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Senza lustrini né paillettes, il tennishipster celebra l'atto finale

Il tennishipster odia le ATP World Tour Finals. Quella formula odiosamente esclusiva, quelle location imbellettate da luci avveniristiche e da pompose celebrazioni, quelle città talmente mainstream da fare ribrezzo, fatte ruotare perché il circo non lo si nega a nessuno. Potrebbe continuare per ore, ad elencare tutti i motivi per cui lui, fieramente, si rifiuta di guardare anche un singolo scambio di questa competizione che, del tutto a spoposito, viene indicata come quella che chiude l’anno. Come se il Challenger di Toyota o il Future di Antalya non contassero nulla!

Ma elencare tutti i motivi per cui il Masters (anche il solo fatto che questo torneo abbia più denominazioni che partecipanti irrita oltremodo il tennishipster) non gli va a genio sarebbe uno spreco inutile di energie. Meglio, piuttosto, dedicare questo crepuscolo di stagione alle fantasticherie. Il nostro geloso custode del tennis autentico ha uno spirito forte, è vero, ma anche lui si abbandona facilmente a lussuriosi pensieri. Immagina che Maximo González scenda in campo per il singolare decisivo di Coppa Davis e sconfigga in un epico quinto set l’odiosa Repubblica Ceca; oppure proietta nella sua mente un’incredibile cavalcata che riporta Xavier Malisse al primo turno di uno Slam dopo tre incredibili lotte nei turni di qualificazione.

Perciò, piuttosto che sviscerare una lunga lista di motivi che spieghino come il pomposo Final Showdown non sia altro che uno strumento di oppressione, il tennishipster raccoglie le memorie di questo 2015 e seleziona otto tennishipster che parteciperanno al suo Masters. Mentre analizza accuratamente i tabelloni del torneo di Chennai, però, il fanatico si accorge di essere scivolato nel medesimo, imperdonabile errore commesso dall’ATP quando ha creato le ATP Challenger Finals, sorta di palliativo per il popolino che il tennishipster ha imparato a disprezzare esattamente quanto il torneo che ha fatto da calco a questa ennesima stortura dell’elitarismo.

Appurato che i tennisti non potranno essere 8, ma semmai 64, e avendoli divisi in 8 gironi all’italiana che permetteranno di giocare un numero davvero equo di partite (equo alla luce del riscatto sociale che ne deriverebbe), il tennishipster si prodiga a scegliere i criteri da cui usciranno i magnifici 64 che avranno diritto alla partecipazione. Innanzitutto, occorre aver giocato almeno una volta le qualificazioni in un torneo dello Slam. Questo esclude, purtroppo, il prediletto del nostro, Victor Estrella Burgos. Ma i tanti anni a vagare tra Future e Challenger del Centro e Sud America sono stati ampiamente bilanciati da quest’anno da top 50 e il tennishipster si dice che Burgos non se la prenderà poi troppo. Un’altra condizione essenziale per la partecipazione è non essere mai stato tra i primi 20 del mondo. Che partecipino a tutti i possibili tornei ATP da testa di serie, se tanto lo desiderano, ma al mio Masters non metteranno piede! Infine, per ambire ad un posto, occorre aver giocato almeno un anno esclusivamente tra Challenger e Futures (meglio se solo Futures, ma non si può avere tutto).

Definiti i criteri di partecipazione e deciso che nessun tennista avrà una testa di serie, il tennishipster procede quindi alla selezione dei candidati. Non può ovviamente mancare Tim Smyczek, che tanto lo ha fatto commuovere a Melbourne in quel secondo turno di pura estasi tennistica. Il video in cui permette a Nadal di ripetere una prima di servizio, a partita irremidiabilmente compromessa, è in cima alla playlist YouTube che il tennishipster ha creato per condividere con i suoi simili i momenti più commoventi dell’anno. E che dire di Kyle Edmund, eroe a Parigi, dove riuscì a rubare il cuore del nostro fervente appassionato in un primo turno denso di sudore, lacrime ed emozioni? Un posto, si capisce, è riservato a Marco Cecchinato e ad Andrea Arnaboldi. L’incredibile storia del secondo, in particolare, ancora scuote i fragili nervi del tennishipster. Come dimenticare il 27-25 nelle qualificazioni del Roland Garros manco si giocasse a pallavolo, il match point con Duckworth, il set quasi strappato a Cilic? E non può certo mancare Nikoloz Basilashvili con quel suo look trasandato che tanto si adeguerebbe a qualche wine bar del Pigneto.

E via dicendo: c’è Berankis e c’è Berrer, c’è Marchenko e c’è Sugita, ci sono gli Zverev e i Rublev (prima che la fama se li porti via) ma anche i Mathieu e i Donskoy. La lista si allunga sommando ricordi su ricordi e ben presto il tennishipster si rende conto di essere andato oltre i 64 posti preventivati e di aver doppiato la cifra iniziale. Che fare? Escludere Matthew Ebden? Dir di no a Facundo Argüello? Chi può essere tanto arrogante da escludere questi cavalieri del tennis cosiddetto minore? Il tennishipster si arma di calcolatrice e prova a calcolare quanto tempo si impiegherebbe a far giocare 16 gironi da 8 giocatori. Meglio forse 8 gironi da 16 giocatori? Spazientito, il nostro capisce che la formula del round robin costringerebbe a giocare per mesi. E si trastulla in questa idea da circuito alternativo, a dire il vero, per poi realizzare che le eminenze grigie dell’ATP non permetterebbero mai tale strappo che invece al tennishipster pare un urlo di emancipazione dal giogo del ranking. E allora che fare, arrendersi alla formula dell’eliminazione diretta? Giammai: non ho invitato Malek Jaziri per farlo stare un giorno ed essere costretto a vederlo partire il giorno successivo!

Stretto tra necessità e sentimenti, il tennishipster si arrende all’evidenza. Finché lassú continueranno a dettare i ritmi della stagione, non c’è spazio per eventi di tale portata rivoluzionaria. Con una sommessa arrendevolezza, il nostro mancato Simon Bolivar straccia le carte, spegne la lampada e si mette a dormire con il cuore un po’ più pesante. Ma stanotte, ne è certo, sognerà di consegnare la Coppa Doohan in qualche remoto palazzetto postsovietico.

ATP Finals 2015 Tennishipster


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