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Il bluff di Djokovic

La sconfitta di Novak Djokovic nella finale delle ATP Finals ha avuto i connotati dell’impotenza. Non è stata certamente la prima sconfitta del serbo in stagione, specie nella seconda parte dell’anno, ma la prima volta un Djokovic in scarsa fiducia è sembrato nudo di fronte all’avversario. Senza armi. Incapace di fare praticamente nulla.

Per tutta l’ora e mezza di partita, infatti, al cospetto di questo (ottimo) Murray, Novak Djokovic si è limitato a scambiare sulle diagonali di dritto e di rovescio, usando molto topsin e riducendo al minimo gli anticipi con poco effetto, i cosiddetti rischi, quei colpi che filano via dritti e in genere sono accelerazioni. Gli unici momenti in cui Djokovic è riuscito a essere il giocatore ammirato negli ultimi anni, è stato a partita praticamente decisa, e cioè quando si è trovato sotto di due break (1-4 e Murray al servizio, avanti 30-15) e quando ha fronteggiato i primi due matchpoint, annullati con autorità da fondocampo. E anche in occasione della terza palla match, quella che gli è costata la partita, Djokovic aveva preso l’iniziativa nello scambio fin da subito, in risposta. Il suo dritto a sventaglio però è finito in corridoio.

Il Djokovic che conosciamo, quello che riesce a tirare il rovescio lungolinea con estrema facilità, quello che, sempre dal lato del rovescio, interrompe lunghe trame con smorzate incrociate che spesso segue a rete per lasciare meno campo all’avversario, non si è visto. Lui stesso, a fine partita, ha detto che «non c’era verso che io potessi vincere questa partita oggi, si è capito fin dall’inizio».

Il Djokovic che ha affrontato il match sembrava avere la consapevolezza di non avere mezzi con cui affrontare e battere Murray. In ogni caso è sembrato convinto di non averne. Nelle precedenti sfide, il serbo era quello che prendeva l’iniziativa del gioco. I due, infatti, giocano alla stessa maniera; sono i migliori contrattaccanti degli ultimi anni, e Djokovic è riuscito spesso a battere Murray proprio in virtù di questa maggiore intraprendenza nelle loro sfide. E gli head-to-head confermano il dominio di Djokovic, che è davanti 24-11 nel computo complessivo, di cui 6-1 nel 2015 e 3-2 nel 2016.

Nelle loro sfide il pattern classico vedeva Murray limitarsi a un gioco di ribattuta, non sfruttando il suo maggior bagaglio tecnico, di gran lunga superiore a quello di Novak Djokovic. Questo perché a Murray è quasi sempre mancata quella consapevolezza dal punto di vista mentale che l’altro giorno gli ha permesso di sovrastare il suo avversario senza dover fare nulla di eccezionale. Djokovic è eccezionale da fondo campo, ma Murray non è da meno, specie sulla diagonale di sinistra. Su quella di destra Murray è tecnicamente avvantaggiato perché colpisce il dritto in modo molto più fluido rispetto a Djokovic, che ha invece un movimento molto costruito. Questo significa che in situazioni psicologiche incerte, il braccio è meno soggetto a errori rispetto a un movimento che necessita di “micropensieri” fino all’attimo in cui si colpisce.

Nei colpi di volo, Murray è di gran lunga superiore a Djokovic. La volée del britannico è una delle migliori del circuito, specie dal lato del rovescio, seconda solo a quella di Roger Federer. Anche sul lato del dritto, Murray ha una buona volée mentre è praticamente implacabile quando esegue lo smash, colpo che Djokovic sbaglia con una frequenza poco consona al suo ruolo di dominatore del tennis degli ultimi anni.

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Perché non una volée?

Nella finale di Londra si è visto Novak Djokovic provare solamente in due occasioni la smorzata: la prima ad inizio gara, quando i due erano ancora in fase di studio, e quindi in situazione psicologica non troppo anomala; la seconda è arrivata invece nel finale di partita, quando un Djokovic libero dalla pressione ha lasciato andare il braccio.

Nel mezzo, è stato un solo rimandare la palla di là, cercando i lungolinea solo secondo il tennis percentuale, ovvero senza prendere i rischi dell’anticipo (e quindi cercare la velocità) con poco spin, ma cercando di controllare i colpi sia in traiettoria che sul rimbalzo, ovvero mirando lontano dagli angoli. Ne è conseguito che Murray, piazzato almeno due metri dietro la linea di fondo campo, non ha avuto mai problemi ad arrivare su queste palle anche quando doveva percorrere molti metri.

In questo gioco, Murray è risultato più solido di Djokovic, la cui testa era pervasa già da troppi pensieri nei mesi precedenti la sfida. Invece, negli ultimi mesi Murray ha alzato il livello del suo gioco proprio grazie alla fiducia nei propri mezzi, diventando un giocatore sempre meno disposto a palleggiare lentamente da fondocampo. Nel frattempo, Djokovic è sprofondato nelle sue insicurezze. Alcuni dei suoi dritti d’approccio a rete sono stati tirati a velocità controllata o con poco angolo proprio per non prendere rischi. Pensare di superare Murray con quelle velocità e con quegli angoli è impossibile.

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No Novak, la racchetta non c’entra

L’importanza della “fiducia” nel tennis, dipende proprio dal fatto che è quella che ti permette di colpire bene la palla, di prendere rischi, di credere di poter tirare all’incrocio delle righe, ed è fondamentale per esprimere il meglio del proprio gioco. In fiducia, le soluzioni difficili diventano possibili, e si riesce a giocare meglio perché il proprio repertorio di colpi diventa più ampio. Se questa viene meno, ci si limita a fare solo quelle cose di cui non si ha paura, ritrovandosi a condurre una partita con le sole armi di cui sei certo e che però sono insufficienti, se non sei Federer.

Certo, per Djokovic potrebbe essersi trattato di un caso isolato, ma tutti i giocatori, di qualsiasi livello, attraversano alti e bassi di fiducia, e quindi si allenano proprio per fare in modo che certe cose funzionino anche senza (tanta) fiducia. Djokovic oggi sembra nudo, rimasto solo con le sue capacità tecniche palesemente insufficienti.

Che Djokovic abbia bluffato più di qualche volta in questi anni?

Novak Djokovic


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