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Piove

Dovevamo capirlo: non era ancora finito il primo match sul Philippe Chatrier che già una tennista era in lacrime, sollevata per essere tornata in campo dopo un’aggressione avvenuta meno di sei mesi fa a casa sua. È cominciata così una settimana piena di occhi lucidi, quelli di chi è arrivato per la prima volta agli ottavi e non pensava di passare un turno e quella di chi ha perso agli ottavi e pensava di arrivare fino in fondo.

Pablo Carreño-Busta
Dello spagnolo abbiamo sempre avuto poca considerazione: non ha un tennis speciale, sa correre molto, non arriverà mai in top 10. Ha già 26 anni, dopo tutto, ma da un po’ questo tennista spagnolo che sembra condannato a essere chiamato con entrambi i cognomi fino alla fine della carriera ottiene risultati che farebbero gioire tanti altri giocatori (riferimenti del tutto casuali): nel 2016 ha vinto il primo torneo della carriera, sul cemento di Winston-Salem; qualche settimana dopo si è ripetuto indoor, a Mosca; infine, qualche settimana fa, ha alzato il primo trofeo su un campo in terra battuta, stavolta ad Estoril. Sono tornei minori, è vero, e difficilmente ci si costruisce una carriera da top 10. Ma Pablo ha cominciato a fare sul serio anche nei tornei più importanti: a Indian Wells è arrivato in semifinale anche se con la collaborazione di un tabellone fortunato; al Roland Garros, invece, la fortuna se l’è costruito da solo, battendo Grigor Dimitrov e Milos Raonic, uno di fila all’altro, e raggiungendo per la prima volta i quarti di finale. A dire il vero, pure gli ottavi erano una novità per lo spagnolo, che in effetti ha tremato parecchio prima di riuscire a vincere contro Raonic, arresosi solo al settimo match point. Le emozioni, per Carreño-Busta, devono essere state troppe, e non è riuscito a trattenerle quando hanno tentato di intervistarlo.

https://twitter.com/Eurosport_ES/status/871381623907917826

Garbiñe Muguruza
Muguruza, campionessa uscente al Roland Garros, è arrivata a Parigi con poche aspettative. Però, non c’era (e non c’è) una chiara favorita e quindi perché non avrebbe dovuto riprovarci, dopo tutto? I pessimi risultati ottenuti dopo quell’exploit suggerivano che Muguruza non avrebbe combinato granché nel torneo che l’ha fatta entrare nell’élite delle campionesse Slam. Poi però è arrivata, ha vinto un paio di partite toste e ha cominciato a fare capolino l’idea che Garbiñe avrebbe potuto dire la sua. Ma contro Kiki Mladenovic, e il pubblico del Roland Garros, Muguruza non ha trovato rimedi. Ha giocato una bella partita, tutto sommato, e l’attesa che si era creata intorno a questa match non ha avuto paragoni, nemmeno nel tabellone maschile. Quando è arrivata in conferenza stampa, ha provato a fare la dura, ma alla terza domanda ha dovuto chinare il capo, prendersi un paio di minuti per asciugare le lacrime: di rabbia, di nervosismo, di frustrazione, magari pure di sollievo, chi lo sa. Fatto sta che Muguruza non è più una campionessa in carica, non è nemmeno più in top 10 e forse per un po’ potrà pensare ad altro.

