosi di Federer è il dato delle palle break non convertite dallo svizzero. A fine gara saranno 4 convertite su 23 concesse dal serbo, addirittura una sola capitalizzata sulle 11 che hanno visto Djokovic al servizio con la seconda palla. Veramente troppo poco per fare match pari, considerato che nella stessa statistica il serbo chiuderà con un confortante 6 su 13.

Con Djokovic in vantaggio due set a uno, Twitter celebra la fine della partita: Federer è spacciato. Non sbagliano i giornalisti che, a New York, si affrettano a lasciare il campo per andare a scrivere il loro pezzo, mentre in Italia si spengono le luci dei soggiorni dei tanti appassionati che stanno seguendo la partita sacrificando sonno prezioso a poche ore dal lunedì.

Roger Federer non batte Novak Djokovic in una finale Slam da quella di NY del 2007
Roger Federer non batte Novak Djokovic in una finale Slam da quella di NY del 2007

È dal 2012, anno in cui Federer vinse il suo ultimo titolo dello Slam, a Wimbledon, che lo svizzero non batte Nole sulla distanza dei cinque set. Nel quarto set la sensazione di guardare un match che sembra equilibrato ma di cui tutti conosciamo il finale è praticamente una certezza. Federer è stanco e c’è da capirlo. Questa è la sua prima vera partita degli Open, la prima che gioca oltre le due ore e mezza di durata. I diritti vanno sempre di più in rete, o lunghi oltre la riga di fondo (alla fine farà meno gratuiti che con il rovescio). Ha un sussulto d’orgoglio però, quando sotto 5 a 2 recupera un break di svantaggio, e si procura anche altre due palle break per agganciare il serbo. Sugli spalti c’è la standing ovation, con la gente che saltella. Ma Djokovic, come fa puntualmente, alza il livello del suo gioco e della sua concentrazione man mano che il traguardo si avvicina. Diventa ruthless, spietato, come direbbero da quelle parti. E chiude come da copione esultando freddamente, con il solito sguardo rabbioso verso il suo angolo, prima di rivolgere a rete i classici complimenti all’avversario.

Il tiranno illuminato del tennis moderno, Novak Djokovic, si arrampica per urlare la gioia con i suoi, il suo clan. Abbraccia il suo staff, poi bacia la moglie, e prende con la mano la testa di Becker appoggiandola sulla sua, di rabbia. Fa il giro lungo per tornare in campo, concede l’high-five agli americani mentre Roger Federer è seduto sulla sedia. Ha gli occhi lucidi, si passa la mano fra i capelli e si morde le unghie. Poco dopo, Novak, ancora una volta seguendo il copione, gli rivolgerà i classici complimenti di rito, quel “Federer è probabilmente il più grande giocatore di tennis della storia” .

Questa è l’unica concessione del tiranno illuminato. Ribellarsi a lui sembra difficile, e dall’esito scontato. Federer lo sa, ma lui ha una battaglia contro il tempo da continuare. Difatti, saluta e dà appuntamento al prossimo anno. Il cattivo pensiero di un ritiro in caso di vittoria, à la Pennetta, svanisce. Toccherà accontentarsi di vederlo giocare, anche se chissà se vincerà i tornei maggiori. Per quello, c’è Djokovic.

Novak Djokovic Roger Federer US Open 2015


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