menu Menu

ATP Finals episode 1: una domenica alle finali

We are here for the tennis”, dicono due turisti alla reception dell’hotel. Non sono  americani, ma dicono la stessa frase che i New Yorkesi dicono quando tornano in città dalle campagne degli Hamptons per godersi l’ultima settimana degli Us Open, che arrivano sempre nel periodo che segna il ritorno a lavoro.

Sulle scale mobili verso North Greenwich, la fermata della metropolitana di superficie che ti lascia davanti l’ingresso dell’Arena – e non a 500 metri o a un chilometro: ti lascia proprio lì davanti – ci sono famiglie che guardano i loro bambini correre sul pavimento mattonato, rincorrendo quelli che si nascondono dietro grandi colonne foderate di cartoni giganti che raffigurano i magnifici otto. Il maxischermo prospiciente l’ingresso ha i colori della bandiera francese. Solidarietà, certo, ma anche preoccupazione.

Il via vai al di fuori della cavea è frenetico. File ovunque, per mangiare (tante), per acquistare il merchandising dell’ATP (poche). Gli uomini della sicurezza sono molto concentrati sulle bombe del nuovo millennio, i backpack. In campo, intanto, ci sono Bolelli e Fognini. Sono loro, gli italiani assenti da 37 anni alle ATP Finals, ad aprire il programma della giornata. I colori della Barclays, le sfumature turchesi e blu proiettate sugli spalti bui – molto intimi visto che durante il gioco non sono illuminati – affascinano un po’ tutti. Questo è il campo più centrale del mondo, è il manto che è stato calpestato anche da Robert Plant e Jimmy Page nel famoso concerto dei Led Zeppelin di qualche anno fa; è roba per i migliori, e ora ci giocano i migliori.

Qualche flash dagli spalti immortala i giocatori in campo, una foto che non uscirà mai bene per via della luce assente, mentre escono bene le fotografie scattate con gli smartphone, a patto di avere l’accortezza di mettere a fuoco sul campo bicolore, con il nero tutto intorno a esaltare l’ombelico mondiale del tennis. Nessuno resiste alla tentazione di scattare una foto, nessuno. Tutti vogliono essere protagonisti, la scena deve essere di tutti alla O2 Arena. Ecco perché quando un giocatore chiama il falco il pubblico prende in mano la situazione. Certo, la regia che fra audio e video solennizza il momento aiuta molto. E il battimani cadenzato diventa coinvolgente finché non arriva il verdetto sul video: in or out.  Il tennis ha il disperato bisogno di stare al passo con lo spettacolo e appena può cerca di aumentare il coinvolgimento del pubblico, quello che tiene in piedi l’intero carrozzone del tennis con la sua passione. Uno show, quello del falco, che sembrerebbe creato ad hoc per il pubblico, se non fosse per l’indubbia utilità con cui ha rivoluzionato questo sport qualche anno fa.

I due italiani sono vestiti di bianco, Bolelli ha i pantaloncini neri. Contro di loro gioca il Murray che si impegnerà in queste finali ATP, Jamie. I selfie con sfondo arena alle spalle arrivano copiosi al cambio di campo, con la musica alta ma non fastidiosa e con il terzo set che incombe, visto che Fabio e Simone conservano il break di vantaggio del secondo. Già il doppio non ha appeal, se poi la partita non è neanche spettacolare allora si rimane a tifare solamente per la patria. È un po’ questo il pensiero degli inglesi che riempiono la O2. Fognini, però, piace anche a loro. Piace, temiamo, solo perché è uno di quei giocatori dai quali ti aspetti qualcosa. È un tennista esuberante, l’italiano, e al pubblico piace sostenere questi giocatori. Si esalta, il pubblico, quando Fognini minaccia di lanciare a terra la racchetta. E libera la sua soddisfazione quando lo fa, con Bolelli che se lo abbraccia e sugli spalti sono felici perché è il segno che Jamie vincerà la partita. Tutti contenti con gli italiani già chiamati a non sbagliare la prossima.

Poi scende in campo il numero uno del mondo. Gioca in attesa di un altro numero uno -quello dei tifosi, che scenderà in campo di sera, in orario classy – contro il numero uno del Giappone, l’unico paese che ancora si può permettere di mandare in giro orde di giornalisti pagati per seguire il tennis. Dell’annata di Djokovic è stato detto praticamente tutto, praticamente ovunque. Bastano un paio di game per indurre uno spettatore a lasciare l’arena e a farsi un giro per gli stand.  Nole, infatti, gioca con le marce basse, gioca la smorzata su punti importanti come la palla break e l’altro, il giapponese, rincorre, alza, ribatte: soffre insomma. I giornalisti giapponesi sono preoccupati in tribuna. Noi rimaniamo, perché in campo c’è il numero uno della classifica mondiale, il più forte, e bisogna rispettarlo stando seduti anche in questa cavalcata al piccolo trotto. Ad un certo punto, Novak serve una prima sul rovescio di Nishikori, questo ribatte sul rovescio del serbo che smorza la palla tagliandola senza neanche fare troppo rumore. La smorzata è vincente e Nishikori, che neanche prova a rincorrerla, guarda la pallina rimbalzare sempre meno finché non incoccia il suo piede. Questo punto è il match, è l’arrivo dell’inevitabile.

 

ATP Finals 2015


Previous Next

keyboard_arrow_up