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Tennis di Periferia: la Coppa Gabbiani

Neanche una settimana fa la Coppa Gabbiani era un ricordo. Poi succede che il capitano ti chiama un martedì pomeriggio, mentre sei in ufficio a macinare byte di caratteri, e ti annuncia che ha 2 cose da dirti. La prima è che vorrebbe giocare in settimana. Lui è uno di quei giocatori che batto agevolmente, che però fisicamente sta bene nonostante passi i 40 perché ha fatto per anni il guardalinee in serie A. E poi, soprattutto, può giocare dopo le 18. Dico subito sì per il venerdì, sapendo che questa risposta sarà propedeutica al punto due. Che è chiedere la mia disponibilità per giocare la Coppa Gabbiani il giorno dopo la nostra partita, sabato.

La pone in maniera convincente. “Anzitutto fra due settimane abbiamo un match molto duro, quindi l’idea sarebbe quella di mettere te ed Edoardo – il mio compagno di allenamenti, ex C1 – a fare i singolari. Anche sabato abbiamo bisogno di una mano, sto cercando di capire chi gioca nella squadra avversaria. Ti chiedo intanto la disponibilità al singolare e, eventualmente, il doppio”. Rispondo che pensavo di allenarmi sabato e che non ho problemi a giocare il singolare, o anche il doppio, dopo essermi comunque allenato. “Purtroppo la direzione ci farà giocare i due singolari e il doppio eventuale su un solo campo”. Gli rispondo dicendo che, allora, basta che mi faccia sapere una presunta ora di inizio, giusto per non lasciare la famiglia 7 ore per giocare un’ora e mezza a tennis. Ci aggiorniamo al venerdì. Ma prima c’è da risolvere un grande problema: tutte le racchette sono rotte.

Per giri vari di racchette – un vero tennista di quarta categoria non trova mai pace con le proprie racchette: c’è sempre un nuovo grip indispensabile da provare, una striscia di piombo da spostare due millimetri più in alto, provare la corda dell’ultimo momento per aumentare lo spin e, figurarsi, provare il nuovo telaio fatto di basalto, plutonio e kriptonite – mi sono ritrovato ad averne zero disponibili delle Yonex che sto utilizzando ora (per la cronaca: le Yonex arancioni di Stan, quelle pesanti). Ne devo far incordare almeno una. Ovviamente, me ne ricordo l’ultimo giorno utile, il venerdì. Piove e quindi salta anche l’allenamento con il capitano.  Il mio accordatore di fiducia sta appena fuori il raccordo, difficilmente mi farà la racchetta il sabato mattina, quando la gente riempie il negozio in cerca di attenzioni. Un amico mi suggerisce un negozio vicino casa. Ci vado, ma la signora è categorica: “non ce la faccio né stasera né domani”. Però almeno compro le corde che uso, almeno quelle le ha. Rimane da trovare chi potrebbe incordarmi la Yonex. Uno dei maestri del circolo potrebbe farlo, lo raggiungo al telefono e mi dice che se gliela porto entro un paio d’ore al circolo all’indomani me la farà trovare pronta al bar. “Perfetto Gianni, 23/24, a 4 nodi. Grazie infinite”.

Un problema è risolto, ma ce n’è un altro che incombe. Il sabato mattina a Roma c’è un sole timido ma che basta per asciugare i campi dall’acqua piovuta nella notte. Io ho un mal di testa che mi perseguita da giorni, scoprirò poi che altro non era che il prodromo dell’influenza. Non mi sento per niente bene ma vorrei giocare. Chiamo il capitano e lo relaziono, lui è sollevato: voleva farmi giocare solo il doppio, visto che i singolari li giocheranno Mario ed Edoardo. Bene così. E quindi alla fine verso le due sono al campo e comincio a riassaporare l’atmosfera da torneo.

Trovo Mario ed Edoardo che si scaldano su uno dei due campi che la direzione ci ha assegnato, il numero uno e il numero due del circolo, che però nella gerarchia dei tennisti sono il numero 3 e il numero 4, perché posizionati alla base di palazzi molti alti che li ombrano fino all’ora di pranzo d’inverno, lasciando il manto rosso molto umido. Arrivano gli avversari, tre uomini che passano tutti i quaranta e che non hanno le facce dei tennisti. Mentre i due match cominciano a prendere forma io mi sposto su un campo alle spalle dei due riservati alla “Gabbiani”. Un socio ha appena finito l’ora e gli chiedo di farmi palleggiare un po’. Stiamo un venti minuti in mezzo al campo, provo la racchetta fresca d’incordatura e tutto va bene. Mi alleno per bene da fondo campo, scaldo le volée e poi cambio avversario. Arriva infatti il capo del gruppo whatsapp, quello che mi aveva bollato come stronzo dopo che mi ero rifiutato di entrarne a far parte. Gli stringo la mano, è gentile, e mi chiede se possiamo palleggiare un po’. Inizio a giocare anche con lui, che fra l’altro è il mio compagno di doppio come ha deciso Paolo, il capitano, che ci guarda palleggiare a fondo campo. Lui gioca molto bene, colpisce in maniera pulita e molto classica; addirittura, quando colpisce il diritto con la mano sinistra ferma la racchetta, interrompendo il finale del movimento, un classico insegnamento anni ‘80.

