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L'impossibilità di essere normali: dalle stelle di Parigi alla polvere di Rio, la parabola di Cecchinato finisce qui.

L'impossibilità di essere normali: dalle stelle di Parigi alla polvere di Rio, la parabola di Cecchinato finisce qui.

Il 24 febbraio 2020 Hugo Dellien non aveva ancora vinto una partita nel circuito nella sua dodicesima stagione da professionista. Il ventiseienne boliviano, soprannominato “Pantera”, nonostante ciò era riuscito a  raggiungere il numero 73 della classifica a gennaio, il suo best ranking. Non basta per fare di Dellien il miglior boliviano di sempre perché Mario Martinez, un tennista attivo a metà degli anni ‘80, è stato fra i primi 40 del mondo senza aver mai giocato né in Australia né a Wimbledon. Dellien solo un anno fa riusciva a vincere la sua prima partita nel circuito maggiore, proprio di questi tempi: sulla terra battuta di Rio de Janeiro, superficie sulla quale Hugo gioca meglio, tanto è vero che le vittorie raggiunte nel circuito Challenger, ben 83, sono arrivate tutte sul rosso, Dellien superava Guido Andreozzi in due set.

Il 26 agosto 2019 Dellien gioca il primo turno degli US Open contro  Soon Woo Kwon. In vantaggio per due set a uno, il coreano si ritira. È l’ultima vittoria della stagione: Dellien perde infatti vince un set contro Medvedev e perde al primo turno ad Anversa e a Basilea. Dellien torna a giocare e a vincere sulla terra rossa dei Challenger di fine anno e inizia il 2020 giocando ad Auckland, Australian Open, Cordoba, Rio de Janeiro e Buenos Aires. Perde sempre. 

Il 24 febbraio del 2020 Hugo Dellien vince la sua prima partita dell’anno. Contro Marco Cecchinato, semifinalista al Roland Garros nel 2018.

Da quel 5 giugno 2018, quando Cecchinato batté Djokovic diventando il primo italiano ad arrivare così lontano nel singolare maschile dai tempi di Adriano Panatta, nel 1976, la vita sportiva di Marco Cecchinato è profondamente cambiata.

Solo un paio d’anni prima Cecchinato era stato squalificato per 18 mesi dalla Tennis Integrity Unit. Il siciliano, secondo la TIU,  era un tennista che giocava e scommetteva su partite sue e di altri. La squalifica venne poi ridotta a 12 mesi, mentre Cecchinato continuava a galleggiare nel circuito Challenger, in quella che pareva essere la sua naturale collocazione tennistica. Giravano soldi, non tanti, ma comunque Cecchinato era uno di quelli che “ce l’aveva fatta”. Per guadagnare di più bisognava fare il salto di qualità, per Marco non era ancora periodo.

Anche il 2018 non sembra diverso dagli altri. Un turno a Buenos Aires, uno a Rio, i challenger sulla terra rossa. A Monte Carlo supera le qualificazioni e poi perde al secondo turno contro Raonic, non proprio uno specialista. Va a Budapest e al secondo turno di qualificazione incontra Jurgen Zopp, che lo batte abbastanza nettamente, 6-4 6-2. Cecchinato viene ripescato come Lucky Loser e improvvisamente tutto cambia.  Il palermitano batte Andreas Seppi in semifinale e John Millman in finale e incredibilmente vince il torneo. Due giorni dopo a Monaco di Baviera batte Fognini e a Roma si arrende a Goffin. Poi quel Roland Garros. Nel match di primo turno Cecchinato è sotto due set a zero contro Marius Copil, ma il rumeno è noto per le sue mattane e non si smentisce, perdendo 10 a 8 al quinto set. Uno dietro l’altro Cecchinato supera Trungeliti e va bene, ma poi Carreno Busta – ai tempi numero 11 ATP – David Goffin (9) e appunto Novak Djokovic, in un meraviglioso e indimenticabile quarto di finale. Cecchinato si arrende contro Thiem, dopo aver lottato in tutti i set punto a punto e da quel momento, da numero 30 del mondo, inizia la sua seconda carriera da tennista professionista.