Steve Johnson
Anche l’americano, come Carreño-Busta, ha cominciato a vincere tornei da poco – è campione in carica a Nottingham e a Houston – ma rispetto allo spagnolo ha un paio d’anni in più e ancora meno speranze di entrare in top 10. È davvero difficile non provare simpatia per questo ragazzo statunitense che sembra fare di tutto per smentire i luoghi comuni sugli yankee: non ha il servizio di Isner, non ha il dritto di Sock e naturalmente non ha le volée dei fratelli Bryan. Un paio d’anni fa giocò una bellissima finale a Vienna, ma non gli bastò lottare punto su punto contro un Ferrer che allora si giocava ancora l’accesso alle Finals. Per fortuna, Stevie J ha una dote ben definita: sa aspettare il suo momento. Al Roland Garros di quest’anno non ha superato il terzo turno, come già successo tante altre volte – solo a Wimbledon, un anno fa, è riuscito ad arrivare agli ottavi – ma contro Dominic Thiem poteva fare ben poco. E poi, uno come lui era riuscito a conquistare i titoli dei giornali due giorni prima: dopo la vittoria in cinque set contro Borna Coric, uno che potrebbe mandare ai matti perfino Bautista-Agut. E ci si è messo pure l’arbitro, ad un certo punto, che ha dato un inspiegabile warning a Steve. Ma alla fine è stato Johnson a vincere: finito il match tra i due, durato quasi quattro ore, il croato se l’è presa con la racchetta mentre dall’altra parte lo statunitense, il cui padre è morto di recente, si è lasciato andare alle emozioni.

https://twitter.com/TennisChannel/status/869916957075677184

Fisicamente sono a posto, è mentalmente che sono un casino.

Veronica Cepede Royg
Questa tennista paraguaiana la conoscevano in pochi prima del torneo, e non saranno molti quelli che se la ricorderanno tra un anno, quando dovrà difendere i punti degli ottavi raggiunti in questa edizione. A dire il vero, Cepede Royg è stata a due game dai quarti, visto che è riuscita ad arrivare fino al 4-4 del terzo set contro la numero 2 del tabellone, Karolina Pliskova, una che ci si aspetta che perda da un momento all’altro ma anche agli ottavi è riuscita in qualche modo a vincere. Insomma, non si può certo dire che Veronica Cepede Royg abbia sprecato una grossa chance di arrivare ai quarti di uno Slam, ma se l’avesse fatto non ci saremmo sorpresi più di tanto. Forse non credeva di essere arrivata così in fondo. Dopo aver battuto Safarova, finalista due anni fa, e Pavlyuchenkova, numero 16 del tabellone, Veronica si è giocata l’accesso agli ottavi contro l’amica e compagna di doppio Mariana Duque-Mariño, anche lei poco abituata a giocarsi così tanti punti in soli tre set. Dopo aver perso un primo set nervosissimo, Cepede Royg è riuscita a cambiare le sorti del match e a qualificarsi al turno successivo. «Ero talmente tesa che mi veniva a vomitare» dirà a fine partita, sulla soglia delle lacrime. Che poi lascerà ovviamente uscire, assieme a tutta la tensione.

Nicolás Almagro
All’inizio della stagione sulla terra battuta, avevamo scritto che ci aspettavamo un exploit da Nicolás Almagro. Non una vittoria in un torneo, nemmeno una finale o una semifinale, ma una sola grande partita sì. Non è certo il tennis che manca allo spagnolo, che è stato un top 10, ha giocato quattro volte nei quarti di finale di uno slam – incredibile quello buttato a Melbourne nel 2013, tre al Roland Garros ed è arrivato ventitré volte in finale in un torneo ATP, sempre e solo sulla terra battuta. Ci è andato vicino a Madrid, Nico, anche se battere Novak Djokovic non è certo difficile come dodici mesi fa. La sua fragilità mentale è stata il più grande ostacolo ad una carriera che in parecchi non possono vantare, e questo scorcio di 2017 ne è stata solo l’ennesima, triste conferma: più che la sconfitta con Zverev a Barcellona, lo spagnolo ha più di qualche rimpianto per la partita persa con Djokovic, quando non è riuscito ad approfittare di un avversario sempre più spazientito da circostanze sempre più sfavorevoli. Ma alla fragilità mentale di questo trentaduenne, si è recentemente aggiunta la fragilità fisica. Nella settimana successiva a Madrid, un problema al ginocchio lo ha costretto al ritiro contro Nadal, e la stessa scena si è ripetuta al Roland Garros, nel secondo turno contro Juan Martín del Potro, uno che di lacrime se ne intende. Più per la frustrazione che per il dolore, Almagro si è gettato a terra, impotente contro il destino. Come tutti gli altri, del resto.

Roland Garros 2017


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