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Bautista-Agut non va di fretta

Migliora anno dopo anno e non si pone mai obiettivi troppo ambiziosi: ma ora Roberto Bautista-Agut vuole essere pronto per fare la differenza anche negli Slam.

Migliora anno dopo anno e non si pone mai obiettivi troppo ambiziosi: ma ora Roberto Bautista-Agut vuole essere pronto per fare la differenza anche negli Slam.

La prima volta che abbiamo visto giocare Roberto Bautista-Agut dal vivo fu al Challenger Rai di Roma, nel 2012. Era un sabato soleggiato, si giocava la semifinale, e lo spagnolo sconfisse Dusan Lajovic per 6-1 6-2. Il rovescio del serbo era il colpo migliore dei quattro da fondocampo; Lajovic mise a segno qualche bel vincente ma la regolarità di Bautista-Agut non concesse nessun dubbio sull’esito della partita. Quel che ci colpì, all’epoca, fu che il tennis di Bautista-Agut era quanto di meno spagnolo fosse possibile. Il suo gioco era un mix di intelligenza e praticità in tutte le zone del campo.

Il suo fisico non era certo quello dei mostri Nadal e Ferrer, che dominavano il circuito mentre lui giocava i Challenger, e i suoi colpi non erano pesanti come quelli di Verdasco, per non dire delle sue volée, lontane anni luce dalle esecuzioni di Feliciano López. Eppure, Bautista-Agut riusciva a raggiungere la sufficienza piena in tutte queste esecuzioni, in tutte le zone del campo, avviandosi a quel che, all’epoca, si sarebbe potuta definire come un’onesta carriera di un onesto tennista senza ambizioni superiori al suo talento.

Cresciuto al riparo dalla notorietà, perché Rafa si prendeva i titoli dei giornali fra vittorie, sconfitte e infortuni, RBA è potuto crescere anno dopo anno, migliorando a poco a poco fino ad arrivare fra i migliori senza saltare un passaggio. Non ha ancora fatto l’exploit in un torneo dello Slam, una tipologia di tornei in cui non ha mai brillato e in cui non ha mai deluso: dal 2012 ad oggi ha perso una sola volta al primo turno (alla prima partecipazione, agli Australian Open 2012) e in ogni Major è arrivato almeno agli ottavi, non riuscendo ad andare mai oltre. Anno dopo anno, ad ogni modo, la sua costanza lo ha portato fra i migliori venti del mondo. E allora tutti si sono accorti di lui, anche se è un giocatore che non infiamma le platee con colpi spettacolari o con comportamenti sopra le righe. Lui è il tennista che avanza lentamente, che migliora anno dopo anno e contro il quale, ad un certo punto del torneo, bisognerà fare i conti.

Un colpo à la Federer, in pratica
Un colpo à la Federer, in pratica

Spagnolo di Castéllon de la Plana, ha passato la sua infanzia a dividere il suo tempo fra calcio e tennis, proprio come Nadal. “Bati”, questo il suo soprannome, ha giocato nel Villareal prima di scegliere definitivamente il tennis alla soglia dei 14 anni. Figlio di un bancario, ama l’equitazione e possiede due cavalli. Non avesse fatto il tennista avrebbe giocato seriamente a calcio, dice lui, proprio come Nadal. Oppure avrebbe fatto il fantino.

Il fisico ce l’ha.

Fino al 2012 giocò prevalentemente i Challenger e i tornei di qualificazioni agli eventi maggiore. Nel circuito ATP vinse solamente tre partite, di cui una battendo Seppi al torneo di Miami. Tanto gli bastò per entrare nei top 100, quello che si considera il break-even di un tennista senza troppe ambizioni. Ma RBA è qualcosa di più di un tennista senza troppe ambizioni, e dall’anno seguente il suo nome diventò una certezza dietro a quelli dei più forti. Conquistò la sua prima finale in un torneo ATP, a Chennai, battendo il primo top 10 (Berdych) e partecipò (finalmente) a tutti e quattro i tornei dello Slam. Nel 2014 salì ancora di qualche gradino. Davanti a lui, nella classifica del suo paese, c’erano solamente Nadal, Ferrer e Feliciano López. Se l’anno prima aveva raggiunto la finale a Chennai, il 2014 fu quello del primo torneo vinto, sull’erba di ‘s-Hertogenbosch in giugno, vittoria che bissò un mese dopo trionfando sulla terra di Stoccarda. A Madrid, qualche mese prima, aveva raggiunto la sua prima semifinale in un Masters 1000, perdendo contro Nadal. Negli Slam raggiunse il quarto turno in due occasioni, Australian Open e US Open, e il terzo turno sia a Wimbledon che al Roland Garros. Piccoli miglioramenti, ancora una volta, ma che questa volta gli valgono l’ingresso fra i 15 migliori del mondo. Il 2014 termina con le ATP Finals, seppur da riserva: oramai è uno dei migliori e i suoi colleghi gliene resero atto scegliendolo come “ATP Most improved player of the year”. L’anno seguente si mantenne sullo stesso livello; non vinse tornei ma al tempo stesso non tradì praticamente mai: vinceva le partite che doveva vincere e si arrendeva solo di fronte ai migliori.

