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Zero titoli, numeri uno

“I Bryan” dice Daniel Nestor, doppista canadese che li ha affrontati più di cinquanta volte, “hanno un vantaggio che gli altri non hanno. Una specie di percezione extrasensoriale”. Magari non ci crede davvero, ma quando li si vede giocare assieme, Mike e Bob Bryan (in ordine di nascita) sembrano davvero muoversi come un corpo solo che può controllare perfettamente entrambi i suoi arti. Eppure il 2015 è stato un anno negativo, almeno per i loro standard, perché per la prima volta dal 2004 i due fratelli statunitensi non sono riusciti a vincere nemmeno un titolo nel doppio maschile. È un flop che prima o poi sarebbe dovuto arrivare perché l’età avanza – ad aprile hanno compiuto 38 anni – e perché le motivazioni, dopo vent’anni nel circuito maggiore e oltre 100 titoli vinti, stanno per forza svanendo. Tuttavia, la sconfitta al primo turno di uno Slam è un evento piuttosto inusuale per loro: dal 2003, anno in cui hanno vinto il loro primo titolo Slam, ad oggi, gli era successo una sola volta, agli US Open 2011. Questo risultato però, certifica il peggior anno della loro lunga carriera anche se loro, com’è ovvio, non drammatizzano: “Sapevamo che prima o poi sarebbe accaduto”.

Dodici mesi fa i Bryan festeggiavano il loro sedicesimo Slam in un 2014 che fino agli US Open era stato simile a quest’anno per quanto riguarda i risultati negli Slam, dato che fino a New York non avevano conquistato Major. Ma l’anno scorso avevano anche ottenuto il miglior risultato di sempre nei Master 1000 con ben sei titoli su nove tornei. Quest’anno di Master 1000 ne hanno vinti solo tre (due si devono ancora giocare, a Shanghai e a Bercy) e poiché non sono riusciti a togliere lo zero dalla casella Slam, saranno costretti a cercare di vincerne qualche altro per mantenere la prima posizione del ranking. Ma anche se non hanno vinto titoli dello Slam, i Bryan sono ancora considerati il punto di riferimento del doppio, una disciplina tendenzialmente snobbata da tutti, nonostante i vari tentativi dell’ATP di darle una nuova forma per risvegliare l’interesse dei fan. Una volta c’era John McEnroe, e i Bryan, pur avendo raggiunto una certa celebrità, non possono certo ambire al carisma e al successo che McEnroe attirava su di sé quando scendeva in campo. Nel 2005 l’ATP aveva provato a riformare il doppio, proponendo di farlo giocare solo a chi aveva punti nel ranking di singolare. Un centinaio di doppisti (con i Bryan in testa) denunciarono l’associazione dei giocatori sostenendo che non adempieva al proprio compito di promuovere il doppio, escludendo alcuni giocatori e promuovendone altri, e l’ATP fece marcia indietro.

Bob e Mike Bryan
Bob a sinistra, Mike a destra. Oppure viceversa.

Dieci anni dopo il doppio non naviga in buone acque: il prize money riservato ai vincitori della specialità è ancora risibile in confronto a quello del singolare, e nella finale degli US Open tra Murray/Peers e Mahur/Herbert c’erano i parenti dei giocatori e qualcun altro che passava da quelle parti in attesa della finale vera. Come sempre, del resto. Forse perché non c’erano statunitensi o forse perché era stata programmata tre ore e mezza prima della finale del singolare femminile.

Comunque vada, il doppio rimane una disciplina in difficoltà da molti anni e non si riesce a trovare una soluzione per salvarlo. Ma i Bryan non hanno pentimenti, sono contenti di aver denunciato l’ATP: “Eravamo spaventati e con le spalle al muro, ma quella mossa avrebbe diviso il circuito in due”. L’impressione però è che il circuito sia già diviso in due e da un bel pezzo. I tennisti di élite giocano il doppio solo in rarissime occasioni. Ma probabilmente nemmeno la proposta dell’ATP avrebbe potuto far qualcosa. Roger Federer e Andy Roddick, tra i tennisti più forti allora, avevano ammesso candidamente che quella riforma non li avrebbe spinti di certo a giocare (e a faticare) nel doppio. Segno che anche dieci anni fa il doppio era considerato un’appendice del singolare e nulla più.

Pierre-Hugues Herbert e Nicolas Mahut hanno vinto il titolo di doppio agli US Open 2015: non c'era il pubblico delle grandi occasioni
Pierre-Hugues Herbert e Nicolas Mahut hanno vinto il titolo di doppio agli US Open 2015: non c’era il pubblico delle grandi occasioni

Scarso prestigio a parte, il doppio frutta abbastanza bene, per lo meno per chi è al top. I Bryan hanno accumulato complessivamente una cifra vicina ai 30 milioni di dollari di soli prize-money, tant’è che hanno deciso l’anno scorso di investirli in borsa. Mike ha deciso di aprire un account Ameritrade, una piattaforma di trading online, e ha cominciato ad investire. Bob l’ha imitato poco dopo ma con un’attitudine totalmente differente. Se Mike ha preferito andare sul sicuro, investendo su titoli solidi che gli garantissero proventi facili in tempi lunghi, Bob ha provato solo colpi rischiosi, che naturalmente sono andati male. Hanno comportamenti opposti: “Io sono molto più cauto mentre Bob è quello da tutto o niente”, dice Mike, che è anche il fratello maggiore e forse sente il dovere di essere più responsabile. Magari è per questo che si completano così bene in campo. Non è raro vederli litigare all’opera, urlare l’uno all’altro oppure a sé stessi (probabilmente non fa tutta questa differenza) e lanciarsi addosso la racchetta. Tanto il punto successivo lo giocano come se nulla fosse. Come tutti i grandi team di doppio, le forze dell’uno completano le debolezze dell’altro.

