Abbiamo problemi con la gente.
By Claudio Giuliani Posted in spotting on 4 Novembre 2021 10 min read
Quando Rafael Nadal incontrò Roger Federer per la prima volta a Miami nel 2004 riuscì a batterlo in due set. Cinque erano gli anni di differenza, Roger era il numero uno del mondo e aveva già vinto due Slam, Rafa era un diciassettenne spagnolo classificato al numero 34 ATP, vestito più che da spiaggia che da tennis ma con una voglia infinita di spaccare tutto. Vinse Nadal, ma Federer non era al meglio. Fortunatamente lo svizzero era riuscito già a dimostrare qualcosa dal punto dei vista dei risultati, era già un campione affermato e Nadal poteva diventare quantomeno l’antagonista.
Il giorno dopo la sconfitta di Sinner contro Alcaraz invece, è l’occasione giusta per cambiare carro, e salire finalmente su quello di Alcaraz, il rivale tanto atteso e che ora ha dimostrato anche sul campo di essere migliore.
Il primo confronto fra i due era tanto atteso. In realtà era il secondo. I due avevano giocato per la prima volta nel 2019, in un Challenger ad Alicante sulla terra battuta, e a vincere fu Alcaraz. Allora, erano entrambi degli sconosciuti. Ben altra attesa il match di Parigi-Bercy, dove Alcaraz ha rispettato puntuale l’appuntamento con Jannik battendo in un match difficile il francese Herbert, arresosi solo 7-5 al terzo set.
Confinare la partita nel campo uno di Parigi forse ha reso la vita un po’ più semplice ai due, che avevano sicuramente aspettative diverse ma la stessa tensione. Sinner si sta giocando la qualificazione alle ATP Finals, la sconfitta contro lo spagnolo ne complica il cammino. Proprio per questo motivo ha giocato in maniera più contratta la partita, questo si è visto soprattutto nel primo set. Carlos Alcaraz aveva poco da perdere, vero, ma come tutti sapeva che quella era la partita del giorno, la prima nel Tour contro uno dei suoi rivali futuri, una sfida che molto presto sarà impossibile vedere nel secondo turno di un qualsiasi torneo.
Sinner è andato infatti subito in vantaggio grazie a un game di riscaldamento di Alcaraz, ma già al cambio campo Carlos ha aggiustato il tiro e recuperato il break. Di lì in poi lo spagnolo è stato praticamente ingiocabile nei turni di battuta e, consolidata questa certezza al servizio, ha potuto giocare i game nei quali Sinner serviva con più scaltrezza. Raramente era passivo in risposta, e grazie a piedi ben piantati non lontano dalla riga di fondo riusciva a giocare con un anticipo che costringeva Jannik a giocare di fretta, ad avere poco tempo in uscita dal servizio.
Nonostante la tensione, aiutandosi con le 70 partite in più giocate nel circuito (115 contro le 42 di Alcaraz), Sinner riusciva ad arrivare al sei pari. Ma il tiebreak è stato una prece. Alcaraz andava subito in vantaggio e veniva aiutato da un po’ di fortuna,ma la verità è che Sinner non aveva armi per contrastare un avversario che gli faceva il punto in tutte le maniere, addirittura uno con un passante bimane di rovescio giocato al volo da tre quarti campo, pura trance agonistica.
Alcaraz sembrava indemoniato, e lo svantaggio per Sinner prevedibilmente aveva l’effetto di far giocare l’azzurro con ancora maggiore ansia. Sinner non demordeva di certo e un po’ l’esperienza e molto qualche avventatezza di Alcaraz gli permetteva di reggere il match con lo spagnolo, salvando palle break a ripetizione, ben sette in due game.
Alcaraz conduceva il gioco da fondo, Sinner controbatteva. Il ritmo era molto alto, la profondità dei colpi di entrambi era impressionante per vicinanza alla riga, ma era sempre lo spagnolo quello che dava l’impressione di poter decidere in suo favore il match in qualsiasi momento. L’azzurro c’era, ma non sembrava mai in grado di poter girare il match in suo favore.
Sul 5-5 lo spagnolo si decideva a chiudere il match, con un break ottenuto nonostante Sinner mettesse solo prime palle in campo. Ma la superiorità di Carlos era evidente e Jannik si è sciolto solo durante l’abbraccio a rete, lasciando intravedere un sorriso e dicendo a Carlos che giocheranno di nuovo presto. Più o meno.
Le differenze fra i due sono notevoli, e non tutte vanno a vantaggio dello spagnolo. Ma paragonare uno che ha un terzo delle partite dell’avversario nell’età più difficile per diventare forti a tennis sarebbe ingiusto.
Quel che è evidente è che Carlos Alcaraz gioca un dritto che per naturalezza, varietà e incisività ricorda quello di Fernando “mano de pedra” Gonzalez, un colpo meno “costruito” rispetto a quello di Jannik, e che quindi si incepperà meno nei momenti di tensione, quelli decisivi, come appunto nella sfida di Parigi.
Sinner è naturale nel lato del rovescio, un colpo che anche Alcaraz ha di grande livello e che viene lodato troppo poco solo perché ci si concentra sempre a guardare il suo dritto. Gioco di volo, servizio e variazioni sono aspetti sui quali i due stanno lavorando con l’aiuto di due grandi coach, mentre fisicamente impressiona già oggi la capacità difensiva di Jannik, che non con quelle lunghe leve riesce comunque a coprire il campo con estrema rapidità, una cosa non troppo scontata per quei centimetri. Alcaraz invece, da questo punto di vista ha semplicemente il fisico perfetto per il tennis. Rapido, potente, scattante, muscoloso: sembra non poter esaurire mai le energie e alzare il ritmo di ogni suo gesto sempre di un livello in più.
