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Dimitrov Gran Casinò

Visto che la qualità tarda a ritornare a quei livelli che pensavamo fossero lo standard e che invece forse sono stati un’eccezione, Grigor Dimitrov quest’anno ha provato a puntare sulla quantità, almeno per quanto riguarda i tornei giocati. È già a quota otto con Montecarlo e prima degli Australian Open, nonostante una buona semifinale a Brisbane, ha deciso di andare anche a Sydney. È arrivato in finale ma neanche lì ha vinto, nonostante i match point nel tiebreak del terzo set contro Viktor Troicki. Solo nel 2013 aveva giocato così tanto prima di aprile, ma almeno allora in tre tornei aveva perso al primo turno. Quest’anno solo a Indian Wells, di un soffio ovviamente, contro Alexander Zverev. Ma i passi in avanti non si fanno certamente con le semifinali a Delray Beach o con i quarti ad Acapulco.

L’highlight della stagione, fin qui, è la vittoria contro Andy Murray a Miami. Dimitrov in quella partita ha fatto il Dimitrov, alternando soluzioni spettacolari ad inspiegabili e interminabili palleggi: fortuna ha voluto che dall’altra parte della rete ci fosse uno che quando si distrae sa fare anche peggio di lui. La vittoria, arrivata in rimonta, vale quel che vale, anche se era da parecchio tempo che Dimitrov non batteva uno dei Fab Four. E quell’ultima volta fu proprio contro Andy Murray a Wimbledon 2014, il miglior torneo della sua carriera. Ma se il giorno dopo l’exploit non riesci a battere Gaël Monfils, peraltro quando sei avanti di un set, allora quella di Key Biscayne assomiglia alla vittoria di Pirro o poco più.

Il sorteggio del torneo di Montecarlo non è stato benevolo nei riguardi di un tennista che è alla ricerca di fiducia in sé stesso e di risultati. Gilles Simon è l’avversario peggiore che si possa trovare nei primi turni dei tornei, quello che vai sempre a vedere dove è stato sorteggiato perché il suo nome è presagio di possibili rogne tennistiche. E infatti.

Ad un certo punto, sul due pari del secondo set, con il primo già dalla parte di Gilles Simon, Dimitrov ha urlato, senza neanche farsi sentire troppo, come con poca convinzione, un “aargh” di frustrazione. Aveva appena commesso l’ennesimo errore da fondo campo e visto Simon passarsi la mano nei capelli, per aggiustarli, come a dire: «un altro punto vinto in maniera agile». Si procurava una palla break sul 2-2 30-30 Grigor, ma un dritto a velocità di crociera finiva in rete. La telecamera indugiava sul suo sguardo corrucciato. Un paio di punti vinti con un forcing da fondocampo e finalmente arrivava il vantaggio: break del bulgaro, avanti 3 a 2 e servizio nel secondo set.

Il primo era finito secondo copione, visto come ha deciso di impostare la partita Dimitrov. Se giochi contro Simon devi evitare una sola cosa: rimanere ingabbiato in un palleggio da fondo campo a basse velocità, cercando di portare il pallino del gioco nella tua metà campo. E invece, con quei palleggi copiosi, i top spin molto carichi e profondi di Dimitrov sui quali Simon si appoggiava senza fatica, sfruttando la forza della palla del bulgaro, il set non poteva che terminare alla Simon way, un 6-4 d’ordinanza con un break effettuato al momento giusto.

Il tempo di sedersi sulla panchina, di dire «thank you» all’arbitro che gli aveva appena detto che ci stava mettendo troppo a servire, presagendo l’arrivo di uno warning, ed ecco il bulgaro perdere quel minimo vantaggio acquisito, con i soliti errori da fondocampo.  Colpiva Grigor, con bella estetica, e ci metteva molta forza nei suoi colpi, peccato che l’efficacia di questi fosse vana. Uno dei problemi di Grigor, infatti, è che la forza che mette in ogni colpo non si tramuta in velocità di palla –  e noi lo sosteniamo da sempre: è anche un problema di setup, di racchetta. 

