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5 cose sul Miami Open

Quanto durerà il regno di Federer

Per quanto possa apparire inverosimile, dopo Miami potremmo sapere chi sarà il numero 1 alla fine dell’anno. A Federer basterà arrivare ai quarti di finale per assicurarsi la vetta del ranking sicuramente fino al torneo di Roma. Potrebbe essere superato solo da Nadal a condizione che lo spagnolo ripeta la tripletta del 2017 (Montecarlo-Barcellona-Madrid) e che riesca a migliorare il quarto di finale dello scorso anno raggiunto nel torneo di Roma. Basterebbe una sola sconfitta in uno di questi tre tornei per rendere impossibile a Rafa riprendersi la vetta. Se Federer però dovesse vincere il torneo, i 9.660 punti diventerebbero matematicamente irraggiungibili per tutti fino ad Halle. Nadal resterebbe 890 punti più indietro ma l’unica cosa che potrebbe fare sarebbe aggiungere 820 punti a Roma. Matematicamente? Non proprio perché il terzo è Cilic che, posto raggiunga la finale a Miami, si fermerebbe a 5.495, cioè 4.165 punti più indietro a cui aggiungere 740 punti da scartare nei vari tornei sul rosso. Cioè 4.905 punti in totale da recuperare. Il croato dovrebbe vincere i tre 1000 (Montecarlo, Madrid e Roma) e il Roland Garros, per superare Federer. Naturalmente a quelli che stanno dietro a Cilic, del Potro compreso, neanche questo basterebbe. E dopo Wimbledon? Dopo Londra si vedrà ma Federer, nella seconda parte della stagione,  ha da difendere “soltanto” 3065 punti e quindi molto dipenderà da quanto distacco sarà riuscito a mantenere dopo il torneo di Londra. Ma se si pensa che tradizionalmente per Federer quella è la parte migliore della stagione sembra ragionevole ritenere che il regno del Re possa durare ancora molto.

del Potro è l’antagonista?

Cinque tornei giocati dei quali due vinti, la grandissima vittoria contro Federer a Miami, un 17 a 3 nel computo dei match vinti/persi che è confortante e che lascia sperare che Juan Martin possa finalmente essere un protagonista di questa stagione. Rispetto all’anno scorso, quando pure fu capace di giocare ad alti livelli ma con discontinuità, del Potro è un giocatore più forte. Il rovescio è tornato a essere un colpo non giocato più in maniera difensiva, certamente non è a livello pre-infortuni ma la maniera in cui lo tira da qualche tempo a questa parte consente all’argentino di essere ancora più competitivo. Dal match vinto da Federer al terzo set nelle ATP Finals del 2013, i due non si erano incontrati proprio fino al torneo di Miami 2017. Vinse lo svizzero in due set, facilmente, ma del Potro si prese la sua bella rivincita nei quarti di finale degli US Open qualche mese dopo in una strana partita. Tiratissime invece le altre due che seguirono, la semifinale di Shanghai e la finale di Basilea, match entrambi vinti da Federer in rimonta. I loro ultimi quattro match sono stati tutti appassionanti e combattuti, e le sfide fra i due sembrano essere quelle più desiderate dai tifosi oggi. Questo per vari motivi. A del Potro vogliono bene un po’ tutti; non è, al contrario dei suoi colleghi, un tennista artefatto. Lui è genuino, parla semplice, non cura molto il suo aspetto e non ha un team che gli cura gli account social. Aveva un cane, ha pianto la sua morte e a Cesar ha dedicato la vittoria di Indian Wells. E poi la sua è la storia del tennista che doveva smettere e che invece non ha mollato davvero, non come quell’altro. Ci ha creduto, è tornato e ha vinto pure. Impossibile non empatizzare con lui. E poi c’è il suo gioco. Poche cose riescono a esaltare il pubblico come la potenza dei colpi nel tennis. Si gode dei tocchi di classe di Federer, certamente, ma quando del Potro chiude un dritto lungolinea colpendolo di piatto a 100 miglia orarie ci si esalta alla stessa maniera. E uno dei modi di battere il tennista svizzero è giocare di potenza, “piegargli” il braccio dalla parte del rovescio, cosa che l’argentino fa benissimo, o rendere impossibile una risposta sui dritti incrociati colpiti senza effetto. Un gioco che sembra molto semplice, che non ha di certo la varietà di quello praticato da Roger, ma che comunque è risultato vincente nei due match più importanti degli ultimi quattro giocati dai due. Con gli altri tennisti impegnati a ritrovarsi per i motivi più vari, chi altri può battere Federer se non Juan Martin del Potro?

