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Il più bello spettacolo del mondo

Cosa fai quando torni in semifinale di uno Slam dopo otto anni e di fronte hai il numero uno del mondo, che ti ha battuto 12 volte su 12 e che è talmente preciso e meticoloso da essersi meritato il soprannome di RoboNole? Cosa fai quando dopo un quarto d’ora ti trovi sotto 5-0 e il pubblico magari comincia a far sentire persino qualche sibilo che non pare proprio di gioia? Cosa fai quando salvi il set point e porti a casa il game che ti evita un 6-0, un bagel nell’orribile linguaggio dei tennisofoli, cosa che in una semifinale non si verificava da quando Federer era Federer? Dipende. Se ti chiami Gaël Monfils improvvisi uno show. Dopo la terribile partenza, forse tradito da qualche emozione – fare i pagliacci non è forse il modo che abbiamo per nascondere i nostri rossori? – il francese ha deciso di regalare una partita indimenticabile agli spettatori dell’Arthur Ashe, questo immenso stadio innalzato a maggior gloria degli Yankee e dedicato ad un campione morto di AIDS, nero, come solo un paese pieno di sensi di colpa riesce a fare.


Cochino?

Se proprio non riesco a fare le volée, se i miei dritti finiscono lunghi di un centimetro e i rovesci larghi di mezzo (metro o centimetro che importa?) tanto vale rispondere in chop con i piedi dentro al campo, colpire di mezzo volo, ricordare a tutti quelli che sospirano sugli spalti la versione francofona della SABR, fare serve and volley sulla seconda, andare a rete dietro a degli attacchi che arrivavano a stento sulla linea di servizio, insomma: fare tutto quello che non si deve fare in un campo di tennis. Specialmente se giochi contro uno che a fondo campo ci sa stare. Specialmente se è il numero uno del mondo. Specialmente se è Novak Djokovic. Il serbo non l’ha presa bene. Abituato forse ad essere lui lo showman, dettando i tempi e i modi, quest’improvviso furto del palcoscenico l’ha decisamente disorientato, sorpreso. Tant’è che il primo set, che sembrava bello che finito, si è stranamente complicato. Djokovic ha mancato altre tre set point, è andato a servire sul 5-3 e si è trovato sotto 15-40. Ma questo non è certo bastato a far rinsavire il francese, che invece di riordinare le idee e cercare di capire che di fronte aveva uno non imbattibile ha deciso di regalare i quattro punti seguenti e il set.

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Una delle tante cose che sono accadute: Djokovic che gioca con la maglia strappata.

Lo sconcertante spettacolo continuava nel secondo set, tra ace di seconda e dritti che finivano praticamente sui teloni, con un Novak sempre più infastidito e che a questo punto cercava di chiuderla in fretta. Sempre più soldatino, col colletto che diventava via via più rigido o forse il collo più lungo, il numero uno del mondo si metteva a fare il compitino pensando che potesse bastare. Il serbo chiudeva 6-2 il secondo set, Monfils aggiungeva allo show un misterioso infortunio al piede e poi in apertura di terzo subiva immediatamente il break. Gachassin, il presidente della federtennis francese, sbuffava in favore di telecamere, evidentemente imbarazzato, mentre Monfils continuava nella sua sconvolgente performance. Sul 2-0 per Djokovic, col pubblico che ormai spazientito aveva trasformato in fischi i sibili, dopo che Gaël gliene aveva cantate quattro (al pubblico), improvvisamente il francese si metteva a giocare più o meno come nella settimana precedente. Djokovic entrava di nuovo in ansia e stavolta più a lungo, perché in un quarto d’ora si ritrovava sul 2-5 e set point contro, valanga che il serbo cercava inutilmente di arginare chiamando un MTO, qualcosa a metà tra la scaramanzia e il tentativo di spezzare un misterioso ritmo all’avversario. Non funzionava, anche perché stasera c’era davvero poco da spezzare. Djokovic andava 0-40 nel nono game, ma naturalmente Monfils tornava a mettere le palle in campo  e vinceva il terzo set.

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Tredici su tredici: le sconfitte di Monfils contro Djokovic.

La partita diventava quasi impronosticabile quando Monfils, nel secondo game del quarto set, risaliva ancora da 0-40 e si portava in parità. Un Djokovic sempre più sull’orlo della crisi nervosa se la prendeva col pubblico, con l’avversario, col mondo intero e i suoi dei quando un dropshot di Gael accarezzava il nastro e finiva dalla sua parte. Monfils ordinava una Coca-Cola, come fa spesso quando è sotto i riflettori, mentre Djokovic pensava solo a non farsi travolgere dall’ego debordante del suo avversario. Con la spalla in difficoltà, il pubblico che faceva il tifo per il match – e come sempre non per lui -, incapace di comprendere appieno cosa diavolo dovesse aspettarsi, il serbo ha avuto la fortuna di non dover fare niente di eccezionale, perché il francese così come rientrava nel match, allo stesso modo ne usciva alternando terribili dritti a balorde volée. Djokovic riusciva comunque a perdere il servizio sul 3-1, ma a questo punto, forse indignato, Monfils abbandonava la scena durante il secondo MTO di Djokovic, facendo temere che potesse non rientrare più. Sarebbe stato il degno finale di una partita mai vista, ma il francese non ce l’ha fatta a recitare il proprio personaggio fino in fondo e si è consegnato ad un finale tanto scontato quanto infelice. Nonostante Djokovic non riuscisse più a servire, Gaël ha smesso di far cadere le palline in campo, tirandole ovunque tranne che in quei dannati 12 metri scarsi per 11, forse semplicemente disgustato da una partita che era diventata solo un banale match di tennis. «È stata una partita strana? E perché?», dirà nella conferenza stampa più attesa dell’anno.

Monfils ha buttato una semifinale di Slam, e questo ce lo renderà caro nei nostri cuori. Poi, quando pensi che ha buttato un’intera carriera, non ti resta che augurargli che sia lui, quello che ci ha visto lungo. In fondo ci ha regalato una storia: in quanti, in una semifinale Slam, ci sono riusciti?

Gael Monfils Novak Djokovic US Open 2016


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