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Pomeriggio romano

Troppo tennis per un pomeriggio solo a Roma.

Troppo tennis per un pomeriggio solo a Roma.

La donna dai capelli castani segue con attenzione un paio di punti e poi decide che basta così. È stufa, sblocca il telefono, che non ha mai lasciato fra le sue mani, e decide di evadere dal catino nel quale è stata catapultata. C’è il sole a Roma, e questo deve esser bastato a convincerla a uscire di casa verso il Foro Italico, nonostante lei, del tennis, pensi tutto il male possibile.

Ma d’altronde si tratta di uno sport nel quale si gioca da soli e nel quale si parla da soli o contro figuri immaginari, difficile darle torto. Non alza mai sui capelli freschi di parrucchiere i suoi occhiali di marca neri, parla solo un attimo per chiedere chi sia questo biondino, Shapovalov, l’ha riconosciuto. “Ammazza ma è giovane!” “Sì, è uno di quelli che dovrebbe diventare forte. Non oggi però”.

La vittoria al primo turno è stata la decima partita vinta da Shapovalov su terra battuta in carriera.

Djokovic non dice una parola. Non si abbandona a gesti. Il suo tennis è quello regolare, senza rischi eccessivi, oggi poi neanche ce n’è bisogno. Basta palleggiare, mettere dentro il servizio, e i punti arrivano copiosi sotto forma di errori dell’avversario: c’è di meglio per non sprecare energie in una giornata di doppio turno? Poi però, sul 3-3 del secondo set, dopo aver perso l’ennesimo punto quando serve Shapovalov, Nole sfascia una racchetta sulla sua scarpa. Non dice una parola. Prende il warning da Bernandez. La signora si desta, basita, e domanda usando l’idioma del luogo cosa stia succedendo: “Ma perché ha sbroccato questo?”.

“He’s sick obsessed of being liked”

“Succede che questi tre game dovevano essere tutti suoi invece li ha persi. Quindi rosica”. Il warning funziona, Novak finalmente vince il game quando serve il biondino e conclude la partita, se mai è stata tale. “Vabbè però potrà dire che ha fatto rompere una racchetta a Djokovic” dice la signora mentre si passa una mano fra i capelli guadagnando le scale. 

Lasciamo la corporate hospitality preparandoci ad affrontare la barriera umana che separa il centrale dalla Grandstand Arena, brandendo una birra. Sarda, ovviamente. Uno sguardo prolungato verso l’oste al momento della richiesta gli fa capire di essere generoso prima di chiudere il rubinetto.

C’è Berrettini in campo contro Schwartzman, ma quando prendiamo posto uno sulle tribune decide che è tempo di morire, o quasi. Arrivano i sanitari e il pubblico maschera la gioia per la ripresa del gioco a pochi game dall’inizio tributando un applauso che dovrebbe significare “Riprenditi o muori, basta che fai in fretta”.

L’argentino fa il break subito, ma in realtà è Berrettini che si consegna sbagliando tutto il possibile: è chiaramente emozionato. Serve uno scossone. Scaglia una palla e prende il warning. “Ma che è sto warning?”, Chiede la signora che siede sempre in favore di sole. Sul Grandstand si vede che c’è gente ancora meno abituata al tennis di quella del centrale e quindi segue spiegazione tecnica, ma lei dice che non fa niente, grazie, ha capito. Mente, è solo più stufa di prima. Matteo salva due palle del 5-1 e il pubblico scandisce cori d’incitamento.

Per Schwartzman è la terza volta nei quarti di finale di un Masters 1000.

Non potremo essere più lontani dalla corporate hospitality sulla grandstand arena. Ci mancano le coccole sotto forma di bagni senza fila, patatine, noccioline e soprattutto birra ghiacciata. Berrettini fa un bel punto con una volée stoppata. Il pubblico si esalta. Diego replica nel punto seguente, con la stessa cosa: difende a oltranza da fondo poi accelera un paio di volte e va a rete per la volée. Berrettini gli propone un back di rovescio difficile ma Diego gioca una volée stoppata strepitosa che fa ridere nervosamente l’italiano. Il pubblico applaude come se fosse costretto.

La signora giace assopita nell’angolo basso della tribuna est, vicino a uno dei raccattapalle. I suoi pensieri sono lontano dal Foro Italico, il match è brutto ma anche fosse stato bello poco sarebbe cambiato. Sembra più cercare di voler capire i percorsi dei raccattapalle, quando è perché si passano le palline fra loro. Gli italiani intonano cori MAT-TE-O, si spera che si riferiscano a Berrettini, e dopo un po’ diventano molesti acusticamente.

L’appuntamento con l’esibizione del re arriva a pomeriggio inoltrato. C’è ressa per entrare, e poteva essere diversamente?  Qualcuno prova a forzare la resistenza degli steward, in tribuna ci si inventano posti, si sgomita, qualcuno è scortese: c’è Federer a Roma, fanculo le buone maniere. Il sole è depotenziato ma scalda la tribuna vicino al Tevere. Coric tiene mansueto il pubblico andando subito in corposo vantaggio. Roger sembra frastornato. Forse ha scambiato l’Arena per uno dei campi periferici. Come noi, anche lui non potrebbe essere più lontani dal centrale dove è ora.

Coric è ben altra cosa rispetto a Sousa. Federer fa fatica a contenere l’esuberanza del croato, che non fa una piega quando Roger fa le cose per le quali è idolatrato, inventare colpi sul campo. Il pubblico si inebria delle sue giocate, Coric però vince i game e il primo set. 

Vale il prezzo del biglietto, specie se te l’hanno regalato.

Mentre Federer dissipa rapidamente la prima palla break della partita, conquistata grazie a una resistenza da fondocampo quasi partigiana, la donna dell’occhiale scuro è annoiata. Si trasfigura altrove con la mente è rimane impassibile quando il pubblico sospinge Federer al break che lo porta in vantaggio nel secondo set, che poi vince.

Finalmente il pubblico può festeggiare. Il re sta vincendo, a Roma, dove sta giocando per l’ultima volta. Si rimane fin che si può sugli spalti in questo giovedì nel quale le partite non sembrano finire mai. Quando il re finisce, battendo Coric invitandolo a riflettere sulla partita, ci sarebbe ancora tanto tennis. Ma abbiamo gli occhi pieni di Federer, rimanere a vedere altri giocatori sarebbe uno spergiuro tennistico. La donna con l’occhiale scuro finalmente è felice.

Atp Roma 2019


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