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#MasterRecap Roma: assalto a Parigi

Per circa ottant’anni, il parametro del tennis inglese è stato Fred Perry: l’ultimo a vincere Wimbledon, l’ultimo a far vincere alla Gran Bretagna la Coppa Davis, l’ultimo a vincere pure Roland Garros, Australian Open e US Open. Da allora gli inglesi, che il tennis l’hanno inventato, hanno fatto un po’ come nel calcio: hanno perso spesso e volentieri. E allora sono dovuti ricorrere ad uno scozzese per tornare a vincere i tornei che più contano: Andy Murray, nel 2013, ha riportato la coppa di Wimbledon a casa, 76 anni dopo la vittoria di Perry; ha trascinato la Gran Bretagna alla vittoria della Coppa Davis, 79 anni dopo l’ultima vittoria, vincendo tutti i singolari in cui è sceso in campo; ha vinto il torneo di Roma, 85 anno dopo la vittoria di Pat Hughes. E ora, riuscirà a vincere il Roland Garros 81 anni dopo la vittoria di, ancora lui, Fred Perry?

A Roma, mentre Novak Djokovic affrontava delle dure battaglia contro Nadal e Nishikori, lo scozzese passeggiava con Kukushkin, Chardy, Goffin e Pouille. Murray si è presentato alla domenica contro Djokovic, la sua prima “vera” partita della settimana, con l’atteggiamento di chi ha capito che non può limitarsi alla strenua difesa da fondo campo se vuole battere l’imbattibile. Già a Madrid, sconfitto in finale proprio dal serbo, Murray aveva messo in mostra un gioco più aggressivo da fondo campo. E anche a Roma, nel giorno del suo compleanno colpevolmente ignorato dallo speaker del campo centrale, Murray ha giocato in maniera aggressive fin dall’inizio, approfittando delle distrazioni dell’irritato Novak che più volte ha cercato di convincere l’arbitro a sospendere la partita, per via della pioggia che a tratti bagnava la terra del campo, costringendo il pubblico del centrale ad aprire e chiudere gli ombrelli più volte.

Alla fine Murray ha vinto la finale con un banale 6-3 6-3 approfittando anche di un Djokovic apparso stanco nel secondo set. Il serbo aveva giocato tre ore il giorno prima, di sera, soffrendo contro Nishikori, mentre Murray era stato in campo giusto un’ora per battere Pouille a ora di pranzo.

In conferenza stampa, dopo il suo primo trionfo romano che ha interrotto undici anni di egemonia ibero-serba, ha dichiarato: «Ho giocato molti match veloci e quindi sono arrivato ben riposato in finale. Sto giocando bene sulla terra battuta, in questo torneo c’erano i migliori del mondo a giocare e quindi sono fiero di averlo vinto. Djokovic non ha giocato al meglio, comunque per me è stata una grande settimana».

L’ex imbattibile
Djokovic ha battuto Nadal e Nishikori, ma è sembrato un po’ in riserva e ha dovuto soffrire e faticare molto, costretto a inseguire sempre nel punteggio. Dopo aver subìto uno sconcertante 60 da un tennista in calo come Thomaz Bellucci, nei quarti di finale Novak è riuscito a recuperare a Nadal un break di svantaggio in entrambi i set che poi ha vinto. Con Nishikori, in semifinale, ha recuperato un set di svantaggio e ha dilapidato un vantaggio di 4 a 1 nel terzo set prima di vincere al tiebreak, grazie a degli errori banali di Nishikori, che era in vantaggio anche lì. E dire che il giapponese aveva dichiarato alla vigilia del torneo romano di «non aver giocato mai così bene come adesso».

Insomma: il miglior Nadal degli ultimi due anni e il miglior Nishikori di sempre hanno entrambi perso contro un affaticato Djokovic. Tutto a posto, no? No.

Il terraiolo Murray
Andy Murray ha iniziato la stagione distratto dalla nascita della figlia nei primi mesi dell’anno, a ridosso degli Australian Open, ma è entrato in ottima forma nella stagione sulla terra rossa. A Montecarlo ha perso solo in semifinale con Nadal, ma dopo averlo dominato per un set e mezzo. A Madrid ha perso contro Djokovic in una finale tiratissima, dopo essersi preso la rivincita contro Nadal in semifinale.

L’importanza di questo torneo per stabilire le gerarchie in vista di Parigi è stata rimarcata da una frase di Murray: «A Parigi si giocherà al meglio dei 5 set e quindi bisognerà essere preparati sia mentalmente che fisicamente. Io comunque arrivo in fiducia a giocare il Roland Garros».

Il Roland Garros è l’unico Slam in cui Andy non ha mai giocato una finale. Lo scozzese, storicamente, ha sempre sofferto la terra battuta, nonostante sia cresciuto in un’accademia di Barcellona. Eppure solo l’anno scorso è riuscito ad arrivare in una finale di un torneo sulla terra battuta e a vincerla. Mai come quest’anno Murray sembra un serio candidato per lo Slam più lento del circuito, anche perché Andy non sembra soffrire della stessa ardente ossessione per il torneo parigino che ha più volte bloccato l’inscalfibile numero uno del mondo.