Uno degli osservati speciali è Chung, qui con Bollettieri al Kids Day di Miami

Il rientro dei malati: Goffin, Nishikori, Kyrgios e, ovviamente, Djokovic

Da quando Federer si è preso la sua brava pausa, nel luglio 2016, e da quando ha fatto sembrare facile il ritorno in campo anche a 35 anni, si sono moltiplicati i malanni che hanno richiesto delle pause di riflessione. Se si pensa che per circa 45 anni i primi della classe non stavano mai fuori per più di un paio di mesi – che cercavano di far coincidere con i tempi morti della stagione – il fatto che la top 10 sia stata improvvisamente falcidiata è quanto meno sospetto. L’impressione è che Federer abbia fatto prendere un discreto abbaglio ai suoi rivali facendo apparire normale quella che forse è una delle più clamorose imprese della storia dello sport e cioè il ritorno vincente in uno sport così competitivo come il tennis. Spesso si parla della Cljister o di Serena ma si omette di ricordare che la belga non riuscì mai a raggiungere il numero 1 del ranking e che aveva 26 anni. Stessa cosa di Serena, che per due volte era precipitata negli inferi della classifica e che per due volte è risorta. Solo che la prima volta aveva meno di 25 anni, e ci vollero due anni prima di raggiungere, per una sola settimana, la vetta del ranking; e la seconda ne aveva 30. Ma è il fatto stesso di poter agevolmente ricordare i casi di successo che avrebbe dovuto far pensare. Tornare dopo un periodo lungo di inattività significa non sapere nemmeno che tipo di ritmo troverai in campo e più che a Federer forse si sarebbe dovuto guardare dalle parti di Borg. Ad ogni modo il rientro di Djokovic, incappato in due sconfitte molto imbarazzanti contro Chung e addirittura Taro Daniel (uno che a Miami non ha neanche superato le qualificazioni), non è paragonabile a quelli di Goffin, Kyrgios e Nishikori. Il belga ha saltato Indian Wells dopo quello strano incidente nella semifinale di Rotterdam, quando si diede un colpo di pallina nell’occhio. Prima di Indian Wells, Goffin ha detto di non vederci ancora benissimo e probabilmente affronterà il torneo di Miami come un test. In teoria il suo cammino non è complicato (Harrison, poi Feliciano Lopez e poi Chung) ma molto dipenderà da come si sente. Per Kyrgios il problema è invece il gomito, che già l’anno scorso gli diede problemi proprio durante la mini-stagione su erba. Dopo la splendida partita contro Dimitrov all’Australian Open, Nick è stato sconfitto da Zverev in Coppa Davis e da allora non si è più visto. Com’è ovvio, se stesse bene sarebbe uno dei favoriti per la semifinale, che l’anno scorso lo vide protagonista di un’altra splendida partita contro Federer, ma considerato che è al rientro potrebbe, chissà, essere la vittima di un Fognini per una volta decente. A meno che la prospettiva di ritrovare Zverev ai quarti non lo stimoli. Infine Nishikori, che sembra quasi non crederci più neanche lui. La sensazione è che a ventotto anni compiuti il meglio per il giapponese sia passato. La cautela con cui ha ricominciato, partendo dai challenger e perdendo da avversari buoni ma non certo, o non ancora, dei fuoriclasse, ci dice che in ogni caso il giocatore è attento, magari è un buon segno. A Miami ne sapremo di più, perché se riesce a superare Gojowczyk significherebbe che con del Potro sarebbe in grado di far partita.

