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Lo strappo di Djokovic

La sfida fra Djokovic e Medvedev tanto attesa è un no contest australiano, l’ennesimo.

La sfida fra Djokovic e Medvedev tanto attesa è un no contest australiano, l’ennesimo.

Medvedev si gira per raggiungere il suo fondo campo per iniziare il riscaldamento, ha appena scattato la foto con Djokovic, che prima di correre anche lui tocca la coppa mentre Medvedev non può guardare. Cosa avrà pensato? Sarai mia? Ci vediamo dopo?

Il 3 a 0 in pochi minuti del primo set in favore del serbo è roba da spavento, ma Medvedev non sta giocando. Il suo dritto ha preso la rete un paio di volte, tirato in maniera dozzinale, Djokovic sta facendo valere la sua caratura. Serve una scossa. Sul tre a uno per Novak c’è finalmente il primo scambio lungo, quelli che ci aspettiamo da questa partita, sia che lo vinca o che lo perda, Daniil inizia a giocare bene, a non sbagliare forzando, alla fine quel punto lo vince lui. Nel successivo compie un gran recupero e Djokovic sbaglia uno smash da fondo campo tutt’altro che impossibile: la partita è iniziata.

Quando finalmente gli scambi iniziano ad essere quelli tanto attesi, almeno da chi desidera una partita-massacro da fondo campo, l’unica cosa che può rendere entusiasmante il confronto fra due giocatori di ritmo con poca tendenza alle rete, è Djokovic quello che vuole uscirne prima; quando il rovescio incrociato di Medvedev non è troppo lungo, il serbo gioca spesso un rovescio in back che rimane corto ma soprattutto basso, così che il russo non possa aggredirlo con il rovescio coperto, Medvedev scende quindi a rete con il back e conclude il punto là, sembra molto concentrato su queste palle, come se le aspettasse.

Daniil si aggrappa al servizio, Novak alle accelerazioni di rovescio incrociato e di dritto lungolinea, è più incisivo negli scambi da fondo adesso, Medvedev sembra non avere le idee chiare su come fare un punto da dietro; Djokovic inizia il game in risposta con Medvedev che serve sotto per 5 a 6 e si procura tre setpoint consecutivi. Un dritto vincente da fondo campo, un gran passante di rovescio in lungolinea, il serbo gioca un gran game e quando un dritto del russo si affloscia a mezza rete sul 30-40 il primo set finisce, Djokovic sembra condurre la solita, vittoriosa passeggiata australiana.

Come se avesse finalmente pagato il doveroso tributo al campione in carica, Daniil inizia il secondo set cominciando a spingere dal fondo, colpisce piatto in lungolinea, che è la chiave per far male al serbo, costretto ad accorciare in recupero, e si procura un break di vantaggio. Un’apertura? Macché, Novak pareggia rapidamente giocando un grandissimo game in risposta, in questo momento la profondità dei colpi di Djokovic sta facendo la differenza in suo favore. Djokovic è perfetto nel colpire in lungolinea e sulla diagonale incrociata con intensità e profondità, il russo concede molti errori gratuiti, dopo un’ora di match ha vinto solamente il 33% di punti sulla seconda palla, Djokovic lo doppia in questa statistica. Il break è la conseguenza naturale, il serbo s’invola sul 4 a 1 e chiude 6-2 poco dopo. Adesso è un no contest, Medvedev sfascia una racchetta sperando che qualcosa cambi.

Djokovic è nella sua comfort zone, il russo non riesce a formare crepe nel muro eretto dal serbo, che ribatte qualsiasi palla dall’altra parte della rete come nei giorni migliori, e questo sembra decisamente uno dei suoi giorni migliori. La sfida epica, il match memorabile, la battaglia dei rovesci, la gara di resistenza: non c’è niente di tutto ciò. Novak gioca un match in cui i suoi colpi da fondo campo sono profondi e persistenti, risponde nei piedi di Daniil trovandolo impreparato a reagire e quando gli scambi si allungano è lui stesso a cercare strade per accorciare, per ridurre gli sforzi, è lui quello intraprendente, il protagonista. Il russo è frustrato, al cambio campo dopo aver perso il secondo set ha la faccia dello scoramento, scuote la testa come a dire “ma cosa posso fare?”.

