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Dieci

È finita con le lacrime che gli rigavano le guance perché Steven Díez, numero 192 del mondo, ci aveva provato tante volte a vincere un match nel circuito maggiore. Ma non era mai andata come voleva: gli organizzatori della Rogers Cup gli avevano riservato qualche wild-card nelle qualificazioni negli anni scorsi, così come quelli del Conde de Godó a Barcellona, i suoi due tornei di casa. Eppure Díez non era mai riuscito a vincere nemmeno un set tanto in Canada quanto in Spagna. Nel 2011, quando aveva 20 anni, andò a Montréal per affrontare Michale Yani nel primo turno delle qualificazioni: era oltre la quattrocentesima posizione del mondo, vinse appena tre game e rimandò la vittoria a tempi migliori. L’anno dopo, nella città che l’aveva fatto diventare un tennista professionista, raccolse un game in più contro João Sousa nel primo turno delle qualificazioni a Barcellona. Tre anni fa, a Viña del Mar, Díez vinse finalmente il primo match nelle qualificazioni di un torneo del circuito maggiore, ma fu Guido Andreozzi, un argentino suo coetaneo, a impedirgli l’accesso nel tabellone principale.

Due anni fa, nell’ATP 250 di Atlanta, uno di quei tornei di seconda fascia che si giocano tra Wimbledon e i Masters 1000 dell’estate e che generalmente vengono ignorati dai tennisti più forti, Díez si qualificò per il turno decisivo delle qualificazioni, dove ad aspettarlo c’era Thiemo De Bakker. L’olandese vinse il primo set, poi qualcuno gli suggerì che sarebbe stato ripescato come lucky loser nel tabellone principale e lui si ritirò dopo due game nel secondo set,  lasciando via libera al canadese, che per la prima volta raggiungeva il main draw. Il giorno dopo, nel primo turno del torneo statunitense, i due si ritrovarono di fronte. Stavolta De Bakker non aveva bisogno dell’infortunio al collo per via del quale aveva abbandonato, diceva, il match il giorno prima, e vinse 6-2 6-1, lasciando a Diez l’amara consolazione di una qualificazione octroye.

Díez ci ha riprovato quest’anno, stavolta sull’amata terra battuta su cui è cresciuto. Ma dopo aver passato le qualificazioni ad Estoril lasciando otto game in quattro set, Díez ha perso al primo turno del torneo portoghese contro Taro Daniel; ad Amburgo, un paio di settimane fa, si è qualificato di nuovo al tabellone principale per perdere contro un ragazzino, Louis Wessels, che a 17 anni è riuscito a raggiungere quello che per Diez rimaneva un miraggio.

Quest’anno Tennis Canada ha deciso di premiare i buoni risultati di Díez – oltre alle sei finali nei Futures, ha raggiunto la sua seconda finale in carriera in un Challenger e la settimana scorsa è salito al numero 190 del mondo, la sua migliore posizione raggiunta finora – con un posto nel main draw di un torneo dove spiccano le assenze, più che le presenze: il Masters 1000 di Toronto. Lui ha ringraziato la federazione del paese in cui è nato con un tweet asciutto e questa volta non ha tradito le aspettative. Al primo turno del torneo canadese, il suo primo match in un main draw di un Masters 1000, la sorte gli ha riservato un match difficile, ma non impossibile, contro Kyle Edmund. Ha dovuto aspettare i 25 anni per festeggiare, ma alla fine la vittoria è arrivata, e pazienza se il giorno dopo tutti parleranno di un altro tennista canadese. Nemmeno nel giorno più importante della sua carriera, Díez è riuscito a catalizzare tutte le attenzioni su di sé. Poche ore dopo la sua prima vittoria, la nuova speranza di casa, il 17enne Denis Shapovalov, batteva infatti in tre set nientemeno che Nick Kyrgios e conquistava tutti i titoli dei giornali. Quelli come Díez, però, sono abituati, non ci farà caso.

Díez si è sempre trovato meglio sulla terra battuta – 15 dei 18 Futures li ha vinti in quella superficie – ma il cemento canadese, che non è certo veloce come quello di Cincinnati, deve avergli dato finalmente buone sensazioni. «Sono molto felice, non ho molte parole per descrivere quello che è appena successo». Ma se Díez è rimasto a corto di parole, non sono stati certo i colpi e la tenacia a mancargli. Dopo aver perso il primo set, non si è demoralizzato come gli era successo in passato. Nel secondo set Edmund gli ha annullato due set point sul 5-1, ma Steven non si è fatto prendere dal panico quando è andato a servire una seconda volta per il set. Il primo set vinto nel circuito maggiore non era sufficiente, però. Nel terzo il 21enne Edmund ha forse sentito qualcosa a cui non è ancora abituato, la pressione del favorito, e dopo aver perso un lunghissimo quarto game che gli avrebbe dato la possibilità di recuperare il break perso a inizio set, ha mollato i remi e lasciato andare avanti il suo avversario.

Restare di sasso.

I 45 punti ottenuti a Toronto – sempre che Díez non vada ulteriormente avanti – gli permetteranno di migliorare il suo best ranking, ma la vittoria di ieri va ben oltre i punti ottenuti. Due anni fa Díez si trovava nella stessa posizione del ranking in cui si trova oggi, eppure nel migliore momento della sua carriera perse quasi tutti i match della seconda metà dell’anno e precipitò di oltre duecento posti in classifica. Aveva deciso di lasciar perdere i Futures e di dedicarsi soltanto ai Challenger, ma l’anno scorso il canadese è dovuto ripartire dal livello più basso per ricostruire con pazienza la sua migliore classifica. Dice di non volersi paragonare ad Agassi, l’unico campione che abbia mai tifato. Oggi ammira Ferrer, perché Nadal «è praticamente perfetto in tutto». La Spagna in cui si è trasferito a 6 anni e che ha lasciato dodici anni più tardi, quando la federazione canadese decise di puntare anche su di lui per rilanciarsi, è una presenza costante nella sua carriera. E infatti il suo 2015 è terminato con i campionati assoluti di Spagna: ha la doppia cittadinanza (in Coppa Davis gioca per il Canada), e così a dicembre è andato a giocare questo torneo d’appendice in cui la prima testa di serie era Tommy Robredo. Díez alla fine ha vinto il titolo, anche se non ha dovuto battere Robredo in finale, bensì Jaume Antoni Munar, che aveva vinto il titolo junior e puntava a fare la doppietta riuscita a Manuel Orantes quasi cinquant’anni fa.

Dopo aver battuto Edmund, il canadese ha lasciato andare la racchetta, si è fermato incredulo e per dieci secondi non si è mosso. La vittoria deve avergli fatto provare qualche vertigine di troppo, tanto che nell’ultimo set, dopo il quinto game, ha chiamato il trainer perché diceva di avvertire nausea e mal di testa. «Mi hanno dato due pillole rosse, spero non sia doping», ha scherzato a fine partita. «Se me le hanno date, suppongo che facciano bene». Da quel momento non ha perso più un game. Non ha dovuto scegliere tra la pillola rossa e quella blu, ma ciò non significa che Steven Díez debbe scegliere tra la vita e l’illusione. Non oggi, almeno.

 

ATP Toronto 2016 Steven Diez


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