L'unica Yonex arancione del circolo, versione 330 grammi. (E no, non è un product placement)
L’unica Yonex arancione del circolo, versione 330 grammi. (E no, non è un product placement)

Mentre raccolgo le palline fra uno scambio e l’altro guardo i due singolari già in corso di fronte a me. Mario ha trovato un suo omologo, un altro che gioca per non sbagliare mai, e il loro palleggio medio è lentissimo, con la palla che passa alta metri sopra la rete e mai troppo angolata. Gli chiediamo quanto sta al cambio campo: “5 a 0 per me, ma è sudata” dice seriamente, noi scoppiamo a ridere. Edoardo sul campo adiacente è avanti anche lui 5 a 0. Il suo avversario è fuori forma fisica ed è incapace di spingere la palla oltre la velocità di under 12. Finirà a zero game la sua partita contro Edoardo, che è alla sua prima partita di torneo in un paio d’anni, come me e che a fine garà si dichiarerà  molto annoiato e molto invidioso della sessione di allenamento sul campo tre. Dove si è aggiunta anche Martina, una giovane tennista classificata 3.1 che sembra colpire la palla molto forte. Gioco un po’ anche con lei, ma poi è tempo di scendere in campo dopo i quattro 6-0 vinti da Edoardo e Mario, che intanto si mettono sul campo due a giocare un set fra di loro, tanto sono “stanchi”. Gli avversari hanno un terzo in rosa e vogliono fare il doppio. Si scende in campo.

Quel minimo di tensione che rende bello il torneo, quando tutto quello che riesce facile in allenamento non esiste se non sei in grado di replicarlo, c’è, ma giusto un po’. Gli avversari sono francamente imbarazzanti. C’è in campo il tipo che ha perso con Edoardo assieme ad un altro giocatore, fuori forma anche questo, ma che almeno colpisce bene, specie al servizio. Mi scaldo con una pallina delle tre a disposizione e praticamente passiamo 5 minuti a raccogliere la palla. Taglio corto per far iniziare la partita e tempo 5 minuti siamo avanti tre a zero. Io ho iniziato a servire e ho chiuso il turno di battuta con un ace alla “T” che l’avversario mi ha chiamato fuori ma che poi mi ha concesso, scusandosi.

Io mi sento sempre peggio, ho mal di stomaco, l’influenza si sta impossessando di me. Ho rimediato una bustina di un integratore salino che bevo, nonostante stia a stomaco vuoto. Ma non ho fame, per niente. Chiudiamo sei zero il primo set in una partita dove non serve fare granché per vincere. Io gioco dal lato del rovescio, e quando quello bravo indirizza la sua bella seconda sul mio rovescio io blocco il movimento, taglio la palla con il backspin e vado subito a rete. Non sbaglio una volée, che spesso indirizzo sul corpo dell’uomo a rete.

Sulle tribune ci sono parecchi soci del circolo. C’è chi ha finito di giocare, chi entrerà in campo fra poco e chi, appreso il punteggio del doppio, mi chiede se voglio rimanere dopo a fare un po’ di singolo. Declino l’invito perché mi sento sempre peggio. Andiamo sotto 0 a 1 ma poi saliamo tre a uno. Il campo, da un lato, ha un muro di cemento. Se si palleggia molto incrociato usando anche lo spazio del corridoio è facile andarci a finire addosso se non si sta attenti. Ad un certo punto, mentre palleggio sulla diagonale del diritto, a destra, l’avversario indirizza un cross molto stretto. Io taglio il campo in avanti perché tutto voglio meno che strusciare la mia Yonex addosso al muro, e quando vedo che non posso caricare il diritto perché è finito lo spazio, opto per un chop di diritto molto anticipato, un colpo tagliato dall’alto verso il basso, facendo passare la palla fuori dal paletto e indirizzandola nei piedi dell’uomo a rete di fronte a me. Il trick funziona, colpisco l’uomo e ricevo degli applausi. Perdiamo un altro game ma poi chiudiamo 6-2 il secondo set. Strette di mano, complimenti reciproci e via verso i soci in tribuna per il commento post partita. Mi dicono che con me ed Edoardo la partita scorsa, persa due a uno al doppio, l’avremmo vinta. Passano gli avversari, sento uno di questi dire che io «ho un buon braccio».   

Ci raccontiamo un po’ come è andata e c’è comunque soddisfazione per questa vittoria. Andiamo nello spogliatoio per la doccia, ci sono anche gli avversari. Arrivano i soci anziani che si informano dei nostri successi. Arriva Gennaro, che comincia sùbito a prendere in giro Edoardo. Ha un accento napoletano molto marcato e domanda subito il punteggio. «Ho vinto», risponde Edoardo, che si sta spogliando di fianco al suo avversario. «Sì vabbè, ma quanto?», incalza Gennaro. «Ho vinto bene». “Sì ma a quanto? ma allora questo era una pippa?”, insiste Gennaro. Edoardo gli risponde “che vabbé,  non è il caso di fare così” visto che l’avversario è praticamente di fronte a lui. Risate generali e tanto imbarazzo.

Passa il capitano, e ci detta la linea. “Vabbé oggi era facile. Prossimo weekend la Coppa Gabbiani riposa, poi c’è un match fra due sabati, in casa. I singolari li giocherete tu (io) ed Edoardo, perché il Casal Palocco è molto forte. Ok?”. Ci siamo, finalmente una partita vera. Mancano due settimane, vediamo di arrivarci preparati. E con un paio di racchette.


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