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Un talento per tanti Federer: così si sopravvive al tempo

Nel 2013 in molti consigliavano a Roger Federer il ritiro. I problemi fisici ne avevano appannato il gioco, giusto un anno dopo aver vinto il suo ultimo Slam, Wimbledon 2012. Federer ci aveva messo del suo, provando a cambiare la racchetta, l’attrezzo con il quale giocava praticamente da sempre, nel mezzo della stagione. Andò male, almeno all’inizio, e ad ottobre lo svizzero arrivò a separarsi da Paul Annacone. Qualche settimana dopo, novembre 2013, Federer annunciò che Stefan Edberg lo avrebbe seguito per dieci settimane, a cominciare dall’Australian Open 2014. Il resto è storia recente. Lo svizzero, tornato in piena condizione atletica e ripresa la racchetta con un nuovo ovale abbandonata l’estate precedente, ha giocato un ottimo 2014, pur mancando l’acuto, ovvero la vittoria in una prova dello Slam. Ci è andato vicino, nella bellissima finale di Wimbledon persa al quinto contro Djokovic. Quel che Federer ha fatto di sorprendente oltre all’essere tornato competitivo ai massimi livelli è l’aver nuovamente cambiato il suo tennis. Come ha fatto nel corso della sua carriera, Roger si è adattato nuovamente, questa volta al fattore età, tornando a giocare in maniera più aggressiva e rapida. Come agli esordi.

L’inizio di Federer è la fine di un’era
L’esordio di Roger Federer nel professionismo avvenne quando ancora si vinceva giocando bene a tennis. I campi erano decisamente più veloci, le racchette avevano l’ovale più piccolo, le impugnature erano più chiuse. Ma soprattutto, se ci si voleva affermare al vertice, la tecnica era l’aspetto principale su cui basare il proprio gioco. Meno di 20 anni fa gli stili di gioco erano ancora molto differenti; le superfici, che differivano tra loro soprattutto per via dei coefficienti di rimbalzo, costringevano i giocatori ad adottare schemi di gioco differenti a seconda che si giocasse sull’erba o sul cemento.

Guardate questo scambio, siamo nel 1998. Aperture, rovescio in back, gomito alto nel finale di diritto incrociato; Roger Federer a 17 anni, contro Agassi, è praticamente la fotocopia di Pete Sampras.

Questo invece è Federer nel 2003, sempre con Agassi. Il diritto è più arrotato, il servizio sta cambiando e Roger gioca con lo scopo di chiudere tutti i punti velocemente.

Il primo Federer, quello che si affermò su Sampras e Agassi, adoperava in campo un gioco poco ragionato, molto tecnico, costruito sull’istinto puro. Del resto esordiva quando i più forti, ormai quasi a fine carriera, giocavano un tennis maggiormente incentrato sulla tecnica. Questi campioni erano gli alfieri di un gioco lineare, preciso, anticipato, e che si giocava ancorati alla riga di fondo con traiettorie poco liftate, con la palla che arrivava rapida dall’altra parte. Bisognava saper rispondere al servizio-volée di Sampras sui prati (più veloci, rispetto ad oggi), reggere la pressione asfissiante da fondo di Agassi, che aveva variazioni di gioco raffinate, oppure fronteggiare la strapotenza a tutto campo di un giovane Safin.

Roger Federer nel 2003: vinse Wimbledon per la prima volta
Roger Federer nel 2003: vinse Wimbledon per la prima volta

Il gioco di Federer a quei tempi sorprese il mondo tennistico perché, fin lì, non si era mai visto un giocatore così ompleto, perfetto in ogni zona del campo, con una tecnica che si adattava alle diverse superfici di gioco e con una forza mentale tale da arrivare in fondo alle competizioni mantenendo un livello di gioco tecnicamente alto. Andre Agassi, disse di Federer all’epoca:

“Contro Federer, non ho una zona del campo dove rifugiarmi nei miei momenti di difficoltà. Con Sampras, ad esempio, era diverso: potevo trovare un po’ di respiro giocandogli sul rovescio”

I primi rivali: Hewitt, Roddick, Safin e Nalbandian
Con la fine delle carriere di Sampras e Agassi, al vertice arriva Lleyton Hewitt. Dopo il breve interregno, per Federer inizia il periodo del dominio assoluto (annate 2004-2007, undici slam vinti su sedici), con il suo diritto portentoso che riusciva a giocare da ogni zona del campo riuscendo spesso a far girare lo scambio e uscendo da situazioni difficili. Ma in ogni caso era il suo uno-due, servizio e diritto, a procurargli la maggior parte dei punti. Roger aveva una fiducia in sé spaventosa, un fisico portentoso, e dominava gli avversari con una personalità e una tecnica a livello altissimo.

