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Dove vai se il mestiere non ce l’hai?

Non ci siamo ancora ripresi dallo shock di avere un Adriano Panatta normalizzato in veste di commentatore di tennis su Eurosport, ed ecco che Sky, per le ATP Finals di Londra, propone Francesca Schiavone come seconda voce al commento, la cosiddetta “spalla tecnica”. È tutto normale in casa della pay tv, che divide quasi a metà con l’ATP l’utilizzo di Filippo Volandri, e che aveva già scritturato Pennetta e Schiavone in una sorta di programma “dietro le quinte”. Le due dovevano essere protagoniste di brevi video commenti con toni leggeri, il risultato era a metà fra il penoso e il ridicolo.

Questa tendenza a reclutare personaggi di fama al microfono è stata mutuata direttamente dal calcio, campo in cui Sky detta legge. Agli Ambrosini, i Boban, i Costacurta e gli Adani – che pure funzionano, e bene – Sky affianca dunque i Volandri, Schiavone e Pennetta nel tennis; e se non includiamo Paolo Bertolucci è solo perché ormai Pasta Kid può ritenersi ascritto alla categoria dei giornalisti, sperando che non la consideri una diminutio.

Francesca Schiavone aveva già esordito al microfono di Sky a Wimbledon, sollecitando non troppi entusiasmi, a voler essere generosi. Sono passati diversi mesi dal torneo verde, mesi che Schiavone avrebbe fatto bene a utilizzare in modo diverso. Soprattutto, visto che il risultato nei campi non stato certo all’altezza della campionessa che fu, forse poteva con umiltà approcciarsi ad un lavoro che pare facile ma in fondo rimane un lavoro. E invece il risultato al commento dopo appena due giorni di ATP Finals, ricalca quello sul campo: è scadente.

La prima domenica delle Finals giocano Thiem e Djokovic. L’austriaco “stoppa” una volée, che si rivela vincente. Schiavone: «Non so come faccia a controllarla visto che apre il piatto della racchetta verso il cielo». Se non lo sa lei chi può saperlo? La telecamera indugia su Mourinho, Francesca ha un sussulto: «Mamma quanto mi piace, ma mi piace proprio come persona»; Mourinho, come persona, vabbè. Ma è tempo di tornare al commento tecnico: «Vai Dominic, adesso kikkone sul rovescio e pam dall’altra parte», con un lessico che sembra mutuato dai siti che professano qualità nei loro scritti e quindi non fanno cronaca, dicono.

Thiem vince il primo set, perché Djokovic è il solito dell’anno. Ma nel secondo scoppia fisicamente, tanto che prende un 6-0. Ma il problema è il servizio. Schiavone allora chiede a Boschetto le percentuali al servizio dell’austriaco. Manco guardare il monitor.

La partita arriva al terzo set e Francesca sembra protagonista di una giornata di formazione professionale. Da discente però: «chi vince qua (sic) ha una giornata di riposo?» no Francesca – ti viene da dirle – ce l’hanno anche se perdono. Inquadrano Magnus Norman, appena votato coach dell’anno: «Ah sì?» con l’aria di chi si stia chiedendo di chi diavolo si stesse parlando. Insomma, chiamata al commento tecnico di una partita seguita da decine di migliaia di appassionati, non si è peritata di fare un paio di brevi ricerche sui siti specializzati.

Prepartita di Wawrinka contro Nishikori. Sky chiede a Francesca Schiavone di scegliere i migliori rovesci del circuito, a una mano e a due mani. Primo in classifica nel ranking ad una mano c’è Wawrinka, seguito da Dimitrov, Almagro, Gasquet e Thiem. Mancherebbe un certo Federer, che pure non colpisce malaccio da quel lato, ma succede, che volete che sia? Anche perché, poi quando poi si parla dei rovesci a due mani, la grafica fa vedere i nomi del passato, con Agassi subito dietro Djokovic. E allora perché Francesca si è scordata, per dire, di Edberg e Stich quando parlava di quelli a una mano?

Schiavone parte forte al commento, anche perché lo dice lei stessa: «sono contentissima di fare la telecronaca. L’unica sfortuna di Wawrinka è che deve giocare contro Nishikori». Eh già. Il giapponese dopo tre game morde una barretta, è evidentemente il segnale. «Ora è pronto per mettere in moto il motore», e se lo dice una giocatrice di livello mondiale potete crederci. La partita non è un granché, ma che nessuno si azzardi a dirlo. Wawrinka è totalmente distratto, i bei punti latitano e allora si può spaziare.