Slam numero 18, senza QUELLO US OPEN

All’inizio del terzo set Djokovic fa due doppi falli, batte piano, Medvedev ha due palle break e la prima di queste la spreca con un dritto largo senza pretese. Sulla seconda Novak torna a battere forte e recupera. Un’occasione sprecata per cercare di prendere fiducia e passare di nuovo in vantaggio. Muore lì Medvedev, e con lui la partita ovviamente. Djokovic sale sul 3 a 0 rapidamente, sbaglia ancora meno se possibile, il russo sembra quasi giocare a casaccio, spera forse in una mano che non arriverà, neanche il pubblico lo aiuta, il tifo dagli spalti non fa innervosire Novak, la gente neanche tifa spudoratamente per la partita, sarebbe troppo sfacciato mancare di rispetto all’otto volte campione. Oltretutto, chi meglio di uno che ha vinto otto volte quel torneo potrebbe capire il tifo “per il match”? Djokovic ha vinto Wimbledon battendo Federer in finale, figuriamoci se avrebbe paura del tifo contro anche in Australia.

Sul 4 a 2 15 pari servizio Djokovic, Medvedev chiude un dritto lungolinea vincendo uno scambio lungo. Agita le braccia per caricare il pubblico, ma non sembra crederci neanche lui. Quando domina lo scambio sul trenta pari, la difesa di Djokovic è strenua: pressato nell’angolo sinistro dal dritto inside-out di Medvedev colpito dal centro del campo, il serbo si salva colpendo una riga di rovescio indirizzando al centro del campo, roba da lasciar cadere la racchetta per terra e andarsene. Questa è la sua forza, la capacità di alzare il livello del suo gioco a seconda dell’avversario. Nei primi turni Djokovic può viaggiare a velocità di crociera, quando sfida il miglior palleggiatore da fondo del circuito, questo Medvedev alla seconda finale Slam, Novak ha ancora un’altra marcia da mettere per neutralizzare qualsiasi possibilità di perdere una partita sul piano del palleggio. Servirebbe sparigliare, variare, confondere, alternare sfondamenti a tocchi delicati, avere percentuali di ace e servizi vincenti altissime, altrimenti, semplicemente, si perde. E il 6-2 del terzo set, quello che decreta la nona vittoria di Djokovic in Australia, è l’ennesimo parziale scialbo, brutto, senza pathos, prevedibile. 

Due finali Slam, due sconfitte, contro Nadal e Djokovic. Daniil fin qui è sulla strada per diventare il nuovo Murray.

La sorpresa, alla fine, forse sta nella mancata preparazione del match da parte di Medvedev, che evidentemente si è fidato troppo sia del suo livello di gioco che del Djokovic visto fino alla semifinale. 

Un semplice principio di precauzione avrebbe dovuto suggerire a lui e al suo staff di prendere in considerazione l’ipotesi che il numero 1 del mondo, non uno qualsiasi, non avrebbe lasciato nulla di intentato per confondere la sua idea di partita. Medvedev è stato sorpreso sia dalla capacità di Djokovic di rimandare dall’altra parte sue sue accelerazioni di solito vincenti, sia dall’essere attaccato con palle profondissime, che rimbalzavano a pochi centimetri dalle linee, quando non proprio sulle linee, costringendolo a giocare in affanno sia il rovescio che il dritto, vero punto debole della giornata. Il servizio avrebbe potuto aiutarlo, ma in uno sport che sta rendendo questo colpo sempre più importante, la capacità di rispondere e di farlo in maniera proattiva diventa decisiva per salire ai vertici del ranking, e Novak è là in cima.

Si è detto tante volte che troppo timore da parte dei giovani nei confronti dei vecchi campioni non era salutare ma Medvedev ha proprio commesso l’errore opposto, credere che sarebbe bastata la differenza d’età e la capacità di tirare colpi definitivi a lungo per vincere il match. Chissà se avrà capito che il tennis – e lo sport- sono un po’ più complicati di così. Su Djokovic e la sua vittoria c’è poco da aggiungere tranne che oggi ha costruito un piccolo capolavoro. Antipatico, scostante, furbastro, irritante. E fuoriclasse.  

Novak Djokovic


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