Il dominio di Sampras si basava su battuta e volée,  e su un diritto da fondo penetrante e potente ma che aveva bisogno di tempo per essere eseguito. Sampras, infatti, con il polso non chiudeva velocemente la testa della racchetta come Federer ha iniziato a fare quando la maggior parte dei giocatori iniziò a girare l’impugnatura, estremizzando la presa sulla racchetta e cominciando a liftare la palla. Questo variazione ebbe una conseguenza importante: mediamente, il punto d’impatto medio della palla saliva. Lo svizzero, impugnando la racchetta con una presa eastern (un grip abbastanza classico, lontano dalla presa continental degli anni ’80, cara al suo mentore Edberg) è riuscito (e riesce) a gestire questo cambio di “altezze” alle quali si può impattare con estrema facilità.

I vari Roddick, Hewitt e Nalbandian avevano carenze gravi per impensierire il Federer di quei tempi. Lo statunitense, almeno nella sua prima versione, aveva un gran servizio e un gran diritto, ma era debole sul lato del rovescio; Hewitt, grandissimo corridore, era troppo leggero e non aveva la potenza necessaria per il tennis di Federer (cosa che invece non difetterà a Nadal, che arriverà poi); Nalbandian, il migliore dei tre dal punto di vista dei fondamentali, mancava di quella continuità necessaria per raggiungere grandi vittorie. C’era poi Safin, che tranne nella storica semifinale dell’Australian Open del 2005, quando batté lo svizzero 9-7 al quinto set, non rappresentò mai un problema. Roger, infatti, contro di loro lasciava andare maggiormente il braccio, come se si sentisse sicuro di non poter perdere. Lo svizzero, all’epoca, si fidava molto più del diritto anche quando i centimetri di campo per mettere la palla erano pochi. La fiducia probabilmente nasceva dal fatto che lui percepiva il divario tra lui e gli avversari del tempo e aveva sempre a disposizione delle soluzioni sicure in grado di portargli punti nei (rari) momenti di difficoltà.

Federer nel 2009 a Parigi, nell'unica volta che ha vinto il Roland Garros
Federer nel 2009 a Parigi, nell’unica volta che ha vinto il Roland Garros

Federer giocava in maniera ultra aggressiva da fondo campo, rubava il tempo all’avversario e utilizzava spesso sull’uno-due, sia quando serviva – e quindi con la battuta e il primo colpo al rimbalzo -, sia quando era in risposta – cercando subito la chiusura del punto. Tutto ciò è stato possibile perché il gioco stava cambiando e i giocatori che si presentavano al vertice non erano completi in ogni aspetto del loro gioco, avendo impostato principalmente il proprio gioco sulla corsa e sulla resistenza con i fondamentali da dietro.

L’arrivo di Rafael Nadal
Il gioco di Roger Federer subì un ulteriore cambiamento quando sul tour arrivò quel prodigio tennistico di Rafael Nadal. Il suo tennis era basato su una corsa forsennata su tutte le palle, che tirava dall’altra parte della rete con rotazioni estreme dalle parabole molto alte. Queste crearono un grande problema agli avversari: spostarono l’altezza media del punto d’impatto più in alto e costrinsero a gestire rotazioni fino ad allora quasi inedite. Nadal fu il primo giocatore che, grazie alle sue rotazioni e alla pesantezza di palla nella diagonale di diritto, portò alla luce le lacune tecniche e di appoggi del rovescio di Federer. Inoltre, lo spagnolo arrivò al vertice con un sistema di gioco diverso, in contrapposizione al gioco di colpi vellutati e fulminei che fino al quel momento Federer aveva espresso. Con le sue difese ad oltranza e con le sue traiettorie liftate che rendevano la sua palla molto “pesante”, ovvero complicata da gestire dopo il rimbalzo, Nadal costrinse Roger a colpire sempre una palla in più, costringendolo a pensare durante lo scambio, cose poco gradite a chi è dotato di talento come lui.

