menu Menu

Caro Roger

Caro Roger,

Beh, Londra pensavo peggio. Non è per niente male! Innanzitutto pensavo ci fosse molta più confusione e soprattutto molta più gente. Invece questa O2 Arena non è come uno se l’immagina in tv. Puoi passeggiare per interi minuti e la gente quasi non ti nota. Oddio, io non sono mica te, se ci fossi tu chissà che casino. Un po’ il dubbio m’è venuto, in effetti: non è che tutta questa quiete è colpa tua?

Devo confessarti, caro Roger, che quando ero in corsa per la qualificazione ho fatto di tutto per vincere le partite che mi servivano. Ma quando mi hanno fatto fuori non me ne sono dispiaciuto più di tanto, perché sapevo che sarei stato tra le riserve. Tu lo sai come sono (mi pare): non è che mi piaccia molto stare sotto ai riflettori. E poi, a dirla tutta, essere considerato un maestro mi piace ancora meno. Guardami in faccia: io sono l’eterno allievo.

Te lo ricordi quando ci siamo incontrati per la prima volta, Roger? Io sì. Non me lo dimenticherò mai. E quando abbiamo giocato contro? Io non molto. Non ti sorprendere, però: uno come me, una cosa del genere, se l’è immaginata mille volte in mille scenari diversi. Ed è quindi naturale che fantasia e realtà si mescolino irrimediabilmente, ed è anche bello così. Una volta, mi pare, lessi che non c’è nulla di più fasullo dei nostri ricordi. Però il set che mi hai lasciato vincere, quello lo so che è successo davvero.

A Londra manchi a tutti, lo sai, sì? Tu sei una specie di costante e quindi la tua assenza ha destabilizzato tutti. Gli organizzatori, il pubblico e anche noi, sì. Leggere le tue interviste, piene di promesse e “tornerò”, dà un tocco di amarezza ulteriore, specie quando mi trovi nei corridoi dello stadio e vedo i cimeli che ti riguardano, tutta quell’iconografia che quelli come me conoscono a menadito. Non ti nasconderò che ho sperato fino all’ultimo di vederti qui. Certo, l’aritmetica ti aveva escluso, tanto che perfino io ti sono arrivato davanti in classifica. Però, chessò, mi sarebbe piaciuto vederti tra il pubblico. Ma da quel poco che ho capito, questa pausa dal tennis ti sta facendo un gran bene. Non è che decidi di non tornare più, vero?

Alla fine, credo tu lo sappia, mi hanno fatto giocare. Ho seguito il protocollo: ho detto che ero onorato di essere qui, che anche se non giocavo non sarebbe stato un problema, che emozione essere con i migliori, certo, ovviamente sono pronto a scendere in campo e sì, naturale, darò il cento per cento se dovessi scendere in campo. Dicevano che Milos non avrebbe giocato, poi invece stava benissimo. Io comunque non avevo tutta questa voglia di giocare finché Gael l’altro giorno, quand’era ormai fuori, aveva detto che non era mica tanto sicuro di giocare quella partita inutile contro uno che era già qualificato (e che per la precisione l’aveva battuto tredici volte su tredici). Io, invece, contro Novak ci ho perso solo quattro volte (su quattro, sennò mica mi ci mettevano nel gruppo Lendl) e allora mi sono detto: proviamoci.

Sono sceso in campo con tanta voglia di fare. L’hai visto quest’anno, no? Ho dato il massimo ad ogni torneo per poter giocare contro di te e alla fine ci sono riuscito non una, ma due volte. Ho sempre perso, ma chi se ne importa. Contro Novak ho provato a fare un po’ meglio, ma non è andato come speravo. Del resto, lui vuole il numero 1 mentre io non posso nemmeno ambire al 10, almeno per quest’anno. E così, mi duole ammetterlo, credo di non aver dato il cento per cento come avevo promesso. Mi spiace, certe volte la voglia di fare non è abbastanza.

Il mio Masters è durato 71 minuti, oppure un’ora e undici minuti, cioè 1:11, che è più bello da scrivere, visto che c’è quel numero che ti piace tanto ripetuto tre volte. Non ho giocato da numero 1, a dire il vero, e nemmeno da numero 11 quale oggi sono. Spero che tu non abbia visto la mia partita alle ATP World Tour Finals, perché non è stato un grande spettacolo. Le motivazioni, come detto, sono tutto, e le mie erano molto diverse da quelle di Novak. Chissà, forse se avessi saputo che saresti stato a bordo campo avrei dato qualcosa in più. Invece sulle tribune c’era solo spettatori annoiati, che hanno speso parecchie sterline per vedere questo match inutile, uno di quelli di cui nessuno si ricorderà tra qualche giorno. Sono dispiaciuto anche per loro, si capisce, me lo si legge in faccia che sono un bravo ragazzo. Qualcuno, tra qualche anno, magari dirà: «Ma come ha fatto Goffin a giocare una partita al Masters?»

Io non sono uno che se la prende per queste cose, figuriamoci. Però te lo prometto, Roger, l’anno prossimo lavorerò sodo per esserci di nuovo. Titolare o riserva, per me non fa nessuna differenza. Tu, però, prometti che ci sarai?

ATP World Tour Finals 2016 David Goffin Roger Federer


Previous Next

keyboard_arrow_up