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Fuga dall'inferno

A Wimbledon, come sempre, in fondo al torneo sono arrivati i soliti. Che tempio sarebbe del resto se le cose non si ripetessero sempre immutabili, come se fossero sempre state e come se fossero destinate ad essere sempre? Una delle tanti cattedrali, nemmeno la meno irrilevante, del tempo aristocratico che fu, che poi divenne borghese ma che sempre ha conservato e conserva l’idea dell’alienazione ha deciso di multare Bernard Tomic perché “non era motivato”. Come succede da qualche tempo il tennista australiano – ma Bernard è nato in Germania e i suoi genitori sono croati – vaga per i campi di tutto il mondo senza particolare convinzione, del tutto incapace di regalare più di mezz’ora, massimo un’ora, di tennis ai sempre più rari spettatori che vanno a vedere i suoi match di primo o secondo turno. Dopo una fase in cui Tomic sbraitava e teneva comportamenti da tardi anni ’50, da un po’ di tempo sembra essere subentrata una sorta di rassegnazione che sembra una forma di nuova consapevolezza: quello che sta facendo evidentemente non gli piace. Il velo di cui sono dotati i commentatori sportivi farebbe leggere loro persino questa frase in un modo del tutto improprio, meglio spiegarla: a Tomic non è che non piace come gioca, non gli piace proprio il gioco in sé. Il tennis insomma, quella roba per monomaniaci che da quando ti svegli a quando vai a letto ti fa pensare a come tirare in modo sempre più preciso il dritto, il servizio, il passante e addirittura la volée se hai una passione per il vintage .

Il caso di Kyrgios, il più talentuoso degli ultimi anni, è praticamente identico. Nick ha spiegato in tutti i modi che se riuscisse a trovare un lavoro onesto o qualcosa del genere abbandonerebbe anche domani il tennis. Circondato da un mondo che passa le giornate a spiegargli quanto sarebbe fortunato, Kyrgios ha provato a lungo a trovare un modo alternativo per divertirsi. Stremato da rimbrotti e pene senza senso – servirebbero all’ATP, gli psicoanalisti – anche Nick sembra precipitato in una sorta di spleen: scambia messaggi al cellulare ai cambi di campo, non si allena se pensa di sporcare la macchina, trova dei provvidenziali infortuni che lo salvano dal dover spiegare che proprio no, non ha nessuna intenzione di stare a penare per ore e ore.

I due australiani non sono certo delle eccezioni. Benoit Paire è uno che ha trovato una sua strada semplicemente disinteressandosi di partite, risultati, comportamenti. Dolgopolov è chiaramente più attratto dalla possibilità a mostrare i propri selfie in meravigliose spiagge tropicali che dall’idea di passare l’off season a lavorare per l’ennesimo miglioramento in classifica; lo stesso Fognini ha confusamente compreso che non c’è tanto da guadagnare da una vita a là Seppi, punto dopo punto, ché tanto poi non vinci lo stesso a dirla tutta. E l’elenco potrebbe continuare, da Klizan a Janowicz , da Almagro a Brown, da Petzschner a Verdasco e chissà quanti altri.

La bolla che circonda il mondo del tennis è sempre pronta a ritenere che queste siano vie d’uscita di giocatori che non hanno il talento sufficiente per vincere uno Slam o cose del genere, esercitando il più classico dei moralismi d’accatto: come si permettono questi ragazzoni privilegiati di non ringraziare il cielo una volta al giorno e due volte la domenica per la fortuna che hanno? Con tutti quei soldi, la gioventù, i viaggi, hanno pure il coraggio di lamentarsi? In miniera dovrebbero andare, tuonano sorseggiando la pessima birra dalla terrazza di quella fiera di quartiere vicino a Southfields, dopo aver scritto l’ennesimo brutto articolo ciondolando da una parte all’altra del – non sbagliate eh? – All England Lawn Tennis and Croquet Club. Tanto mica sono loro a doversi negare la nottata in discoteca, il viaggio con gli amici, la conoscenza di altri mondi, qualche buona lettura, per ripetere ancora e ancora quel piegamento, quel movimento del polso, quel dannato lancio di palla.

Peccato che anche questa idea del “talento insufficiente” non colga il punto. Segnali di fuga dall’alienazione si sono avuti, si hanno e si vedono sia nel passato, da Borg a McEnroe, ma anche da fieri picchiatori come Courier o grandi lavoratori come Hewitt, al presente. Il crollo di Djokovic è quello di uno che ha sempre sospettato, anche quando era un robot, che la vita fosse qualcosa di diverso di un campo, una tribuna, un urlo, da ripetere sempre uguale e, finito il compito, ha pensato che non ne valesse troppo la pena, si può vincere anche senza e se non vinco è uguale. Murray, il numero 1 del mondo, probabilmente ride delle considerazioni sul “più scarso numero 1 dai tempi di” e anche quando non lo era ha messo sempre in chiaro le sue priorità e colpire una palla lo era fino ad un certo punto.

La multa a Tomic, che coglie nel segno quando sostanzialmente dice “siete dei poveri frustrati”, è il tentativo dei padroni delle ferriere di rieducare il reprobo; a loro, forse non dispiacerebbe un trattamento alla Ludovico Van, solo che questi sono lavoratori alienati ma ricchi e possono fare una pernacchia a Southfields, a Church Road, alle Doherty Gates, al Centre Court e pure alle fragole con panna. C’è solo da imparare.

bernard tomic Wimbledon 2017


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