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Il ruggito

Da orgoglioso campione qual è, Rafael Nadal non lo ammetterà mai. Ma che la sua migliore settimana degli ultimi due anni sia arrivata nella stessa settimana della prematura e sorprendente sconfitta di Novak Djokovic contro Jiri Vesely non è certo una coincidenza. Si sarebbe potuto dire lo stesso di Andy Murray, però, e nello spareggio tra i favoriti che si è giocato in semifinale ha vinto lo spagnolo, dimostrando quanto grande sia il gap di personalità tra questi due tennisti. Nella semifinale del Masters 1000 di Montecarlo, Murray ha dato a Nadal una lezione di tennis per circa un set. Ma dalla metà del secondo in poi, Nadal ha dato a Murray una magistrale dimostrazione di caparbietà e intelligenza guadagnandosi la centesima finale in carriera in un momento particolarmente delicato della stagione.

Nella finale contro Gaёl Monfils, Nadal non poteva perdere. Non poteva perdere perché lui le finali è abituato a vincerto tanto quanto Gaёl è abituato a perderle. Eppure il maiorchino è dovuto ricorrere ad un terzo set nel quale è stato il fisico a segnare le differenze tra i due finalisti. Sebbene Monfils sia stato dotato di un fisico sopra la media, il francese soffre in maniera inspiegabile quando la partita si allunga. Nadal, invece, ha costruito buona parte della sua carriera su partite come quella di oggi: due set, magari tre o quattro, tirati, poi quando arriva il momento buono lo spagnolo fa pesare la sua fisicità sulla bilancia del match. Mentre Monfils boccheggiava per recuperare le fatiche di un tiratissimo secondo set, Nadal già pensava a come vincere il terzo. E ovviamente lo ha vinto.

Monfils Montecarlo 2016
E con questa fanno 19 sconfitte in 24 finali.

Contro Monfils è andata come è andata tante altre volte, ma forse non è un buon segno come potrebbe sembrare: normalmente, contro avversari come il francese, a Nadal è sufficiente far valere le sue superiori capacità tecniche e tattiche prima di quelle fisiche. Monfils, che certamente non è un mostro degli scacchi, avrebbe dovuto facilmente soccombere nel secondo set, dopo aver perso un combattuto primo set. Invece non è andata come tutti si aspettavano. Il secondo set perso da Nadal è probabilmente uno strascico di tutti i dubbi e le incertezze che ha avuto il maiorchino negli ultimi mesi. Ha recuperato due volte il break, ha costretto Monfils a servire sul 5-4, eppure ha perso tre game di fila. Ma già alla fine del secondo set era chiaro che Monfils stava dando tutto quello che aveva, con l’unico risultato di allungare una partita che si era decisa sul finale del primo set. Come giudicare allora il ritorno alla vittoria di un Masters 1000 da parte del più grande terraiolo della storia?

Che Nadal sia tornato ai livelli pre-2014 è facile da escludere. Ma a quale degli ultimi due anni dobbiamo riferirci per catalogare il Nadal di Montecarlo? È difficile giudicare se Nadal sia più vicino a quello che nel 2014 vinse il Roland Garros in un crescendo di condizione e fiducia o a quello che nel 2015 perse contro Murray, Wawrinka e Djokovic nei quattro tornei sulla terra battuta più importanti della stagione. I risultati nel 2014, a dire il vero, non furono molto diversi da quelli dell’anno successivo. Ma quando Nadal arrivò a Parigi due anni fa, cominciò a giocare sempre meglio nel corso del torneo fino a giocare una finale ai limiti della perfezione contro un sempre più scorato Djokovic. Nel 2015, invece, i segnali di Montecarlo, Barcellona, Madrid e Roma furono pienamente confermati in una secca sconfitta nei quarti di finale del Roland Garros. Tocca aspettare i prossimi tornei, quindi, per capire a quale livello è arrivato Nadal.

Rafael Nadal Montecarlo 2016
Nadal ha vinto il 28° Masters 1000, il 9° a Montecarlo.

Ma l’indicazione forse più positiva di questa settimana di Nadal, è che il maiorchino ha confermato quanto si era intuito a Indian Wells: contro avversari inferiori, difficilmente perde. Gli ultimi risultati nei tornei importanti avevano suggerito il contrario e quindi è un bene che Rafa sia tornato a vincere le partite che deve vincere. Ieri, contro Murray si è trovato in balìa del rovescio del suo avversario e per circa un’ora non ci ha capito nulla. Pian piano, però, è riuscito a erodere le certezze dello scozzese, che sulla diagonale sinistra ha perso progressivamente il potere di controllare lo scambio. Contro un avversario completamente diverso, ma che ama stare dietro alla linea di fondo, il compito si è rivelato ancora più duro perché Monfils è in grado di trovare vincenti dal nulla, come il dritto a 171 chilometri orari nel terzo game del primo set. In quel momento Nadal deve aver capito che il compito non sarebbe stato semplice come gli head-to-head facevano immaginare.


Sì, 171.

Il dritto, inutile nasconderlo, va a singhiozzo. Per fortuna, però, il rovescio è tornato quello dei bei tempi. Tuttavia il gioco di Rafa, visto che non sono ammissibili aggiustamenti come quelli che hanno permesso a Federer di vivere una nuova giovinezza, necessita del dritto più di ogni altra cosa ed ecco quindi spiegati i balbettanti turni di servizio nel secondo set. Se il dritto comincia a non incidere, Nadal inizia ad arretrare e a farsi poco propositivo ed è più o meno quel che è successo nella seconda parte del secondo set. Monfils, dal canto suo, una volta tanto ha capito quel che doveva fare e quando ha intuito che poteva palleggiare a ritmo più basso per poi accelerare e mettere sotto pressione il suo avversario, è riuscito a farlo senza farsi prendere da quei pensieri che gli hanno impedito di vincere qualche torneo in più. Per attuare il piano ha però dovuto prendersi tanti rischi e quando la condizione fisica è calata, i rischi sono diventati errori gratuiti che hanno dato a Nadal un vantaggio incolmabile nel terzo set. Finite le titubanze, Nadal ha ripreso il discorso interrotto nel primo set e ha chiuso agilmente una finale che poteva vincere anche in manierà più comoda.

Qualche giorno dopo la clamorosa vittoria di Jiri Vesely, Rafa è quindi tornato a mordere un trofeo di una certa importanza. Era da Madrid 2014 che non vinceva un Masters 1000, quando vinse grazie al ritiro di Kei Nishikori. Il peso della presenza di Djokovic è un tarlo per tutti coloro che hanno velleità di vittoria, ma per Nadal, che ha cominciato a sentirsi vulnerabile sulla terra nel 2011, Djokovic è qualcosa di più di un tarlo: è il parametro sul quale deve definire i propri miglioramenti. Non è certo un Nadal che può impensierire Novak Djokovic, quello che abbiamo visto a Montecarlo. Ma la ventottesima vittoria in un Masters 1000 ha un significato simbolico che il serbo non potrà ignorare nelle prossime settimane. Se il tennis non è ancora quello che gli ha permesso di vincere nove Roland Garros, Nadal, per lo meno, ha messo nel serbatoio un po’ di quel carburante che era mancato nei momenti più delicati degli ultimi mesi: la fiducia. E a Parigi, tutto sommato, manca ancora più di un mese. C’è tutto il tempo per mettere a posto i tasselli di un puzzle che sembrava ormai irrisolvibile.

ATP Montecarlo 2016 Gael Monfils Rafael Nadal


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