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Tennishipster: no sleep till Flushing Meadows

Di tutti gli Slam, gli US Open sono quelli che il tennishipster – curiosa figura ossessionata dal tennis ma soprattutto dal desiderio di distinguersi dalle altre figure ossessionate dal tennis – ama meno. È colpa un po’ di New York e del suo fascino così mainstream e un po’ di quegli stadi così grandi e così chiassosi. Al tennishipster piacciono i rumori ovattati, i sussuri del pubblico tra un punto e l’altro, i divieti per i selfie stick. A Flushing Meadows, invece, governa il caos più totale. Fuori dal campo, nel campo, sugli spalti e fuori dallo stadio: ogni centimetro quadratro del Billie Jean King National Tennis Center puzza di patatine fritte e di alette di pollo KFC, e al tennishipster, inorridito, non resta che consolarsi col fatto che dal divano di casa non può fortunatamente sentire quell’insopportabile fetore.

Il fatto che però rende New York un po’ più simpatica al tennishipster è che l’orario statunitense permette di vedersi quasi tutti i match dei suoi beniamini. Mentre la sessione serale è roba da multivincitori Slam o da antipatici yankee con un pedigree discutibile, nella sessione giornaliera gioca tutto il meglio che un hipster del tennis può sognare. È uno Slam faticosissimo, perché il caldo annebbia la mente e rallenta i riflessi: il nostro maniaco del tennis, che si rinfresca con le brezze e i rovesci da clima continentale che danno sollievo alla sua città, soffre con i suoi prediletti mentre li vede arrancare in qualche campo periferico. Da quest’anno, ci sono quattro campi in più e il tennishipster non può che rallegrarsi di questa evenienza, perché naturalmente si tratta di campi dove vengono solitamente confinati i tennisti di quarta fascia. Con una stretta al cuore, il tennishipster si rammarica di non aver potuto festeggiare dodici mesi fa con i rumorosissimi dominicani la grandiosa vittoria di Victor Estrella Burgos contro Borna Coric. Perché il tennishipster non sopporta il becero chiasso della folla dell’Arthur Ashe o i fischi di approvazione che la middle-class al Louis Armstrong riserva a qualche tennista di prima o seconda fascia che ha appena concluso una noiosissima vittoria di routine; ma il tifo delle minoranze, le esultanze per una palla break annullata a inizio quinto set, il rammarico per un doppio fallo nel momento più delicato della partita possono invece essere sottolineate da qualche decibel in più. Perché tanto siamo sul campo numero 6, chi vuoi che ci senta?

Nel primo giorno degli US Open, il tennishipster sa naturalmente quale match non si potrà perdere. Ha studiato attentamente il tabellone, come fa sempre nei tre giorni che precedono il primo giorno di gioco, e ha ovviamente sottolineato col pennarello rosso il match tra Marco Cecchinato e Mardy Fish. Sebbene non abbia un motivo valido per tifare i suoi connazionali, la storia di Cecchinato gli suscita quell’empatia che ogni tennista gravitante intorno alla centesima posizione è in grado di risvegliare. Fish, invece, è il suo prediletto, nonostante i trascorsi da top-10: la sua bellissima storia, fatta di umanità e di debolezza, lo ha commosso, lavando quei peccati che generalmente non vengono perdonati a chiunque si sia qualificato per il Masters. Al tennishipster, per questioni genetiche, non piacciono i tennisti d’élite; e ancora meno, per via di qualche malsano pregiudizio, gli piacciono i tennisti statunitensi. Ma Mardy Fish gli piace e quando batte Cecchinato al quarto set si dice: ben fatto! La partita non è granché, ma il tennishipster è abituato a queste situazioni, dopo tanti anni di ricerca tra le sudate carte, alla caccia della next big thing.

A proposito dei tennisti “ve l’avevo detto” (la locuzione che preferisce ripetere più spesso per godersi gli sbuffi dei suoi interlocutori), i primi giorni di New York sono stati ovviamente una passerella per quei tennisti che tutti cominciano a scoprire ora, dopo anni di appelli del nostro inascoltato fanatico. In questa giungla concreta che è la città di New York, il baccano sormonta ogni tentativo disperato del tennishipster di ricordare a tutti che lui i Chung, gli Zverev, i Rublev e i Coric (per non parlare dei Nishioka o dei Kokkinakis) li segue da ben prima che si chiacchierasse così tanto su di loro. Ma il nostro eroe è più che vaccinato ad essere snobbato e ha imparato a non prendersela più di tanto. Del resto, è troppo impegnato a tifare per Ruben Bemelmans contro Jack Sock, il noiosissimo americano che ha interrotto sul nascere il sogno di Victor Estrella Burgos di replicare la (magnifica) scorsa vittoria dello scorso anno. Bemelmans è un giocatore che il tennishipster ha annotato sulla sua Moleskine limited edition da più di qualche anno: eppure è solo da poco tempo che questo magnifico esponente dell’elegante scuola belga ha cominciato a frequentare gli Slam e il tennishipster non può che essergliene grato perché vedere quello slice di rovescio ripaga tutte le volée terminate in rete, gli smash in corridoio o gli scambi infiniti che mettono a dura prova la resistenza del nostro.

jack sock us open
Se non hai la fionda di Davide, per fare cadere a terra i giganti basta toglierli i sali minerali

Jack Sock rappresenta tutto ciò che al tennishipster non piace. Con quella faccia e quel fisico è poco sorprendente che sia nato in una città che si chiama Lincoln; il tennishipster può immaginare la sua casa: piccolo giardino, veranda in legno bianco con orrendo dondolo in abbinato e naturalmente Stars and Stripes ben piantata, nel caso qualcuno avesse dubbi che lui non sia un autentico WASP. Il tennishipster lo vede commuoversi ogni 4 di luglio, mentre intona commosso, naturalmente assieme alla sua famiglia, “Oh, say can you see, by the dawn’s early light”. La partita procede lungo i binari previsti e il tennishipster sta per rivolgersi altrove quando il povero Jack comincia a zoppicare e chiede l’intervento del medico. Sembra incredibile che quel colosso possa farsi sconfiggere dalla carenza di sali minerali, ma alla fine Sock è costretto ad abbandonare al torneo. Per il tennishipster, tuttavia, è una vittoria amara: i tennisti mainstream, infatti, vanno combattuti ad armi pari. Mentre si congratula con il suo belga prediletto (dato che David Goffin ha deciso di intraprendere una carriera da testa di serie, povero lui!), scopre con un certo stupore che la sorte di quello statunitense non gli è indifferente e spera di rivederlo in campo a breve. Ha fatto il prepotente ma ora è tra i più deboli: domani sarà di nuovo un nemico, ma almeno per oggi il codice d’onore del tennishipster gli impone il gloria victis.

Tennishipster US Open 2015


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