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Ma che vuole 'sto Federer?

Avete presente quella noia che vi attanaglia quando siete tifosi della A.S. Roma e vince sempre la Juve tanto che a un certo punto non ve ne frega più niente? A me ha colto questa sensazione di rottura di palle perché di fatto il calcio è bello ma sempre uguale, esaltato ad una condizione che non è (solo) calcistica ma marketing puro. Inizia così il mio parallelismo con quello che marito bellissimo con la barba ma molto rompi cazzi mi ha fatto subire. Alla sua discesa verso gli inferi durante un domenica mattina di fine gennaio: la visione della finale degli Australian Open. Se non sapete cosa sono gli AO, ve lo spiego io: il torneo di tennis più lontano da dove abitate. Quindi tutte le partite le potete vedere ad orari assurdi. Fine della spiegazione.

Antefatto. A un certo punto noto che la comunicazione con marito bellissimo subisce un qualche disturbo di segnale, penso a una comune distrazione dovuta ai problemi di vita quotidiana ma avverto una sorta di buffering tra una mia domanda e una sua risposta, un tempo di latenza che distorce il senso di una comune conversazione.

Esempio:
«Stasera a cena facciamo il minestrone?».
«Gioco a calcio giovedì!».

Perfetto, percepisco che qualcosa in lui sta cambiando, si delinea una realtà parallela nella quale vivo io insieme al resto del mondo e una in cui c’è lui che vive in questo olimpo dal quale domina insieme ai suoi coreuti, creando una specie di oligarchia, un insieme di saggi tra i saggi. Aiuto.

No veramente, aiuto. Sono state settimane da incubo, lunghe e confuse, nel quale la gestione dei pensieri casalinghi era demandata solo ed esclusivamente a me, perché marito era a comandare il plotone di esecuzione AO: video interviste, comunicazione social, chat di ogni tipo, orari contro corrente. Non esisteva più, cioè esisteva un involucro anche abbastanza ingombrante di essere umano concentrato su un evento che stava dall’altra parte del mondo.

Marito, ad esempio, mai e poi mai si alza la mattina prima di me. Anche se sono stanca morta lui, sicuro, è più stanco di me e sonnecchia fino a che può. Certo ci sta, io soffro di una lieve e snervante insonnia, quindi alla fine, anche mezza sbilenca, mi alzo e metto in moto la casa. Improvvisamente, invece, mi ritrovo alle 6.30 del mattino già il caffè pronto, il che può significare solo una cosa: il tennis si gioca con un fuso di merda e marito, per il diotennis, si alza prima. Sono partiti gli AO. Ovviamente lui negherà fino alla morte, dicendo che non è che così, che non toglie nulla alla famiglia, se non il suo cervello, concentrato a visionare scambi di una noia mortale. Il mio desiderio, io che sono contro le armi, è fucilare il televisore schermo piatto ultra HD, disintegrarlo mentre marito ha il coraggio di fare zapping tra una partita di tennis e una di calcio. In casa abbiamo una sola tv, per scelta. Evidentemente una scelta sbagliata.

Le settimane proseguono con rammarico e fastidio verso tutto il mondo tennistico, ogni tanto marito mi intercetta e si ricorda che esisto raccontandomi (alienandomi) di mirabolanti azioni tennistiche di un qualche nuovo o vecchio tennista. Io sorrido, lo guardo e mi interrogo sull’amore e le sue forme di masochismo. La psicologa, con me, poteva fare di meglio. Doveva fare di meglio.

Fatto sta che finalmente arriviamo alla finale. Che si svolge di domenica mattina. Quest’anno mi riprometto di non rompere le palle e lasciarlo a vedere la finale. Io e figlio usciamo e lo lasciamo li. Questa è la scena che ho fotografata in mente. Mentre mi giro per salutarlo vedo un uomo di 180 cm sdraiato sul divano in diagonale con coperta, computer sulle gambe, telefono in mano, tv sul tennis. Salutiamo, non risponde. Papà è andato caro figlio, ti è toccato un coglionazzo.

Quando torniamo io e figlio siamo felice della bellissima giornata di luce, è l’inizio di carnevale, i bambini sono felici, c’è tutto un mondo che sembra avvicinarsi alla primavera mentre per marito il suo animo vive un autunno della tristezza. Ha vinto Federer. Non è una novità, un po’ come la Juve che vince sempre. Marito viene preso da un grande senso di frustrazione perché questa vittoria lo rende triste, amareggiato come se avesse perso lui contro Federer. Cerco di comprendere questo stato di atonia e capisco che si è annoiato, perché questa cazzo di partita è durata forse 3 ore per veder vincere la stessa persona che vince da quando ho memoria di tennis. Vince dicendo che non se lo aspettava, che erano tutti più bravi e giovani che lui ora starà con i figli e tanti cari saluti. Se fossi marito (per citare il suo ultimo pallosissimo articolo in cui si compiace di averlo scritto lunghissimo coi paroloni) abbandonerei la vista coercitiva dei tornei. Uscirei di casa, manderei a fanculo questo sequestro di persona che può essere una finale: lunga, pesante, noiosa, sempre uguale.

Ma lui piuttosto chiede il divorzio.

Australian Open 2018 Roger Federer


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