Abbiamo problemi con la gente.
By Daniele Vallotto Posted in tennishipster on 24 Gennaio 2016 7 min read
Come succede agli atleti, impegnati a recuperare il più velocemente possibile da una lunga ed usurante stagione, ma preoccupati anche dalla nuova che incombe, il tennishipster nell’off-season dedica ben poco tempo tempo al riposo. Anzi, se possibile questo periodo dell’anno è per lui il più tosto: non fai in tempo a riprenderti dai clamorosi risultati del Challenger di Andria (per non parlare di quello che è successo la settimana successiva in quel Future cambogiano!), che è già tempo di prepararsi per il 2016 e per una nuova stagione di quello sport del diavolo comunemente chiamato tennis.
La preparazione del tennishipster, nell’unico mese che gli è concesso per potersi concentrare su quello che verrà (anche se un occhio ai Futures di fine anno lo si butta sempre, ché non si sa mai cosa potrebbe accadere), è sostanzialmente fatta di studio approfondito dei tabelloni dei tornei passati. Con le sue ridotte capacità di utilizzare i dati, di analizzarli e di incrociarli non ha ancora creato un meccanismo predittivo che gli possa dare la certezza di aver individuato il craque dell’anno successivo. Sarà magari Omar Jasika, con quella faccia da primo della classe? Oppure Christian Garin, che magari alle prossime Olimpiadi ci farà sognare come fece Nicolás Alejandro Massú Fried oltre diec’anni fa (sospiro)? Oppure, ancora, Ricardas Berankis riuscirà finalmente a giocare un ottavo di finale negli Slam? Purtroppo, i metodi artigianali sono quello che sono e allora il nostro si deve ancora affidare alla variabile più affidabile, al qualitativo che sfiora il quantitativo, all’elemento che raramente tradisce un’indagine ben fatta: il fiuto.
In anni e anni di studio è raro che il tennishipster si sia sbagliato sul futuro di questo o sulla delusione che avrebbe dato quello. Certo, gli errori li commette pure il nostro: come dimenticare la topica più clamorosa, quella su Márton Fucsovics, per cui il tennishipster aveva predetto un futuro da top-10 nell’arco di due anni e che invece, oltre cinque anni dopo la vittoria di Wimbledon da junior, fatica a stare tra i primi 200 del mondo? Ma, del resto, dice il saggio, i pronostici li sbaglia solo chi li fa. E il tennishipster, umilmente, tiene conto dei pronostici che ha sbagliato nel corso della sua carriera da talent scout: quella sezione occupa una parte davvero minima del suo quaderno dove riporta fedelmente tutto quello che è stato detto e tutto quello che si è – o non è – avverato.
Dopo un mese buono di studio, il tennishipster ha ripreso la routine che precede ogni Slam. Ha studiato per bene l’entry list, si è documentato su quei pochi nomi che non gli dicevano nulla e infine ha ipotizzato tutti i possibili incroci. Dopo aver accurato stampato il tabellone delle qualificazioni e il main draw, la preparazione arriva al suo culmine. Il nostro, infatti, comincia a ridurre le ore di sonno e a dedicare poco tempo al riposo, generalmente nella fascia che va dalla sette di sera all’una di notte. Il giorno prima del debutto, come sempre, il tennishipster è nervosissimo: ormai, dopo tanti anni, dovrebbe essersi abituato alla tensione che precede uno Slam. Ma lui è come i suoi tennisti preferiti: tanto solido nella preparazione quanto fragile nei nervi al momento decisivo.
È anche vero che quando è avvenuto il sorteggio del tabellone, il nostro eroe si era già ambientato ai ritmi di Melbourne. I turni di qualificazione, infatti, sono per lui una vera e propria preparazione al torneo: non solo può seguire alcuni dei suoi prediletti, ma può farlo anche con una certa rilassatezza perché sa che, mal che vada, gli eliminati si iscriveranno a qualche sperduto Challenger. Durante lo Slam, invece, diventa tutto più complicato perché le partite, specie nei primi due turni, sono davvero troppe da seguire. È quindi con una certa apprensione che il tennishipster apre il documento che riporta l’ordine di gioco per il lunedì. La domenica che precede il dì di festa, insomma, è il culmine della tensione accumulata. Da lunedì in poi non è più concesso sbagliare. È così che il tennishipster analizza meticolosamente ogni partita, confronta i precedenti tra i tennisti – evitando con cura quei mainestream il cui futuro è purtoppo già scritto: seconda settimana -, analizza le possibili sovrapposizioni e stabilisce le priorità.
