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Il Tennis operaio va a congresso: Ferrer confermato segretario

Fine anno, tempo di tredicesima, l’unica gratifica degli operai assieme al pacco cartonato che abbina i più commerciali fra spumanti e pandòro. Il tennis dalle classifiche rigorosamente a due cifre non partecipa alla convention aziendale riservata ai piani alti del carrozzone, le ATP Finals. Invece, va a congresso. Con dibattito interno, ovviamente. Il segretario uscente è sempre lui, David Ferrer, l’unico chiamato a rappresentare il movimento, la (solita) vittima sacrificale, quell’un ottavo che la direzione caritativamente concede con il tacito patto di farsi da parte prima delle semifinali del Masters, giusto a dire che c’è democrazia e tutti i partiti sono rappresentati.

Per i tennisti  operai è tempo di riunirsi per discutere il bilancio dell’annata, e di votare per la riconferma di Ferrer a segretario almeno per un altro mandato. Nella celebrazione degli stakanovisti  non ci saranno luci stroboscopiche e deejay da quattro soldi, non ci sarà lo spumante di marca e il panettone lavorato a mano. Tutto si svolgerà in umiltà, secondo il credo che vuole la semplicità al centro di tutto. E allora nella fabbrica del tennis si organizza il saluto povero alla stagione in catena di montaggio, durante il turno di notte, perché a quest’ora i maggiorenti hanno le guance avvolte dalla seta delle federe dei loro letti, con la vestaglia di flanella appesa sull’uomo morto e pronta ad accoglierli rigorosamente dopo le 8 del mattino. La celebrazione  è quindi “carbonara” , con le RSU, le rappresentanze sindacali unite, a premiare i migliori tennisti operai dell’anno.

I lavori si aprono con i saluti di un membro emerito del Partito, Juan Ignacio Chela. “Compagne e compagni, un altro anno è passato e siamo ancora qui, puri e immacolati. Nessuno di noi ha vinto una prova del Grande Slam. Nessuno di noi ha vinto un torneo Master 1000 e neanche c’è andato vicino. Abbiamo fatto incetta dei tornei minori, gli ATP250, il nostro pane, e come al solito i Challenger sono stati roba nostra. Avanti così!”.

Poi tocca alla relazione del segretario, che inizia il suo discorso tracciando il bilancio della stagione. “Il 2015 è stato un anno in cui il movimento operaio ha fatto passi in avanti nella rappresentanza. Grazie alle nostre battaglie abbiamo fatto guadagnare più soldi nei tornei dello Slam anche nei turni che ci vedono protagonisti. Certo, la revolución è lontana ancora dal realizzarsi, nei Challenger ancora siamo costretti a usare le lavanderie a gettoni e le foto su Instagram non hanno gli sfondi belli come a Miami o Roma, ma di sicuro non molleremo. Siamo a ridosso dei migliori, e qui ci fermiamo. Perché noi dobbiamo conservare la nostra purezza tenendoci a distanza dalle tentazioni dei piani alti, perché è solo con la purezza che conserveremo la nostra indole, quel colpire la palla sempre alla stessa maniera, resistendo sempre un colpo più del nostro avversario, stando lontani dalla rete e scacciando la maligna tentazione della volée”.

Nel parterre, in prima fila, applaude convinto Gilles Simon, uno che saltuariamente frequenta i piani alti dell’azienda, dove ci sono i plurivincitori di Slam, ma che poi, in mensa, preferisce sempre sedersi vicino alle tute blu. È seduto vicino a Roberto Bautista-Agut, neo entrato del club, che ha la supponenza di chi è sicuro che starà nel gruppo dei migliori per molto tempo. Come dargli torto? Fa il suo, sempre, e si ferma solo quando trova uno più nobile di lui. Tacciato di maccartismo, c’è anche Steve Johnson al tavolo dei migliori, a rappresentare quella che è una volta era la Greatest Country In the (free) World e che invece, oggi, spezza il pane a tavola con João Sousa, nome da calciatore e cognome che Donald Trump posizionerebbe subito al di là di un muro, vai a sapere quale e vai anche a sapere se questo Sousa è quello portoghese o quello brasiliano. Tanto la sostanza non cambia.

Il segretario prosegue nel suo discorso: “Nel 2015 i paesi latinoamericani hanno incrementano la loro rappresentanza fra i migliori. L’Europa ha delocalizzato già da tempo i palcoscenici meno nobili, dove si gioca sul rosso e dove i nostri amministratori non vanno mai, specie se questi posti sono sotto la linea dell’equatore. Qualcuno dei migliori sa dov’è Quito, dove Estrella-Burgos ha fatto vincere un titolo alla Repubblica Dominicana? Suvvia. I leader stanno in Europa e giocano nei paesi dove le fabbriche hanno solo gli uffici e la sede fiscale”. Applausi copiosi arrivano dal brasiliano Thomaz Bellucci, uno che ci prova sempre a fare lo sgambetto ai migliori.

Il segretario sferra poi un duro attacco al capitalismo: “Nessuno degli iscritti al movimento si farà raffigurare in mutande a New York. Nessuno di noi farà pubblicità alle macchine, o agli orologi da migliaia di euro, o allo champagne che scorre copioso ai piani alti della nostra azienda”. Il segretario ferma gli applausi con le mani protese in avanti: “Nessuno di noi adesso andrà in Asia a giocare questa pagliacciata della lega IPTL. Nessuno di noi andrà a mischiarsi con le donne per qualche like in più su Facebook o Instagram. Per noi adesso è tempo di preparazione fisica, di gradoni, di corse e di sessioni dure in palestra e in campo. Spirito e gambe devono allenarsi perché se smarriamo la retta via diventiamo un partito dello zero virgola e il prossimo anno il congresso lo faremo al Quirino di Roma”. Ovazione. Pablo Cuevas, che ha la terra rossa anche sotto il mocassino usato l’unica volta nell’anno, si alza e urla il suo “VAMOS COMANDANTE!”

