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Simone Bolelli e i tormenti di un giovane non più povero

Gli eroi morti sono più dei morti che degli eroi. A questo avrà pensato Simone Bolelli quando, come almeno una volta nella vita capita a tutti, si è trovato al cospetto del potere. Certo, un potere piccolo, un po’ grottesco, francamente ridicolo, ma pur sempre un potere in grado di decidere che tipo di vita farai: se quella del poveraccio che si aggira tra i campi di periferia facendo il “maestro” (come no) oppure quella protetta e senza scossoni ma con uno stipendio garantito a fine mese e magari un posto da telecronista.

Era il settembre del 2008: un giovane tennista italiano, il nostro Simone, passa un’estate poco felice. Supera tre turni a Wimbledon, che in Italia è più o meno come essere promossi alla selezione del pallone d’oro, ma poi si perde, e con lui le partite. Supera Anderson, che ai tempi però è uno sconosciuto fuori dai primi cento e poi perde un paio di volte con Wawrinka, una con Hanescu, con Djokovic, del Potro e Fognini. Insomma il Bolelli speranzoso che aveva chiuso il 2007 intorno alla settantesima posizione arriva nei primi 50 e lì si ferma. Il 25 agosto è numero 47, non proprio l’ideale. Di concerto con il suo coach, Claudio Pistolesi, decide di non interrompere la sua stagione e comunica alla Federazione Italiana Tennis che avrebbe preferito non essere convocato per l’incontro di spareggio contro la Lettonia, fissato per il weekend del 19 settembre a Montecatini, sulla terra rossa. La superficie in cui Bolelli si trova meno a suo agio, e in cui difficilmente avrebbe giocato al posto di Fognini o Seppi. Apriti cielo.

L’Italia vince con la Lettonia per 3-2, grazie a Potito Starace che supera Juska nel singolare decisivo. Prima, Gulbis aveva battuto sia Fognini che Seppi, recuperando da due set sotto contro l’altoatesino. La modesta vittoria ha sulla Federazione l’effetto che può avere un’ubriacatura ad una festa con del cattivo vino e il giorno dopo, il 22 settembre, la FIT, per bocca del suo presidente di allora, Angelo Binaghi, fa cortesemente sapere che Bolelli, “fino a quando ci saremo noi” non giocherà mai più in Coppa Davis. La tristezza della dichiarazione non merita davvero che ci si soffermi più di tanto, anche se non si deve nascondere che negli ambienti del tennis italiano non si levò una foglia. Nessuno a dire che si stava assistendo ad un non-sense, ad un assurdità ancora prima che ad un’ingiustizia, ad una, meglio usare le parole giuste, idiozia. Anzi, il sempre solerte Pietrangeli, con l’eleganza che lo ha accompagnato in questi anni di onoratissima post-carriera si affrettò a dire che “in fondo aveva sputato sulla bandiera”. Che, detto en passant, è una cosa che l’art. 292 del codice penale punisce fino a due anni di reclusione, non proprio una battuta da pronunciare prima dell’aperitivo al club.

Il numero 47 del mondo ci prova a resistere. Forse si chiede cosa avrebbe fatto Rafter, il suo tennista preferito, o addirittura Massimo Decimo Meridio, il personaggio del Gladiatore, visto chissà quante volte. Emette un comunicato di serena fermezza in cui si dice stupito dalla reazione della federazione che “anche in un recentissimo passato, ha tranquillamente accordato analoghe dispense”. Per concludere che, povero, “il motivo per il quale la Federazione abbia voluto differenziare il mio trattamento da quello riservato ad altri francamente mi sfugge”. Forse lo avrebbe aiutato leggere Hanna Arendt.

Simone il 22 settembre è a Bangkok e lì supera Bellucci per poi perdere contro Berdych. Chissà se da Tokyo sente il boato d’entusiasmo che i raffinati adepti della federazione gli avranno senz’altro dedicato quando incappa in tal Takao Suzuki, numero 593 del mondo, che lo supera al tiebreak del terzo set. Simone torna in Europa, perde con Gonzalez ma poi a Madrid è aiutato da un po’ di fortuna e batte Almagro da lucky loser prima di ritirarsi contro Murray. A Basilea supera Berdych e Granollers prima di arrendersi contro il padrone di casa, che è un po’ più alto del numero 593. Ma il lunedì successivo supera il muro dei 40 ed è addirittura 37 dopo Bercy, dove si arrende solo al terzo contro Black.

Simone sembra prendere coraggio, fa sapere alla Federazione che può anche risparmiarsi la fatica di tesserarlo per l’anno 2009. Binaghi, il presidente di allora, la prende bene e lo paragona a Moggi: “vuole sottrarsi alla giustizia sportiva”. Il 2009 comincia benino, a Rotterdam prende un set di vantaggio nientedimeno che al Rafael Nadal che ha appena vinto quella partita a Melbourne, dopo il torneo di Marsiglia è numero 36. Chissà se immaginava che quello sarebbe stato l’apice della sua carriera. Bolelli passa una discreta primavera, a Montecarlo supera due turni, nel primo battendo uno svedese che il mese dopo raggiungerà una finale slam proprio su quella superficie, dopo aver battuto uno molto forte.

A maggio, il più crudele dei mesi, arriva una specie di fulmine a ciel sereno: “dopo tre anni e mezzo di rapporto professionale molto proficuo e di grande successo, Simone Bolelli come giocatore e Claudio Pistolesi come allenatore, hanno di comune accordo deciso di interrompere la collaborazione”. Di comune accordo. Bolelli giocatore e Pistolesi allenatore, come se ci si potesse confondere. Simone si affida a Piatti ma quello che davvero sembra premergli è un’altra cosa. Il 28 luglio del 2009 la FIT emette un comunicato: “La Federazione Italiana Tennis comunica che, a seguito di quanto emerso nel corso di un lungo colloquio fra il presidente (di allora, ndr) Angelo Binaghi e Simone Bolelli, il Consiglio Federale ha deciso di revocare il provvedimento con il quale, nel settembre del 2008, aveva sottratto il giocatore alla disponibilità del capitano di Coppa Davis”. Simone viene subito intervistato da Supertennis: “Ho spiegato al presidente che il mio sogno è quello di poter tornare a vestire la maglia azzurra, di cui riconosco fino in fondo il valore e che quanto è accaduto un anno fa non si ripeterà mai più. Spero che in futuro il capitano e i miei compagni possano ritenere utile la mia presenza in Nazionale”.

La storia di Simone Bolelli, forse, si potrebbe chiudere qui. Bolelli comincia a frequentare il doppio con maggiore sollecitudine, naturalmente non tornerà mai più vicino ai valori raggiunti a 23 anni. Perde il povero Simone, perde sempre, perde soprattutto in Davis con Kukushkin come con Gabashvili, con Capdeville, con Ancic, con Soderling, perde come se stesse prendendosi le sue povere rivincite. Contro sé stesso, contro chi non lo ha difeso, contro Angelo Binaghi, il presidente di allora.

Non si compianga troppo Bolelli, la sua storia così simile alla nostra, il suo Binaghi così simile ai nostri. Così presenti e così invincibili, allora come oggi.

Simone Bolelli


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