Nella polemica del giorno prima fra Djokovic e un giornalista, la Leonessa ovviamente parteggia per il campione, perché dice che “i giornalisti hanno la vita comoda”, lei chiamata a fare un mestiere per il quale le persone si preparano per anni prima di arrivare a quei livelli. Elena Pero ribatte, dicendo che «semmai è il contrario!». E lei ancora: «No no», ribadendo il fastidio per questa stampa, questi giornalisti che poi si permettono addirittura di fare domande, magari argute, che costringono a pensare prima di rispondere. Francesca stupra il tutto inanellando tre «grande» di fila, così ci risparmia approfondimenti sulla questione.

Non si contano i «grande», i «che grande», e poi – l’avreste mai detto? – l’ovvio «grandissimo». Tutti con quella cadenza milanese che fa pari e patta col romanesco di Panatta. Intanto Pero affonda: «Non ricordi quella partita in cui Wawrinka scagliò la palla? FORSE NON L’HAI VISTA», e lei «Ah sì, sì». La caritatevole Elena fa cadere il discorso, virando sugli sponsor, e allora possiamo finalmente apprezzare la preparazione della Leonessa, perché in «Giappone Nishikori è un re perché lui è – indovinate un po’? – un grandissimo».

«Segnati che Nishikori è andato a rete nel primo quindici – immaginiamo Elena Pero a prendere appunti col capo chino – così vediamo se in settimana offre (sic) di nuovo questo schema». Inquadrano Bjorkman: «Che brav’uomo questo, ma proprio umanamente», mentre apprendiamo che la palla di Wawrinka fa “stok”. Quindi: quella di Thiem fa “pam”, quella di Wawrinka fa “stok” (84, forse).

«Dai Stan vogliamo più da te, anche tu vuoi più da te». Queste frasette, alternate ai «Ma sì», «che bello», «wow», oltre ai «grande» del repertorio, sono inserite random per interrompere quegli imbarazzanti silenzi che vanno pure riempiti. E allora ecco che il tasto giallo, quello dell’audio originale, da tentazione forte comincia ad assomigliare ad un’ancora di salvezza. Quando Schiavone ripete per la decima volta che dovrà chiedere a Volandri, inviato a Londra, di testare la velocità del campo perché secondo lei è lento – cosa che sa un qualsiasi fan del tennis ATP, allora rompiamo gli indugi. Tasto giallo. Almeno Panatta ci faceva ridere.

E così sta messo il giornalismo quindi, un mestiere che si svolge dietro la televisione per la guerra in Siria, figurarsi per coprire il tennis. In conferenza stampa trovi i ragazzini in vacanza nei tornei ATP coi soldi dei genitori (che poi firmano i pezzi gratis come “dall’inviato”), tranne nei tornei maggiori dove qualcuno ancora va. Ma almeno loro ci mettono passione e spesso umile competenza.

Cosa che non sempre si può dire di altri. È così che è normale assistere all’arrivo in studio di Filippo Volandri direttamente dal campo di gioco, appena battuto da Ferrer a Roma quest’anno, per commentare con Meloccaro la sua partita alla lavagna tattica. Questi tennisti-giornalisti sono in evidente conflitto di interessi, specie quando sono chiamati a intervistare i colleghi, con le solite domande scendiletto dalle risposte banali e non sia mai cercare lo spirito critico. Pazienza per il giornalismo: l’importante è che non si faccia male nessuno, non bisogna criticare l’organizzazione, i tennisti, gli allenatori, le dichiarazioni altrui. Insomma: non bisogna fare il giornalista.

E più il giornalismo muore ogni giorno, più le TV ribattono con lo spettacolo, con i nomi famosi, per buona pace di congiuntivi e approfondimenti. Sono atleti bravi a colpire, perché lo fanno da una vita, ma spesso non sono in grado di spiegare come fanno. Perché la TV richiede toni, proprietà di linguaggio, competenza e tempi, soprattutto tempi. Perché le partite possono durare ore e quindi bisogna fare anche intrattenimento.

Non è facile, certo, ed è forse per questo che il giornalismo è un mestiere e non una chiacchierata al bar o di fronte a un microfono. Anche perché, come ha detto Francesca al termine della partita fra Nishikori e Wawrinka, «non tutte le torte escono col buco». Infatti serve la ciambella.

Francesca Schiavone


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