Giocano un tennis simile, di ritmo, nessuno dei due è attendista e entrambi hanno la superficie preferita: la terra, che allarga e allunga il campo per il potente Alcaraz; il cemento indoor che velocizza e abbassa le traiettorie per il lungo Sinner. Carlos è già migliorato molto in battuta, colpo nel quale anche Jannik ha lavorato molto durante l’anno (saltando le Olimpiadi). Lo spagnolo sembra maggiormente a suo agio anche in altre zone del campo, ha una smorzata che esegue con una certa temerarietà ma con notevole padronanza rispetto a Sinner, che invece quando esce dai suoi schemi classici lo fa avendoci ragionato sopra. Istinto contro ragione se dovessimo sintetizzare.
Difficile che le loro sfide future siano diverse da quella vista a Parigi, la crescita di Alcaraz nel ranking lo porterà a giocare in maniera diversa, prima o poi avrà anche lui qualcosa da perdere, come un trofeo, e allora potremo vedere quanto vale questo ragazzino spagnolo quando la tensione aumenta. Come stiamo vedendo ora per Sinner.
Non è la prima sconfitta di Sinner che fa discutere, ma questa occupa un posto di rilievo perché servirà a calmare un po’ l’ambiente che ha attorno e a far rendere conto a tanti che a tennis non sa giocare solo Sinner.
Detto ciò, la sostanziale difficoltà di approcciarsi con equilibrio al giudizio di una prestazione sportiva rimane evidente anche quando il tennis maschile azzurro, proprio grazie a Sinner ma soprattutto a Berrettini, sta vivendo il momento storico migliore di sempre. Due italiani in top 10, eppure Sinner che perde contro Alcaraz è una delusione immane, come una macchia indelebile nel suo curriculum.
Quel che tutti dimenticano è che questo ragazzo ha iniziato il 2021 al numero 34 ATP ed è ora fra i migliori 10; ha vinto quattro tornei su cinque finali disputate quest’anno rischiando addirittura di vincere un Masters 1000, perso contro un giocatore per ora più forte e continuo di lui.
Jannik è stato eccessivamente esaltato quando ha vinto il torneo ATP 500 di Washington, dove ha vinto la semifinale col numero 130 del mondo e la finale con il numero 107 7-5 al terzo. Ed è stato altrettanto eccessivamente criticato dopo alcune, naturali sconfitte.
Perché?
Lasciando stare comparazioni tanto ardite quanto naif nel loro ingenuo dilettantismo così presenti nell’asfittica editoria tennistica italiana, piene di luoghi comuni che oscillano tra “la grande capacità del genio italico di rialzarsi” e “l’italiano non sopporta il talento” a seconda che i giorni siano pari o dispari, chi scrive di tennis fatica a raccontare con equilibrio le vicende sportive. Di qui i commenti strampalati di chi vede in un ragazzo che è fra i migliori del mondo a 20 anni uno che è bravo sì, però l’altro…. E questo dopo un ventennio di tennis maschile che ha costretto i tifosi azzurri a seguire quei bravi ragazzi di Volandri, Bolelli, Seppi e Fognini, che giocavano quando Nadal, Federer e Djokovic facevano sembrare gente come Berdych un perdente, Murray un incompiuto e Wawrinka un incostante mattoide.
Toltisi finalmente di mezzo quei tre (Djokovic non resisterà a lungo) la testa del movimento tennistico è passata a Medvedev, Zverev e Tsitsipas che sembrano di ben altra e più normale dopo gli extraterrestri – qualità. Dietro di loro non c’è il vuoto e Sinner è riuscito a farsi largo tra Hurkacz, Shapovalov, Auger Aliassime che sono cresciuti e hanno migliorato i loro risultati. Ma come ricordato ci sono tanti tennisti che potenzialmente possono diventare fortissimi o comunque capaci di mettere in difficoltà i migliori, da Ruud a Norrie, da Fritz a Korda. Insieme a loro già crescono altri giovani promettenti, come i nostri appunto.
C’è insomma tanto altro oltre a Jannik Sinner e alla sua ascesa verso la divinazione che solo uno Slam può consacrare.
Quello che andrebbe ricordato è che è praticamente impensabile riuscire a vaticinare chissà quali risultati nei ragazzi, e smetterla di credere che la competenza sia legata alle capacità di prevedere il futuro. Solo quattro anni fa era impensabile che Nick Kyrgios non dominasse per anni il tennis e abbiamo tutti visto come abbia preferito fare altro. Berrettini nessuno pensava potesse arrivare in top 10 ed è stato il primo italiano a raggiungere la finale di Wimbledon e chissà se ci sarà il secondo.
Gli sport individuali come il tennis vivono di equilibri sottilissimi perché si parla sempre di ragazzi che vivono in contesti che possono mutare da un giorno all’altro: una delusione sentimentale, un lutto, un’acquisita consapevolezza che la gioventù non può passare colpendo sempre la stessa palla ogni santo giorno che dio manda in terra. E fra l’altro c’è da augurarsi – o meglio: augurargli – che i campioni che verranno siano maggiormente in grado di godersi la gioventù. Collezionare record alla fine fa più piacere a chi guarda che a chi gioca.