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Bracciali e Starace, chi erano costoro

Che il mondo del tennis sia piccolo è noto. Che le piccole comunità – soprattutto se ricche – tendano a proteggersi lo è meno, ma insomma. Se poi a finire coinvolti sono due poveri cristi come i due di cui ci occuperemo la sensazione di occuparsi di qualcosa di realmente marginale è completa. È così che il caso Bracicali/Starace è stato trattato con schizofrenici guanti di velluto. A dire il vero il tennis in Italia almeno (ma il sospetto è che altrove le cose non funzionino poi tanto diversamente, gestito com’è da una consorteria più grottesca che truffaldina, inamovibile come la bella Dc dei tempi che furono) se non è una sboccata barzelletta da sagra paesana poco ci manca. Persino la vittoria di Pennetta e Vinci è stata un’occasione per la parata di notabili vestiti come nelle processioni anni ’50.
Così la vicenda scommesse sta attraversando tutte le fasi tipiche di una comunità poco secolarizzata: urla e minacce, punizione esemplare, perdono.

1. Febbraio 2015, la procura di Cremona sta indagando da un po’ di tempo su un giro di scommesse che coinvolgerebbe alcuni calciatori. Nel bel mezzo dell’inchiesta salta fuori il nome di Daniele Bracciali. Manlio Bruni, il commercialista di Beppe Signori, indagato chiave. Bruni, secondo la Procura di Cremona, sarebbe entrato in contatto con Bracciali attraverso Roberto Goretti, ex giocatore dell’Arezzo, squadra di cui il tennista è tifoso. Bruni sostiene che Bracciali sia il suo uomo all’interno del circuito, quello che può determinare il risultato delle partite e l’andamento dei match.

2. Bracciali – sentito dalla procura di Cremona – dirà che ha conosciuto Bruni. Roberto Goretti glielo avrebbe fatto conoscere per aiutarlo a recuperare un credito. La procura di Cremona risale ad alcune conversazioni via Skype tra Bracciali e Bruni in cui non si fa cenno del tentativo di recupero del credito ma invece si parla di alcune partite di cui indirizzare il risultato. Bracciali dice che non è lui a possedere l’account Skype con cui chatta Bruni. Bruni aggiunge di aver spedito una mail il 5 maggio 2011 alle 9.45 a Bracciali, che invece sostiene di non averla mai ricevuta.

3. Nei colloqui tra Bruni e Bracciali il primo chiede al secondo di arruolare alcuni colleghi. Si fanno vari nomi – che noi non faremo – e alla fine rimane in piedi quello di Potito Starace. Il tennista di Benevento, compagno di doppio di Bracciali, si sarebbe fatto convincere a perdere alcune partite. Ne spiccano due, una a Barcellona e una a Casablanca.

4. Il Presidente della Federazione Italiana Tennis (Angelo Binaghi) mette le mani avanti: “Noi ci auguriamo che siano innocenti, ma abbiamo sicuramente subìto un danno di immagine. In ogni caso si parla di eventi non organizzati da noi, anche se coinvolgono nostri tesserati”.

5. La procura federale apre un’inchiesta. La giustizia sportiva si basa essenzialmente su due elementi: le conclusioni raggiunte dalla Procura di Cremona e le audizioni. Il Tribunale Federale può obbligare a comparire soltanto i propri tesserati, mentre non c’è un obbligo del genere per chi non non fa parte della Federazione (ovviamente).

6. Il 6 agosto del 2015 il Tribunale Federale emette una sentenza severissima: radiazione per Bracciali e Starace.

7. La sentenza del Tribunale Federale è scritta in un modo francamente discutibile. A parte alcuni svarioni tra il divertente e il grottesco (“innocenti” nominati con nome e cognome, “colpevoli” con cognome e nome), superata la discussione sulle eccezioni di forma (Bracciali chiedeva la prescrizione per via dello scadere dei termini) finalmente si soffermava sulle evidenze che portavano il Tribunale a convincersi della colpevolezza dei due. Su questa parte torneremo. Il problema è che nella parte finale della sentenza i giudici federali producevano un incredibile (in senso letterale: non credibile) giudizio sull’andamento “naturale” delle partite di tennis. Detto in modo grossolano – ma sono i giudici ad essere grossolani – Starace non poteva perdere la partita con uno più scarso di lui. Cosa che scritta qualche giorno dopo la sconfitta di un tipo non male come Roger Federer contro Alberto Ramos Viñolas assume un’ulteriore connotazione ridicola.

8. Com’è ovvio e normale, ma chissà se anche giusto, sulla parte della sentenza che si riferiva all’andamento del match si avventano tutti i difensivisti. “Ma com’è possibile condannare due poveri cristi”, è l’argomento principe, “sulla base di una totale incapacità di comprendere le semplici dinamiche di una partita di tennis?” Da lì allo sbraco il passo è breve, e via con i riferimenti ad un’atmosfera ormai colpevolista e per niente garantista nei confronti di nessuno.

9. Ma. La sentenza non è costruita soltanto su quell’assurdo passaggio. Esistono altre 12 pagine in cui i giudici del Tribunale Federale analizzano le carte provenienti dall’inchiesta di Cremona. E il libero convincimento formatosi dalle audizioni dei giocatori e di Roberto Goretti.
Le posizioni dei due giocatori sembrano in realtà un po’ differenti, in quanto il Tribunale Federale ritiene colpevole Starace in quanto amico, sodale, compagno di doppio, di Bracciali. E il passaggio illustrato nel punto 8 serve a confermare che “visto che erano amici, visto che Bracciali diceva a Bruni che Starace era d’accordo, visto che la partita è andata nel modo favorevole a Bruni allora Starace era implicato. In quelle pagine i giudici ribadiscono un concetto fondamentale che sembra impossibile da comprendere per chi non si occupa specificamente di diritto sportivo ma solo di diritto ordinario: nel diritto sportivo per condannare non vige la regola “al di là di ogni ragionevole dubbio” ma la meno garantista del “più probabile che no”. È su questo punto che le fazioni si scontrano. Gli innocentisti non potranno che sottolineare la mancanza di garanzie per gli imputati; i colpevolisti non potranno che provare a spiegare che il campo da gioco è diverso da quello di un tribunale ordinario.

10. Siamo ai giorni nostri. L’11 ottobre la Corte Federale d’Appello ribalta non tanto le conclusioni del Tribunale Federale quanto il fatto che quelle conclusioni siano sufficienti a comminare una pena così pesante. O meglio, mette in discussione il fatto che davvero sia sufficiente, nel caso specifico, la regola del “più probabile che non”. In seguito ad una serie di considerazioni giuridiche che sarebbe lungo e noioso riportare, i giudici della Corte Federale d’Appello concludono di fatto per una cosa che somiglia molto all’insufficienza di prove. Insomma non si può essere sicuri “al di là di ogni ragionevole dubbio” che Starace abbia davvero sistemato le partite. Di conseguenza non va punito. Di Bracciali si può solo affermare che ha intrecciato rapporti con Bruni e Goretti e che non ha mai denunciato i tentativi di combine e per questo i dodici mesi di sospensione.

Questi i passaggi di una vicenda che a noi sembra sufficientemente chiara. E un po’ triste.

Daniele Bracciali FIT Potito Starace


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