Fin da bambini, Mike e Bob hanno imparato a non competere tra di loro. Non possono vivere l’uno separato dall’altro per lunghi periodi tant’è che ricordano perfettamente le occasioni in cui hanno vissuto senza l’altro. La prima volta fu nel 1996, quando avevano 17 anni, quando Bob andò a giocare gli Slam europei a livello junior e Mike fu costretto a rimanere a casa per un infortunio al ginocchio. Ma le rare volte in cui accade, i due si sentono sempre al telefono. Sono collegati da un filo invisibile ma invulnerabile. Quello stesso filo che non gli permette di sentire la rivalità. All’età di otto anni, Mike e Bob dovevano giocare la finale di un torneo. Non era un torneo di doppio, naturalmente: i due gemelli dovevano giocare l’uno contro l’altro. “Siamo sempre stati molto attenti a non metterli in competizione tra di loro” ha detto Wayne Bryan, il padre. “Abbiamo ben presto imparato che se a uno regalavi un camion rosso, all’altro non potevi regalare un camion blu”. In quel torneo del sud della California il camion però non andò a nessuno dei due perché i genitori scelsero di non far giocare i figli. Fino ai diciott’anni, quando si incontravano in un torneo, uno dei due si ritirava in modo da non giocare contro l’altro. Ma al Kalamazoo – i campionati junior statunitensi – quando ormai i due fratelli erano grandi abbastanza da essere diventati famosi, perfino l’USTA si mosse per risolvere la situazione. “Eravamo abbastanza maturi per giocare contro”, ricorda Mike. Vinse Bob in due tie-break e il minore dei due chiuse da numero 1 del suo paese, mentre Mike, lo sconfitto, finì al numero 4: “Ero troppo preoccupato che Bob potesse perdere”.

Bob e Mike Bryan hanno vinto agli US Open 2014 il loro centesimo titolo
Bob e Mike Bryan hanno vinto agli US Open 2014 il loro centesimo titolo

In singolare, invece, non giocano dal 2003. Entrambi ci hanno provato e i risultati sono stati diversi: Bob è arrivato fino al numero 116 e sembrava potesse anche salire, mentre Mike non è mai andato oltre la posizione 246. Probabilmente è per non creare un dualismo che hanno deciso di fermarsi entrambi e di dedicarsi esclusivamente al doppio. Ma quella rivalità che non esiste – o che è stata strozzata sul nascere – permette loro di focalizzarsi solo sugli avversari. Non c’è dubbio che la coppia formata da Mike e Bob Bryan sia non solo la più conosciuta anche da chi non segue molto il doppio, ma è anche la più vincente della storia. Fino ad oggi hanno vinto 109 titoli assieme (Mike ne ha vinti 111 perché nel 2002 vinse un paio di titoli con un altro partner) e hanno conquistato tutto quello che dovevano conquistare: i quattro Slam (ne hanno vinti sedici e sono i primatisti), il Masters, la medaglia d’oro alle Olimpiadi e tutti i nove i Master 1000, chiudendo il cerchio l’anno scorso a Shanghai (ma avevano comunque vinto Amburgo, che è stato rimpiazzato nel 2009 dal torneo cinese). Mancherebbe solo un traguardo, ma forse è troppo tardi per raggiungerlo, anche perché hanno avuto l’occasione due anni fa e non l’hanno colta per un soffio: il Grande Slam.

Due anni fa, i Bryan arrivarono a New York con la possibilità di compiere il Grande Slam, un’impresa che nel doppio maschile è avvenuta una sola volta, negli anni ’50. I Bryan avevano vinto piuttosto agevolmente gli Australian Open e il Roland Garros mentre a Wimbledon, l’unico Slam che ha mantenuto i cinque set anche per il doppio maschile, avevano dovuto faticare un po’ di più, recuperando un set di svantaggio sia in semifinale sia in finale. Agli US Open, fino in semifinale, a dare grattacapi erano stati i canadesi Nestor e Pospisil agli ottavi. Ma sembrava tutto apparecchiato per un trionfo atteso da più di sessant’anni. Proprio come successo a Serena Williams pochi giorni fa, però, la corsa finì in semifinale. Ad eliminarli furono l’indiano Leander Paes e il ceco Radek Stepanek, numeri 4 del tabellone. Paes e Stepanek interruppero una striscia di 28 vittorie consecutive (oltre ai primi tre Slam dell’anno, i Bryan erano anche i detentori del titolo agli US Open) e si confermarono una coppia piuttosto ostica per gli statunitensi dato che nell’arco di due anni li avevano già sconfitti quattro volte, compresa una finale Slam agli Australian Open 2012. I Bryan, generalmente molto bravi ad accettare la sconfitta, furono laconici in conferenza stampa: “Realisticamente, non ci succederà mai più. I margini, nel doppio, sono davvero troppo sottili e ci sono tanti team fortissimi e troppe cose che possono andare storte”. Il 2015 pare abbia dimostrato che avevano ragione.

Bryan brothers


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