Con questa vittoria Murray accorcia negli H2H: Novak conduce 23 a 10
Con questa vittoria Murray accorcia negli H2H: Novak conduce 23 a 10

Come sta Nadal
Lo spagnolo è tornato a giocare ad un livello accettabile, riuscendo a fare per la prima volta partita pari contro Novak Djokovic da quel lontano Roland Garros 2014, quando in finale battè il serbo per l’ultima volta. Da allora i due si sono incontrati sette volte e in queste sette volte non solo ha vinto sempre Djokovic, ma addirittura Nadal non è riuscito a conquistare neanche un set. Nadal si è presentato in conferenza stampa nero in volto, e nessuno ha fatto l’unica domanda che andava fatta, ovvero se visto che era stato due volte in vantaggio in entrambi i set al momento di chiudere avesse sentito troppo la pressione, segno di un complesso psicologico. Era una domanda che non poteva essere fatta.

E insomma il Roland Garros 2016 sembra il crocevia di tre dei primi cinque giocatori della classifica mondiale: Djokovic deve vincere questo torneo per la prima volta in carriera e per completare finalmente la collezione degli Slam, Nadal vuole vincerlo per la decima volta, per certificare il suo ritorno ad altissimo livello, e Murray dopo una lunga pausa è pronto per vincere il suo terzo Slam in carriera, il primo a Parigi.

Gli altri due dei primi cinque in classifica sono svizzeri: Federer è chiaramente fuori dai giochi a Parigi e la sua presenza, vuoi per la condizione fisica non ottimale, vuoi per la superficie poco congeniale al suo gioco e alla sua età, è addirittura in dubbio; Wawrinka, invece, è un parente lontano rispetto a quello che un anno fa impedì a Djokovic di completare il Career Grand Slam.

Gli altri
Federer ha giocato il torneo “per raccogliere informazioni”, per usare parole sue. Voleva, cioè, saggiare il suo fisico visto i tanti infortuni che hanno modificato la sua programmazione dei tornei e le poche partite disputate dall’operazione al ginocchio. Ma le informazioni che ha raccolto Federer sembrano essere utili in vista di Wimbledon e delle Olimpiadi, i veri obiettivi della sua stagione, non certo per il Roland Garros. È una situazione inedita per lui: i bookmaker pagano con quote decisamente alte la sua vittoria a Parigi e lo stesso svizzero, dopo la vittoria all’esordio, ha rilasciato dichiarazioni inusuali per un campione del suo spessore: «Sarebbe bello vincere a Roma, ma non accadrà».

Wawrinka ha perso contro Monaco al secondo turno sul campo Pietrangeli, facendo arrabbiare perfino il suo coach svedese, il solitamente irreprensibile Magnus Norman, che a fine partita ha dato un calcio alla panchina davanti a lui. Dei newcomer, Kyrgios ha fatto un ottimo torneo battendo Raonic, che era partito bene in questa stagione ma che poi si è bloccato per diversi infortuni, e poi ha perso contro Nadal in una bella partita.

Thiem, giustiziere di Federer agli ottavi, si è arreso nel turno successivo a Nishikori. L’austriaco ha dimostrato che sulla terra battuta esprime il meglio di sé, per via della sua fisicità e delle ampie aperture del dritto e del rovescio, ma non pare pronto, e chissà se lo sarà mai, per uno Slam. Berdych ha fatto finalmente notizia, ma per il motivo sbagliato: negli ottavi di finale è riuscito a perdere per 6-0 6-0 contro David Goffin, i cui colpi vanno più o meno alla metà della velocità di quelli del ceco.

Le cerimonie: Panatta, Pennetta e Fed Cup
Flavia Pennetta ha smesso di giocare a tennis nel 2015 e la FIT ha organizzato un saluto per lei nello stadio Pietrangeli, il mercoledì del torneo alle 19 circa. Lo stadio era vuoto. Fra le partite ancora in svolgimento sulla Grandstand arena e un match maschile sul centrale, non erano più di 500 le persone che hanno visto Flavia emozionarsi quando il suo fidanzato, Fabio Fognini, è entrato in campo per porgerle un mazzo di fiori. C’era anche qualche tennista a fare presenza. Cerimonia triste e con un vago sentore di improvvisazione: la carriera di Pennetta meritava qualcosa di più.

https://twitter.com/WTA/status/730118372533264384

Ma quelli della FIT sono riusciti a fare peggio con la celebrazione della vittoria di Fed Cup ottenuta dieci anni fa contro il Belgio nel 2006, organizzata sul campo centrale. C’era Mara Santangelo, che ora lavora nel Coni e che non era in squadra nel 2006, e non Francesca Schiavone, che era a Roma ma impegnata al commento su Sky. C’erano Pennetta e Vinci, premiate da Malagò, ma non c’era il pubblico: lo stadio era praticamente vuoto.

Alla fine l’Adriano nazionale, invitato all’ultimo per una cerimonia a cui non voleva prendere parte, si è fatto vedere la domenica delle finali. La Federazione e il Coni hanno convocato lui, Zugarelli, Barazzutti e Bertolucci per premiare quella storica Coppa Davis vinta nel 1976 nel Cile di Pinochet (“non si giocano volée con il boia Pinochet”, lo slogan politico dell’epoca di chi cercò di boicottare la partecipazione dell’Italia in finale). La cerimonia è stata rapida, lo stadio era quasi pieno e gli applausi sono stati tanti. Binaghi, padre padrone della FIT, capace di sostenere che i risultati tecnici degli italiani sono brillanti e persino di trovare qualcuno che gli creda per chissà quale convenienza, si è tenuto alla larga ed è stato il primo a lasciare il campo alla fine della cerimonia, dove i quattro premiati non hanno detto neanche una parola. Miserie dell’Italia che fu. E che è.

Andy Murray Novak Djokovic Rafael Nadal


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