In questo scambio c’è la summa del #Fedal: Federer avrebbe chiuso il punto contro chiunque, ma Nadal rimette tutto e alla fine è lui a vincere il 15. “That’s insane” dice il commentatore.

Il risultato fu che la media dei colpi tirati durante uno scambio in campo si alzò fortemente e con questa il dispendio di energie durante il match. Roger, dall’alto della sua presunzione tecnica, non cercò mai di imporre il proprio stile di gioco, ma ha cercato spesso di fronteggiare Nadal sul terreno preferito dello spagnolo, scambiando molto e correndo. Spesso, quindi, si è fatto ingabbiare in quelle trame di pensiero tanto care al Nadal d’annata. Nonostante l’enorme differenza di livello tecnico tra i due a favore di Roger, lo svizzero non cercò mai di contrapporre il proprio stile fatto di variazioni, soluzioni improvvise e combinazioni uno-due per opporsi al gioco del maiorchino. Ad “aiutare” i giocatori di regolarità come Nadal hanno contribuito le superfici di gioco, con l’omologazione degli ultimi anni. Un esempio per tutti: per molti anni a Wimbledon il gioco era praticamente vietato a chi non impugnasse la racchetta con presa tradizionale, e i rimbalzi della palla erano irregolari e bassi, favorendo la chiusura veloce del punto. Thomas Muster, ex numero uno del mondo, a Wimbledon partecipò solo quattro volte, senza mai vincere un partita; al torneo più prestigioso del mondo preferiva il torneo Challenger di San Marino, che si giocava sulla sua amata terra battuta. Poi abbiamo avuto Nadal (che non è solo regolarità e top spin, sia chiaro), che è riuscito a trionfare sui prati di Londra impugnando la racchetta con presa full western e giocando praticamente sempre da fondocampo.

Federer nel 2015, a Brisbane, dove ha toccato quota 1000 partite nell'ATP
Federer nel 2015, a Brisbane, dove ha toccato quota 1000 partite nell’ATP

Al “problema” Nadal si aggiunge Djokovic
L’ascesa ad altissimi livelli di Djokovic alzò ulteriormente l’asticella di gioco per quel che riguarda gli aspetti fisici e tattici del tennis. Rispetto a Nadal, Djokovic si è dimostrato un giocatore più leggero nel coprire il campo e ha bisogno di meno spazio di corsa per colpire (questo si è tradotto in una difesa più vicina alla riga di fondo) in difesa rispetto ai ritmi di gioco del tennis di vertice di allora. Inoltre, per quel che riguarda l’aspetto difensivo, Nole vantava una mobilità articolare e flessibilità ancora maggiori rispetto a quelle degli altri avversari dello svizzero. Questo gli ha consentito di gestire le situazioni di passaggio dalla fase difensiva a quella offensiva senza colpi intermedi, in modo molto più immediato, a differenza di Nadal. Grazie alle sue caratteristiche fisiche, tecniche e mentali, fra cui una spiccata personalità, il serbo impose ai suoi avversari un ulteriore aumento del livello generale di gioco, a partire dalla suo marchio di fabbrica: la risposta. Djokovic riusciva infatti a partire subito in pressione fin dalla risposta, sia di diritto che di rovescio, riuscendo a rispondere a qualsiasi altezza, su qualsiasi superficie e contro qualunque effetto la palla avesse.

Toronto 2010, l’avversario è Djokovic. Federer batte il serbo 7-5 al terzo in semifinale. Lo svizzero non riesce sempre a tenere il pallino del gioco durante lo scambio. Qui l’inerzia dello scambio cambia, i colpi giocati diventano tanti, e alla fine è il serbo a conquistare il punto.

Tra Nadal e Djokovic, Federer ha sempre preferito affrontare il serbo per una questione di attitudine mentale, oltre che tecnico-tattica. Preferiva giocare contro Djokovic perché dal punto di vista mentale Novak ha dovuto risolvere, per affermarsi, il problema dei passaggi a vuoto, quei cali di tensione che puntualmente si verificavano durante i suoi match e che, quindi, consentivano a Federer di “respirare”  dalla morsa della competizione durante le fasi iniziali del set. Federer, infatti, nei match contro il serbo non doveva fronteggiare la forza mentale di Nadal, capace di giocare senza mai avere cedimenti dal primo all’ultimo punto. Con il primo Djokovic lo svizzero sapeva che c’era sempre la speranza che il serbo potesse uscire anche solo per qualche game dalla partita. Questo fattore lo faceva stare più tranquillo in campo, perché spesso arrivavano errori gratuiti.

