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La partita non inutile

Nessuno sano di mente poteva credere che davvero ci potesse essere partita perché a tutto ci sarà pure un limite e trovare le motivazioni – e qualche briciolo di energia – dopo l’impresa di ieri era davvero troppo complicato. Non potevano essere certo le ridicole questioni nazionaliste a rivitalizzare Juan Martín del Potro, tanto più che Andy Murray con l’esercito britannico che occupa le Falkland c’entra quasi quanto Palito con l’esercito di liberazione bolivariano, cioè niente. Ché poi se mai c’è uno sport in cui questo ha meno senso di qualsiasi altro quello è il tennis, con giocatori inglesi che smoccolano in spagnolo, italiani che dicono C’mon! e serbi e svizzeri che usano la loro lingua madre solo per evitare di farsi ammonire dai giudici sedia.

La fotografia della partita.

Anche se il risultato tra Murray e del Potro non è mai stato realmente in discussione perché si sapeva che del Potro avrebbe sputato l’anima prima di arrendersi ma si sapeva pure che, presto o tardi, si sarebbe arreso, ciò non toglie che sia stata una bella partita. Murray si è forse ricordato che si giocava davanti a spettatori paganti e se andava troppo avanti provava a far rientrare in partita l’argentino, così quando già era avanti 4 a 1 nel primo set il britannico (ma sì) ha regalato un servizio più che a Palito al pubblico di Rio che non aspettava altro per far sventolare bandiere albiceleste, come dicono da quelle parti. Murray ha continuato per un po’ a scambiare, variando misteriosamente la diagonale di rovescio con dei lungolinea che finivano sul drittone dell’argentino, che non aspettava altro per lasciare andare il braccio.

La sensazione era che Murray più che altro cercasse di capire in che modo Juan Martín fosse riuscito nell’impresa di liberarsi di Nadal e Djokovic. Una volta levatasi la curiosità, Murray ha chiuso il primo set senza ricorrere al tiebreak, ma siccome Andy non sarebbe quello che è se non amasse entrare e uscire dal match, ha iniziato il secondo cedendo il servizio su un lungolinea di rovescio (e non stiamo scherzando…) ed evitando di fare il controbreak nonostante tre occasioni di cui almeno una grande come una casa. Del Potro ha tenuto il servizio fino al decimo game poi Andy ha cercato di rientrare finalmente in partita. Ma del Potro non è una mammoletta, ha tirato fuori le ultime energie, ha tirato il dritto sempre più forte e ha addirittura pareggiato i conti. La partita però rimaneva una non partita, piuttosto un conto alla rovescia: quanto colpi poteva ancora tirare del Potro e fino a quando sarebbe riuscito, ansimante, ad andar dietro al un Murray che certo non si peritava di far qualcosa di particolare ma alzava via via il ritmo della partita?

Il cosiddetto marchio di fabbrica.

La risposta sarebbe arrivata con una certa rapidità, perché del Potro somigliava sempre di più al toro con le banderillas infilzate e sembrava quasi di vedere il sangue zampillare dal corpaccione dell’argentino, che andava trascinandosi sostenuto solo dal drittone e da una terribile prima di servizio. Al sesto game però, l’uomo di Tandil veniva abbandonato dalla prima e seppur riusciva a risalire da due doppi falli di fila il vantaggio era troppo anche per il tenero e generoso Murray di questa serata brasiliana. Allo scozzese non restava altro che continuare a tenere lo scambio sostenuto per veder tornare dalla sua parte sempre meno palle, e quelle che tornavano erano di velocità decisamente ridotta. Murray chiudeva 6-2 e l’ultima domanda riguardava soltanto se avesse o finito di scherzare o se lo scozzese sarebbe precipitato ancora in nella sua abulìa da vantaggio. La risposta giusta sembrava la seconda: Murray cominciava il quarto set regalando il servizio, con del Potro che di nuovo sembrava potesse rientrare in partita, ma Andy, allo scoccare delle tre ore, riprendeva il break di svantaggio con una meravigliosa palla corta arrivata al termine di uno scambio di una certa violenza.

L'Argentina ha vinto il suo secondo argento olimpico nel tennis dopo quello di Gabriela Sabatini a Seoul 1988.
L’Argentina ha vinto il suo secondo argento olimpico nel tennis dopo quello di Gabriela Sabatini a Seul 1988.

Non bastava. Una fortunata volée bassissima di delPo finiva proprio ad un centimetro dalla rete e incredibilmente l’argentino si riportava avanti di un break. Ma purtroppo del Potro davvero non aveva più la forza di tirare la prima e di sole seconde è impensabile giocare con Murray che per la quarta volta di fila aveva pochi problemi a strappare il servizio all’avversario, aggiungendo stilettate a stilettate, cioè cominciando pure a giocare degli slice talmente bassi che faceva male il solo vedere l’argentino chinarsi sempre più in basso e sempre più spesso nel vano tentativo di tenerli su. Ma quando tutto sembrava terminato, del Potro chissà dove andava a prendere le forze per portarsi addirittura a servire per il set. E ancora una volta, come altre mille volte, Murray riusciva a risalire, e chiudeva un match diventato appassionante con l’ultima striscia di quattro game di fila.

Medaglia d’oro negli abbracci.

Alla fine Andy Murray è diventato il primo giocatore della storia del tennis a vincere per due volte la medaglia d’oro alle olimpiadi. Nessuno aveva mai vinto 12 partite di fila, come ha fatto lui, e chissà quando e se qualcuno ci riuscirà mai. Al netto delle sue indolenze, Andy in questo momento appare persino superiore all’imbattibile Djokovic, che dopo Parigi si è un po’ avvolto nelle nebbie di un misterioso infortunio e che rivedremo soltanto a New York, chissà in che condizioni. Murray ha finito ovviamente in lacrime una partita dominata dalla tensione, dal tifo da Coppa Davis e dalla grinta di un avversario che doveva perdere e infatti non ha vinto. Si è avvolto nella sua bandiera come se fosse un rituale fatto altre mille volte e poi ha risposto alle solite domande con la solita scioltezza che ti prende in contropiede. È la festa del papà, Andy, come spiegherai a tua figlia cos’è successo? «Non lo so, credo ci siano dei video da qualche parte, ma chissà se ne sarà interessata».

Juan Martín del Potro tornerà ad emozionarci e a farci sospirare, regalandoci emozioni ed eliminando manmasantissima ogni volta che ne avrà l’occasione. Dopo aver battuto Nadal in tre ore e dieci minuti, aveva già alzato le mani e bandiera bianca, ma non ci credeva nessuno. E così ha finito con il volto nascosto tra quelle enormi mani così fragili, per nascondere una delusione che non avrebbe nemmeno dovuto provare. Ha fatto meglio di quanto non avesse fatto Federer quattro anni fa a Wimbledon, cosa chiedergli di più? Ecco, è questo il suo problema, non gli si può chiedere di più. Non sarà lui ad alzare i trofei che contano.

Andy Murray Juan Martin del Potro Olimpiadi 2016


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