I primi giorni dello Slam australiano procedono abbastanza lisci, per il tennishipster. Certo, non è facile cominciare la propria giornata all’una, proseguire fino alle nove circa, recarsi in ufficio, fingere di essere sveglio, annuire distrattamente durante i briefing, spiare di sfuggita le statistiche del match tra Donskoy e Cervantes mentre il collega ti chiede per la quinta volta se hai letto quella mail, scapicollarsi per andare a casa, puntare la sveglia all’una, accumulare minutaggio per quanto riguarda il riposo (se vogliamo chiamarlo così) e poi ricominciare. Ma ormai i bioritmi del tennishipster gli permettono di non essere troppo stanco quando più conta, e cioè alla notte. Mentre i suoi idoli lottano strenuamente sul campo 6 per un posto nel secondo turno, lui ovviamente prepara un numero variabili di caffè. Mai meno di due, mai più di cinque: è una regola che ha imparato dopo tanti Slam. Calibrare la giusta dose di caffeina è fondamentale: il corpo va tenuto sveglio, sì, ma i nervi non vanno nemmeno scossi eccessivamente.
Purtroppo, però, anche il tennishipster è umano e, pertanto, fallace. Mentre guarda Stephane Robert giocare ad un altro sport insieme a quel tennista indecifrabile che risponde al nome di Gaël Monfils (probabilmente l’unico tennista che il nostro fanatico manicheo non è ancora riuscito a categorizzare), decide di alzarsi dal letto e prepara il secondo Volluto della giornata. È a quel punto che un terribile dubbio gli si insinua nella mente, come quella volta in cui dimenticò di puntare la sveglia e si perse il match tra Kavcic e Duckworth agli Australian Open di qualche anno scorso (si connetté proprio per vedere l’abbraccio a rete, che beffa!). Quando accende la luce in cucina e i suoi occhi si dirigono verso il barattolo delle capsule, l’incubo si materializza.
È finito il caffè.
Inutile ogni ricerca: ha praticamente cercato in ogni pentola, scatola, mensola, perfino dentro il frigo, in cerca di una maledettissima capsula caduta magari per terra. Ha provato a controllare nello zaino, ha cercato sotto il letto, ha provato a smontare il divano, ha controllato addirittura in bagno. Ma nulla. Ad un certo punto, quando ormai le speranze del tennishipster si stavano afflosciando come le possibilità di Robert, con la coda dell’occhio vede quella che sembra una capsula. Possibile? Eppure… sì, sembrerebbe proprio… Con le mani sudate, il tennishipster la afferra, la guarda trionfante, la ammira, la bacia. Poi amorevolmente accende la macchina, la fa scaldare, inserisce con cautela la capsula e prepara il caffè. Quel profumo così unico, quell’aroma che non scambierebbe con nient’altro in questo momento, quella crema così ambrata e così soffice: è un momento sublime, per il tennishipster, quasi quanto una vittoria di Alejandro González nel terzo turno di uno Slam.
Porta lentamente la tazza alle labbra, pregustando quel momento così atteso e godendosi quell’ultimo secondo di sonnolenza, prima che la caffeina faccia il suo dovere. Ma quel sorso, così celestiale nell’attesa, diventa un incubo. Il caffè non è caffè, bensì è la negazione del caffè; è la maledizione di ogni caffeinomane che si rispetti; è la rappresentazione di ogni stortura in questo momento di drammatica necessità; è, in una parola (mai sufficiente a descrivere l’orrore), un decaffeinato. Non sa come sia possibile che a casa sua sia presente quella dimostrazione tangibile della cattiveria umana. Forse un brutto scherzo di qualche invidioso tennis mainstream? Il tennishipster non sa darsi risposta. Non è ancora sorta l’alba, e questo significa che dovrà aspettare almeno altre due ore per poter acquistare quelle maledettisime capsule. Vinto dalla disperazione, si accascia sul letto. Per due ore, il suo tormentato sonno sarà funestato da oscuri presagi, tipo un futuro in cui ci saranno solo tornei come le ATP World Tour Finals dove la gente si divertirà ai cambi campo bevendo frappuccino decaffeinato.