La triade Zverev-Thiem-Dimitrov

Per anni abbiamo giustificato i fallimenti di tutti i tennisti che non fossero i fab four proprio dando il merito ai fab four, che forse erano veramente favolosi. Forse abbiamo vissuto un’epoca tennista straordinaria e irripetibile, con un quartetto di tennisti al vertice che veramente giocava un altro sport rispetto agli altri. E anche se fra i quattro c’era chi vinceva di più e chi meno, anche il peggiore di questi raramente riusciva a perdere contro uno qualsiasi degli altri, anche bravi. Abbiamo visto Dimitrov invecchiare distruggendo racchette mentre Zverev alternava importanti successi a puntuali e clamorose sconfitte e abbiamo smesso di sorprenderci quando Thiem viene battuto contro pronostico. La stagione di Alexander Zverev è stata fin qui fallimentare: 8 vittorie e 4 sconfitte testimoniano che il giocatore tedesco ha ancora problemi di continuità di rendimento. Eppure parliamo del numero 5 del mondo, uno che a novembre 2017 è stato anche numero 3 e che però non ha mai raggiunto i quarti di finale in uno Slam. Zverev non sembra aver un carattere facile, testimonianza ne è anche la polemica nata dopo la separazione con il coach Ferrero. L’impressione è che sembra un tipo molto sicuro di sé, non simpaticissimo, e che deve migliorare molto nella gestione sia della partita che dei tornei. Di Dimitrov e delle occasioni perse se ne parla anche nelle scuole elementari oramai, nelle lezioni di storia. Dopo le ATP Finals abbiamo pensato e sperato che fosse fatta, che fosse “arrivato” finalmente. E invece il suo 2018 è iniziato perdendo contro Edmund (!) nei quarti di finale in Australia e conquistando solo 4 game (!) contro Federer nella finale del torneo di Rotterdam. Poi a Indian Wells una sconfitta nientemeno che contro Verdasco, uno che è meglio non trovarsi tra i piedi quando ha la luna buona, ma che il numero 4 del mondo deve battere. Decisamente troppo poco. E poi c’è Thiem, a cui piace ancora troppo giocare a tennis in una maniera che non lo fa rendere al meglio. Quando capirà a gestire meglio le sue risorse fisiche e a capire che per battere i migliori deve necessariamente migliorare e variare il suo tennis allora farà il salto di qualità. Se così non sarà, allora arriveranno giornate grandiose in cui sarà capace di sfondare qualsiasi muro da fondo campo a pallate e magari sconfitte improvvise il giorno dopo. L’assioma di Thiem oggi recita: quando perde Thiem non è mai una sorpresa. Ma per tutti e tre vale lo stesso discorso, senza scendere in piazza a manifestare: se non ora quando?

Fucsovic o Marterer al 1T, poi Chardy/Dutra Silva o Gasquet al 2T per Grisha.

Quante teste di serie salteranno nei primi turni?

A Indian Wells, dopo un paio di giornate, la lista dei favoriti si era accorciata al punto che del Potro era diventato il prescelto a sfidare Federer già dalla domenica precedente alla finale. Tutto è bene quel che finisce bene, almeno per gli organizzatori del torneo, visto che in finale sono arrivati proprio lo svizzero e l’argentino, e la partita è stata decisamente migliore delle premesse. A Miami ci si augura che ci sia più competizione, ma l’ATP è in un periodo particolare; sembra di essere tornati a una quindicina d’anni fa, quando Federer stava per diventare Federer e nessuno degli avversari riusciva a star dietro alla sua costanza nei tornei principali. Partiamo da del Potro, finito nella parte bassa e favorito per un’altra finale: potrebbe avere un percorso piuttosto agile perché dalla sua parte sono finiti Nishikori (al terzo turno) e Djokovic (ottavi): entrambi vengono da un periodo di stop piuttosto lungo e nessuno dei due sembra in condizioni decenti. Djokovic a Indian Wells ha perso nettamente al terzo contro Taro Daniel, venendo surclassato da fondocampo da un tennista che ha perso a Miami nelle qualificazioni e che normalmente non gli farebbe scendere una goccia di sudore; Nishikori ha giocato un paio di challenger, e dopo aver perso a Delray Beach e ad Acapulco a Indian Wells non si è presentato per una non meglio precisata “sickness”. Entrambi possono perdere prima del loro incontro con del Potro: il serbo affronterà Mischa Zverev o Paire (un primo turno da vedere), Nishikori si troverà di fronte Gojowczyk o Millman. In altri tempi li daremmo per netti favoriti, oggi è difficile pronosticare qualcosa di buono quando si parla di questi due. Del Potro insomma potrebbe vedersela con Krajinovic agli ottavi, ma nemmeno con l’argentino si può andare troppo sul sicuro: al secondo turno troverà Haase o Sugita ma a Miami non è mai andato granché bene (ha raggiunto la semifinale nel 2009, ma dopo quella partita ha vinto 7 partite su 13). Dimitrov, testa di serie numero 3, dopo il pessimo avvio di stagione, proverà a rilanciarsi a Miami, ma per qualche motivo i 1000 statunitensi di inizio anno gli sono indigesti: a Indian Wells non ha mai passato il terzo turno, a Miami non è mai andato oltre agli ottavi. Occhio quindi al debutto (più agile di quello californiano: Marterer o Fucsovics) e ai primi incroci con le teste di serie, visto che al terzo turno potrebbe esserci Gasquet e al quarto uno tra Schwartzman e Raonic. Infine uno sguardo ai più giovani: Zverev ha un secondo turno ostico, contro Tsitsipas o Medvedev, Kyrgios dovrebbe cavarsela contro il vincente di Lajovic-Zeballos ma chissà, Rublev è finito in orbita Cilic ma prima del croato dovrà pensare al suo secondo turno, contro Karlovic o Pospisil. Non facile.

ATP Miami 2018


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