Sotto l’aspetto tecnico-tattico, Djokovic è un tipo di giocatore che cerca di imporre il proprio gioco alzando il ritmo su entrambi le diagonali, giocando principalmente con i piedi vicino alla riga di fondo garantendosi un buon margine di sicurezza (a livello di altezza di palla sulla rete) con i suoi fondamentali. Federer ha sempre sofferto lo strapotere fisico del gioco di pressione di Djokovic, oltre che la sua tenuta da fondo e la sua risposta, piuttosto che l’ordine tattico di gioco (rotazione esasperata alta sul rovescio per tutto il match) che gli ha sempre imposto Nadal. Però, fra i due, è contro Novak che Federer si è sentito maggiormente libero di giocare il tennis che gli piace, fatto di anticipi, variazioni, cambi di ritmo e colpi di potenza. Con Nadal ha sempre vissuto il match dentro schemi rigidi, facendosi ingabbiare nella diagonale mancina, il leitmotiv di gran parte delle loro sfide. Contro Djokovic il gioco invece scorreva come piaceva a lui, senza molta pressione. E Roger si sentiva libero di creare e inventare soluzioni, soprattutto nelle fasi calde del match dove la tensione saliva anche per la personalità calda del serbo (cosa che invece con il glaciale Nadal non succedeva).

E poi c’è Andy Murray
Andy dei fab four è stato quello che ha dato meno  problemi a Federer. Lo scozzese, con il suo gioco fatto di variazioni, cambi di ritmo, sporadiche accelerazioni, e giocate di fino nei pressi della rete, ha sempre esaltato la brillantezza e la creatività dello svizzero. Non avendo un colpo da ko in repertorio, lo scozzese si può definire un contrattaccante da fondo ma che lascia molto giocare i suoi avversari. Contro di lui Roger si è sempre preso lo spazio che voleva, riuscendo a tenere sempre le redini del match (e vincendo i confronti più importanti, Olimpiadi 2012 a parte). Federer ha sempre imposto il ritmo di gioco nei loro match, e questo più per demerito del gioco troppo attendista di Murray che per meriti suoi. 

Il ritorno alle origini
Il Roger dell’era moderna, complice il supporto tattico e mentale di Stefan Edberg (e anche il cambio di racchetta, cosa che ha contribuito a facilitargli il compito), è tornato a velocizzare il gioco, a giocare più vicino alla riga di fondo e vicino alla rete. Addirittura, negli ultimi mesi, Federer si sta esaltando nella risposta al servizio, colpo che ha addirittura estremizzato giocando alcune ribattute denominate “kamikaze”.

Federer infatti ha la manualità e una velocità di braccio che gli consente di colpire senza fare apertura, intercettando la palla con l’assetto braccio-racchetta perfettamente solido per reggere servizi l’impatto con servizi veloci. Certo, per fare questo ci vuole anche una lettura del servizio e del momento che è propria dei grandi campioni. Inoltre, l’ultimo Federer, sta mettendo in mostra una freschezza atletica che gli consente di prendere immediatamente le redini dello scambio spostandosi per giocare il diritto ad uscire. Il punto a sinistra di Federer, e in generale dei giocatori destrorsi, è infatti la zona di campo che consente di tenere le redini dello scambio. Da lì, infatti, si può giocare (generalmente) sul rovescio dell’avversario, impattando la palla su piani più alti rispetto al rovescio, e comunque imprimere maggior forza, stante la difficoltà di replicare in lungolinea sull’angolo scoperto (se non sei Novak Djokovic o Stan Wawrinka, magari).

A questi cambiamenti Federer è stato “costretto” giocoforza anche dall’avanzare dell’età. Lo svizzero si è avvantaggiato della standardizzazione del gioco, ma soprattutto della pochezza tecnica di alcuni top player nell’eseguire o giocate di fino, come i passanti, o giocate più improvvisate sia dal punto di vista dell’esecuzione tecnica che da quello della zona del campo da cui colpire; per non dire della tempistica di esecuzione. Roger ha potuto vivere una lunghissima e gloriosa carriera grazie alle sue enormi qualità: fisiche, tecniche, e soprattutto mentali, intese come capacità di adattamento al tempo, al cambiamento delle superfici, dei materiali, e degli avversari. E non è ancora finita.

Roger Federer


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