Il più forte tennista palermitano di sempre

Per quanto in molti lo considerassero un giocatore adatto al cemento, i suoi risultati migliori continuavano ad arrivare sulla terra battuta, tant’è che vince il suo secondo torneo ATP a Umago. Sul cemento invece va proprio male. Cecchinato vince un paio di partite in quattro mesi e chiude il 2018 perdendo contro Joao Sousa, non proprio Pete Sampras sul cemento, nel Masters 1000 di Bercy. Il suo anno era stato comunque eccezionale, era il nome nuovo del tennis italiano, capace di oscurare un Fabio Fognini sulla cresta dell’onda da una decina d’anni e che, in pochi mesi, aveva visto un anonimo siciliano, implicato in passato con le scommesse nei Challenger, fare meglio di lui negli Slam.

Il 2019 sarà l’anno chiave per Cecchinato, dicevano tutti ad inizio anno. Quei 720 punti della semifinale parigina pesavano come un macigno nel ranking del siciliano. Maggio era lontano ma le prime sconfitte cominciarono ad arrivare già da gennaio, quando sia ad Auckland che a Melbourne perse al primo turno contro Tennys Sandgren e Filip Krajinovic. Ci sarà tempo per dimostrare di essere un giocatore da cemento, avrà pensato Marco, che riparò sull’amata terra battuta. Sconfitto al primo turno a Cordoba, a Buenos Aires vince il torneo battendo Diego Schwartzman in finale. Il ranking salì di nuovo: Cecchinato diventò il numero 17 del mondo.  I due Master 1000 americani di marzo però si giocano sul cemento e ancora Cecchinato non vince una partita, anche se il walk over di Dzumhur gli permette almeno di passare un turno. L’amata terra europea e una fiducia nei propri mezzi mai così alta avrebbero lenito le sconfitte sul cemento, quella superficie sulla quale Cecchinato poteva adattarsi bene ma sulla quale le vittorie non arrivavano mai?

La nuova dimensione gli permette di saltare il torneo da cui tutto era partito, quello di Budapest e di giocare meglio sia a Monte Carlo, dove prima di arrendersi a Pella supera Wawrinka, che a Monaco, dove stavolta contro Fucsovics vince, prima di perdere contro Garin. Giocare a Roma da italiano è difficile, si sa, quindi non ci fu allarmismo quando perse contro Philipp Kohlschreiber al secondo turno, e pazienza se Diego Schwartzman si era preso la rivincita di Buenos Aires nel primo turno del 1000 di Madrid. A conti fatti però la stagione sul rosso non era stata esaltante e forse per questo non ci sorprese più di tanto quando a Parigi, Cecchinato abbandona subito il torneo, perdendo contro Nicolas Mahut, francese a fine carriera, noto per aver perso la famigerata partita dei record a Wimbledon contro Isner e che in svantaggio di due set riuscì a vincere al quinto.

“Finalmente non ho più punti da difendere”, disse a fine partita nell’ultima settimana vissuta da top 20. Di lì in poi, si pensava, Cecchinato potrà calarsi appieno nella sua nuova dimensione. Già, ma qual era la sua dimensione?

L’idolo tennistico di Marco Cecchinato è Marat Safin

Queens, Eastbourne, Wimbledon, Umago, Amburgo, Kitzbühel, Montréal, Cincinnati: sette tornei e sette sconfitte al primo turno. Dal 13 maggio, giorno in cui al primo turno del torneo di Roma aveva battuto un giovanissimo Alex de Minaur al primo turno, Marco Cecchinato dovette aspettare il 19 agosto e il ritiro di un avversario, Bublik, per vincere di nuovo una partita.

Agli US Open arrivò un’altra sconfitta al primo turno, contro il numero 119 ATP Laaksonen. Per Cecchinato, ormai numero 66 del ranking, era giunto il momento di tornare a giocare i tornei Challenger, che non frequentava dal marzo del 2018, a Barletta.