Ferrer calma i suoi.  “Non siamo stati un anno a piangere lamentandoci di campi, palline, orari di gioco, giorni di riposo e permessi vari: noi siamo sempre pronti a scendere in campo per onorare questo sport”. E poi, prima di lasciare il pulpito: “Nessuno di noi, ribadisco, nessuno, ha firmato un contratto per andare a giocare dove non ha mai messo piede prima. Non abbiamo aspettato fine carriera per scoprire che a Istanbul si giocava a tennis!”. La platea si infiamma. “Noi non ci sentiamo tennisti di serie B. Non abbiamo nulla da invidiare ai migliori. Un diritto anomalo vincente tirato dopo 20 colpi ha pari dignità di una volée stoppata. Ma questo noi lo sappiamo. Lo sapete voi, miei cari compagni, e lo sanno anche loro, gli artisti della volée. Ché poi, se andiamo a vedere, le volée le gioca solo uno. E comunque mai, ripeto mai, giocheremo un Masters di serie B come le donne. Nessuno mai ci vedrà giocare in qualche parte sperduta del mondo un torneo per reietti, orgoglio e dignità prima di tutto, anche noi siamo il tennis. Grazie”. Scende dal pulpito e viene stretto nell’abbraccio di Andujar e Carreno-Busta. Si abbracciano, mentre Santiago Giraldo gli stringe la mano e Diego Schwartzman gli sale sulle spalle. Gli applausi non si fermano prima di qualche minuto.

Prima del voto vengono consegnati i premi speciali. Sale sul palco Ramos-Viñolas, l’operaio premiato per la vittoria di classe, quella ottenuta contro il giocatore più scintillante del consiglio d’amministrazione del tennis. Se un anno fa più o meno di questi tempi si versavano lacrime in campo per l’ennesima affermazione di classe, con Leonardo Mayer consolato a rete da Federer, quest’anno il movimento operaio si è tolto la soddisfazione di battere il tennista più amato di sempre. E non si è giocato neanche sulla terra battuta. A consegnare il premio ad Alberto Ramos-Viñolas è proprio Leo Mayer: “Sei riuscito dove io ho fallito. Almeno una volta l’anno tocca ricordare ai migliori che ci siamo anche noi. Bisogna ricordare loro che non possono fare a meno di noi per i loro successi, e che ogni tanto è giusto che il nostro movimento guadagni i titoli delle prime pagine dei giornali”. Applausi scroscianti, e non solo per Ramos-Viñolas, ma anche per Mayer, che si è ripreso da quella batosta. Ché è vero che se un membro del board batte l’operaio è tutto normale, ma se arrivi a tanto così dal vincere la partita della vita allora ripartire il giorno dopo è un po’ dura.

Viene conferito un premio anche alla rappresentanza italiana, seppur nel doppio, una specialità che gli operai giocano per arrivare a fine mese. I due sono l’emblema della neonata forza politica Sinistra Italiana, tennisti che non si faranno ammaliare dalla gauche tutta caviale e foie gras, ma rappresenteranno le istanze di chi guarda sempre i migliori da lontano come neanche D’Attorre e Fassina farebbero in Italia.

Si vota, e la relazione del segretario viene approvata per acclamazione. Non c’è bisogno di alzare i pass da delegati: David Ferrer viene riconfermato segretario dei tennisti operai, unico rappresentante al consesso degli strapagati. Invece di tornare sul palco per le conclusioni, con un gesto che è proprio di chi è del popolo, per la chiusura dei lavori chiama sul palco Tommy Robredo, che ha concluso la stagione con un infortunio. Spetta a lui chiudere i lavori del congresso e dare il via al buffet casareccio tutto ciriole e mortadella.

E lui: “Oggi, nel mondo, c’è ancora bisogno di noi. C’è bisogno di gente che corre, indefessamente. All’orizzonte ci sono tante battaglie che ci vedranno protagonisti, sfide che dovremo affrontare assieme se vorremo vincerle. Scenderemo in piazza contro la riforma delle palline, che oggi per molti sono troppo grandi e pesanti, o contro il disegno di legge su #ibuonicampi, perché il Governo del tennis si lamenta anche della superficie di Bercy, troppo lenta, manco avesse vinto uno di noi a Parigi”. Il pubblico è in piedi. Sente che Robredo si avvia a concludere.  “I Poteri Forti del tennis non ci vogliono a tavola con loro. Si riuniscono segretamente in lussuose convention dove noi veniamo bloccati all’ingresso, parlano di come fare sempre più soldi, si prendono tutta la torta e a noi lasciano le briciole. E quindi, compagni, ricordate sempre il nostro motto: Unidos venceremos, compañeros”.

Ferrer lo raggiunge, gli prende il braccio e lo alza al cielo. Tutti si alzano, tutti applaudono mentre parte la musica dell’Internazionale. Sorridono, è stato un buon anno per i tennisti operai, non si contano defezioni o ritiri in questo 2015 e, quindi, il prossimo anno saranno ancora tutti lì a far sudare i migliori. Se gli altri si fanno belli, è anche grazie a loro.

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