Recuperato il break, Simon non tradiva la minima emozione: l’acqua del mare trova sempre sbocco sulla solita riva. Dimitrov non poteva che continuare a sbagliare, a perdere la pazienza man mano che il numero dei colpi cresceva sempre di più durante lo scambio, con le traiettorie che diventavano alte e lente, polverose, costringendolo ad allontanarsi da quelle zone di campo dove può colpire vincenti senza prendere troppi rischi. Simon saliva 5 a 3 e l’unica concessione che faceva al bulgaro era la passerella dell’hot shot, un rovescio lungolinea vincente che vedremo certamente nella sintesi della partita, giusto prima dell’immagine di Simon con le braccia al cielo.

Dopo anni passati ad allenarsi con Roger Rasheed, eccezionale preparatore fisico che ha irrobustito gambe e braccia del bulgaro, e dopo anni di aspettative mancate e di falliti tentativi di reincarnarsi in Roger Federer, Grigor ha cambiato il coach. Il parere degli addetti ai lavori era unanime: deve giocare più d’attacco, deve variare il gioco, deve giocare più vicino alla linea di fondo campo. La cacciata di Rasheed sembrava proprio un dar retta a tutti questi consigli non richiesti – per non parlare poi di quelli che suggerivano di chiudere la relazione sentimentale con Maria Sharapova, e comunque ha accolto anche quella.

Dimitrov ha bisogno di una palingenesi, di una rinascita tennistica e non solo. Dentro Franco Davín, quindi. Davín è argentino ed è stato al massimo numero 30 delle classifiche ATP negli anni ‘90. Specialista della terra battuta, Davín era seduto nell’angolo di Juan Martín del Potro agli US Open vinti dall’argentino contro Roger Federer, e questo rimarrà il successo più grande per l’allenatore.

From Nicholas Sparks to Leo Tolstoy!

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Almeno sceglie bene quello che legge.

La trimestrale di cassa 2016 dell’azienda Dimitrov non è positiva. I risultati mancano e nel tennis, quando le sconfitte per 6-4 6-3 diventano la regola, le domande cominciano a riproporsi con una certa frequenza in testa. Una di queste potrebbe riguardare proprio la scelta dell’allenatore: Davín è quello che serve a Dimitrov? Paradossalmente, potrebbe sembrare più facile far vincere uno Slam a un outsider come del Potro – almeno lo era all’epoca degli US Open vinti – che prendere la più grande promessa di una generazione tennistica e farla diventare un campione. Trasformare Dimitrov, uno che al massimo è stato numero 8 ATP e che pure ha conquistato una semifinale Slam a Wimbledon, in un campione. E questo, nell’epoca di Djokovic, Federer e Murray, e con Nadal ancora in giro anche se in versione decadente.

E allora: cosa può fare Grigor Dimitrov? Cambiare gioco a metà carriera? Non radicalmente, ma qualcosa si può fare. Milos Raonic è un esempio di come si possa modificare il proprio tennis in funzione di determinate caratteristiche. Altro esponente della cosiddetta lost generation come Dimitrov, Raonic ha iniziato il 2016 giocando un tennis completamente diverso da quello messo in mostra fino a pochi mesi prima. Raonic ha smesso di stare a fondo campo a rincorrere la palla in laterale. Ha scelto di aggredire l’avversario presentandosi a rete ogni volta che ne ha l’opportunità, e ora ha impostato il suo gioco proprio per crearsi queste opportunità. E parliamo di Raonic, uno che sotto rete non ha il tocco di Edberg ma che comunque ha un’apertura di braccia che rende difficile mettere a segno il passante, per non parlare del pallonetto. Raonic è l’esempio più convincente che si può cambiare qualcosa del proprio gioco – attenzione: gioco, non tecnica di esecuzione – anche a questi livelli. Certo, Raonic si è affidato ciecamente a Riccardo Piatti, uno che passa per essere uno bravo. Allora, più che di scelte in campo, quello di Dimitrov è forse un problema di scelte fuori dal campo?

ATP Montecarlo Grigor dimitrov


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