I suoi miglioramenti sono frutto del lavoro costante e del perfezionamento della tattica di gioco grazie agli allenamenti con Tomas Carbonel, già numero 40 negli anni ‘90 e che giocava da fondocampo senza arrotare troppo, non disdegnando la rete. Un po’ come Bautista-Agut insomma.

Con Bautista non si possono mai giocare delle voleé approssimative. Mai.
Con Bautista non si possono mai giocare delle voleé approssimative. Mai.

Mentre tutti gli spagnoli tutti i suoi compagni spagnoli facevano a gara di topspin, esasperando sempre di più rotazioni e impugnature, Roberto Bautista-Agut andava in controtendenza, preferendo giocare con i piedi più vicino alla linea di fondo campo e anticipando gli impatti quando possibile. Bautista non è il tipo di giocatore che colpisce sempre in uno stesso modo, in ogni situazione; sa adattare il gesto al momento dello scambio, variando i movimenti dei suoi colpi, aggiungendo spin se serve o colpendo di piatto. Riesce a fare questo da entrambi i lati del campo, ed è da fondo che si esprime meglio, perché Bautista-Agut è l’esempio perfetto del tennis percentuale applicato, ovvero del fare la cosa giusta e con meno rischi in ogni situazione di gioco, avendo pazienza in ogni punto. Così, questa sua tecnica di gioco gli consente di esprimersi al meglio sul cemento, superficie sulla quale ha ottenuto i risultati più importanti in carriera: a Shanghai, un paio di mesi fa, ha ottenuto la prima finale in un Masters 1000 battendo in semifinale l’allora numero 1 del mondo Novak Djokovic.

Il suo 2016 è l’anno migliore anche se ha avuto dei problemi familiari e con il suo coach. I risultati però, a fine anno, parlano chiaro. Le vittorie ad Auckland e Sofia sono state certamente minori, alberi che cadono nella foresta, ma quando ha battuto Novak Djokovic in semifinale al torneo di Shanghai è stato un terremoto. Il serbo si stava giocando il numero 1 della classifica con Murray, che poi vincerà il torneo negando a RBA la prima vittoria di un torneo Masters 1000. Ma va bene così, perché lo spagnolo ha fatto un ulteriore passo in avanti in carriera e vincere i Masters 1000 è roba per pochissimi eletti, e forse lui non è ancora pronto. Il suo obiettivo per il futuro è un altro: migliorare i risultati nei tornei dello Slam.

«Quest’anno ho giocato bene, ho perso 6-3 al quinto con Berdych in Australia, sono stato l’unico assieme a Murray a vincere un set contro Djokovic a Parigi. Poi ho giocato male a Wimbledon, dove ho raggiunto il terzo turno e a New York ho perso in 5 set contro Pouille. Devo riuscire ad arrivare alla seconda settimana degli Slam», ha raccontato a Mundo Deportivo. Tornato a Londra per la seconda volta, ancora da riserva, ha assaporato l’atmosfera, intascato il gettone di presenza, perché lui guadagna sì, ma non è di certo una star: «È un obiettivo che sento lontano per ora, e non è fra le mie priorità. Ma giocando una buona stagione chissà che non possa giocarlo». Se abbiamo imparato a capire come ragiona, nel 2017 penserà agli Slam, tralasciando i pensieri alle ATP Finals. Ma se farà bene nei tornei maggiori il resto arriverà di conseguenza.

Roberto Bautista-Agut


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