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Parigi reloaded

“Lo vede signor Anderson? È l’arrivo dell’inevitabile”. Sono le parole dell’agente Smith di Matrix, quando invita Neo ad arrendersi di fronte all’ineluttabilità degli eventi. Neo si ribella, si rialza da terra ogni volta dopo essere caduto per i colpi subiti dall’Agente, e quando questo gli chiede perché continua a rialzarsi, perché non si arrende all’inevitabile, Neo risponde: “Perché così ho scelto”. A Parigi, non c’è stata possibilità di scegliere. Domenica pomeriggio Novak Djokovic e Andy Murray giocheranno la finale del torneo. Dopo Madrid, dove ha vinto Djokovic, e dopo Roma, dove ha vinto Murray, i due si saranno di nuovo di fronte, e questa volta per il titolo grosso. Nessuno dei due ha mai vinto questo torneo.

Le semifinali del torneo erano offerte a prezzo di favore: 20 euro. E, onestamente, tanto valevano visto lo spettacolo in campo. Che non c’è stato. Chi pensava che Dominic Thiem avesse chance contro Novak Djokovic? Perché se è vero che il serbo ha fatto di tutto per dissimulare l’ossessione per l’elefante rosso, è pur vero che, nei momenti che contano, i campioni impongono la loro volontà. Vincono. E allora, contro Thiem, Djokovic ha spostato l’interruttore del suo gioco nuovamente in modalità ruthless, spietato, e ha concesso le briciole al tennista austriaco.

Che pure ha detto che ci credeva, alla vigilia. Solo che il suo allenatore, Günther Bresnik, aveva dichiarato all’Equipe che il suo allievo «non aveva alcuna possibilità di battere Djokovic». Realismo puro, perché sapeva del normale appagamento da parte di Thiem per aver raggiunto la semifinale, oltre al fatto di aver conquistato la top 10 e addirittura al numero 7 (già più di quanto ha fatto Dimitrov, per dire). Attualmente, Thiem non può battere un Djokovic in condizioni decenti. Non ha le armi adatte perché, da fondo campo, il serbo è superiore all’austriaco. E anche l’ottimo rovescio di Thiem a una mano perde sempre il duello contro il superlativo rovescio di Djokovic a due mani.

E anche quando Thiem è andato avanti 3 a 0 nel terzo set, dopo aver perso i primi per 6-2 e 6-1, Djokovic ci ha messo dieci minuti per ribaltare il punteggio, arrivando a condurre 4 a 3. Poco dopo, Djokovic conquistava la quarta finale al Roland Garros, festeggiando ancora una volta con i raccattapalle. Siamo sicuri che avrà già in mente come festeggiare la prima vittoria a Parigi.

Nell’altro campo, quello centrale, la partita era tale. Ma neanche tanto. Perché Murray non avrebbe permesso a nessuno di frapporsi fra lui e la decima finale slam, la prima al Roland Garros, sperando di vincere il suo terzo titolo dopo gli Us Open e Wimbledon. Wawrinka, che pure è migliorato durante le due settimane di Parigi, non era il Wawrinka del 2015. Era il solito Stan, quello che si concede distrazioni all’interno dei set, pause che costano care quando dall’altra parte della rete c’è chi ha una motivazione maggiore della sua.

Per qualcuno doveva esserci Stepanek al posto di Murray a giocarsi la semifinale contro Wawrinka. Una iperbole, certo, ma che racconta di quanto è stato travagliato il percorso dello scozzese nei primi due turni del torneo. Ma tutti sapevano che, smaltiti quei dieci set in tre giorni contro Stepanek e Bourgue, Murray sarebbe arrivato fino in fondo. Dopo quelle fatiche sono arrivate altre due partite contro due avversari come Karlovic e Isner, uno di seguito all’altro giusto per fagli riprendere fiato, per farlo arrivare fresco alle fasi finali con i campi allentati dalla pioggia e le palline più pesanti dei 54 grammi del regolamento: condizione ottime per un palleggiatore instancabile come lui.

Eppure, al contrario del solito, Stan era partito forte. Rovesci lungolinea chiusi, smorzate vincenti, volée stoppate irraggiungibili. Sembrava avesse voglia. Ma un Murray che non ha mollato un game lunghissimo, il secondo della partita, è bastato per far capire a Wawrinka che, oggi, avrebbe vinto lui. Stan non ha creato mai troppi problemi a Murray, capace di contenere sul 5 a 4 e servizio del primo set il tentativo di Stan di rientrare in partita. Murray si scrollava di dosso la tensione, Wawrinka andava in modalità stand-by: lo scozzese incamerava il secondo set per 6-2. L’illusione, quella che abbiamo visto troppe volte nei match di Stan, arrivava nel terzo set, che Wawrinka riusciva a vincere in rimonta. Il tempo di fermarsi sulla panca, bere qualcosa e asciugarsi il sudore, che Murray strappava immediatamente la battuta allo svizzero, tirando dritto fino alla fine del set. Non c’è stata mai, durante i quattro set di durata della partita, la sensazione che Murray potesse perdere. E questo fattore, più dei punti spettacolari, dei rovesci lungolinea di Wawrinka o delle smorzate di rovescio in diagonale di Murray, palle buttate al di là della rete con la mano tanto sono precise, è quello che rende una partita tale.

Due gli slam che Murray non ha mai vinto: Australian Open (5 finali perse) e Roland Garros
Due gli slam che Murray non ha mai vinto: Australian Open (5 finali perse) e Roland Garros

E domenica, l’inevitabile. La finale annunciata e poi sperata, una volta che Rafael Nadal si è tirato fuori dalla contesa addirittura nella prima settimana. Djokovic contro Murray, alla fine della fiera, è la migliore finale possibile, e solo perché nessuno dei due ha mai vinto a Parigi. Djokovic sarà in grado di sopportare la quarta sconfitta nelle sue quattro finali parigine? Murray avrà ancora voglia di perdere un’altra finale Slam, lui che ne ha perse 7? Una finale carica di motivazioni come mai negli ultimi anni, dove strategia e tattica lasceranno subito spazio alla resilienza in campo, alla voglia di resistere ai lunghi scambi per primeggiare, per poi ripartire dopo venti secondi. La partita inevitabile è arrivata, i due che la giocheranno avranno la possibilità di Neo in Matrix: scegliere di resistere, e quindi di vincere.

Andy Murray Novak Djokovic Roland Garros 2016


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