Gioca a Genova, e perde al primo turno. Di nuovo. Va allora a Szczecin e riesce a vincere finalmente una partita intera, contro il francese Manuel Guinard, numero 307 del ranking. Perde in semifinale, ma tre partite vinte di fila forse gli danno un po’ di fiducia. Torna a giocare nel circuito maggiore, sul cemento di Zhuhai e Pechino: arrivano altre due sconfitte al primo turno. Supera le qualificazioni a Shanghai ma perde contro Benoit Paire al primo turno. Da Shanghai vola a Lima, in Perù, ancora l’amata terra, nel torneo Challenger. Perde al primo turno contro il brasiliano Thiago Seyboth Wild, numero 342 ATP. Il suo 2019 finisce qui: 17 partite vinte e 28 perse, 16 di queste al primo turno.

Intervistato da Eurosport alla vigilia degli Australian Open 2020, Cecchinato rispondeva così: “Devo prendere fiducia: a inizio anno faccio sempre fatica. Sto bene fisicamente, mi sono allenato tanto, la stagione è appena iniziata, speriamo di giocare bene. Il 2019 è stato molto difficile per me, ora sto bene mentalmente e questo è importante per il mio gioco. Sono tranquillo, la stagione è lunga, bisogna avere pazienza e tanta voglia di allenarsi”.

Prima di perdere a Melbourne contro Sascha Zverev, naturalmente al primo turno, era stato sconfitto a Doha da Herbert e al secondo turno di Auckland da Humbert. Era evidente che il cemento non faceva per lui. Che fare? I Challenger, certo. Vola a Punta dell’Este, in Cile, e raggiunge la finale perdendo il torneo contro Thiago Monteiro, brasiliano sempre ostico da affrontare a quelle latitudini. Ma come Cecchinato rialza la testa dalla sabbia, lasciando i Challenger per giocare i tornei del circuito maggiore, ecco che arriva qualcuno a ricacciarlo sotto terra.

A Cordoba, Buenos Aires, Rio de Janeiro e Santiago del Cile arrivano quattro sconfitte al primo turno. Marco Cecchinato esce dalla top 100: dopo due anni, la luna di miele col tennis di vertice è finita.

Lui non è comunque preoccupato. “Lo scorso anno dopo un buon inizio ho perso diverse partite ed è arrivata un po’ di sfiducia. Devo solo ricominciare a vincere qualche buona partita. L’ho detto tante volte, mi manca solo quel click per tornare ad alto livello. Ora sto attraversando un momento difficile, ma fa parte della vita del tennista”.

La fiducia: quante volte abbiamo sentito nominare questo fattore dai tennisti di tutti i livelli? A livello tecnico, un tennista fuori dai primi cento è praticamente dello stesso livello di un top 50. È noto, è la fiducia a fare la differenza nelle capacità di un giocatore: se non si crede nei propri mezzi, difficile che sia l’avversario a farlo al posto tuo. Quand’è così, di solito, si perde. Ma il problema di Cecchinato può solo essere la fiducia?

Quando Cecchinato ha iniziato a giocare a tennis, la sua dimensione era quella dei tornei Challenger. Genova, Palermo, San Marino, Mestre: queste erano le città in cui Marco giocava e riusciva pure a vincere qualche partita. Quando aveva 23 anni, nel 2016, Marco non aveva vinto ancora una partita nel circuito maggiore. La squalifica, poi quel Roland Garros. La vita sportiva di Cecchinato in due anni ha vissuto lo zenit e il nadir. Dai montepremi risibili dei tornei Challenger, i 4.240 dollari guadagnati quest’anno da Marco nella finale di Punta del Este, ai primi turni pagati di lusso come i 90mila dollari australiani per giocare e perdere al primo turno a Melbourne.

Aver vissuto il tour per due anni ad alto livello dev’essere stato come sedersi al ristorante stellato quando si è abituati allo street food. Ma la rendita di quel Roland Garros 2018 è oramai terminata. Marco Cecchinato è di fronte ad una scelta: tentare la sorte nelle qualificazioni dei tornei principali o tornare a rifugiarsi (e vivere) in quella che forse, sicuramente per la costanza di risultati, è la sua dimensione. Quella dei Challenger.  

Marco Cecchinato


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