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La partita è finita

Daniil Medvedev ha battuto Novak Djokovic liberandolo da un incubo e regalandogli quello che ha sempre cercato. Altro che Grande Slam.

Daniil Medvedev ha battuto Novak Djokovic liberandolo da un incubo e regalandogli quello che ha sempre cercato. Altro che Grande Slam.

Solo un popolo di megalomani come quello americano poteva fare un’inversione a U come quella di ieri sera e sostenere a gran voce, quasi unanimemente, l’ex cattivo, il guastafeste per eccellenza, colui che ha battuto i due beniamini a casa loro, e non una volta sola, ma più volte. Ma sappiamo bene quanto gli Stati Uniti amino i lieti fini, o almeno quanto amino far finta che ci sia stato un lieto fine. Invece, il sostegno che il pubblico degli US Open ha riservato a Novak Djokovic nella partita più importante della sua carriera, quel sostegno che ha agognato e rincorso per una vita intera, gli si è ritorto contro.

Djokovic ha giocato così tante partite, quest’anno, al di sotto dei suoi standard da far dubitare su quale fosse il suo reale standard nel 2021. Sostanzialmente ha giocato benissimo solo due match, quello contro Nadal a Parigi e, guarda caso, quello contro Medvedev a Melbourne, quando quasi nessuno lo dava favorito, anche se poi si tende a dimenticarlo. Ma quella di ieri è stata di gran lunga la peggiore di tutte e non può essere un caso. L’importanza della partita era talmente grande che Novak ha giocato l’intero match bloccato muscolarmente. Ha provato a scuotersi in tutte le maniere ma non ce l’ha fatta mai ad attivarsi. La perdita del primo set, i violenti colpi con la mano sulle cosce, la racchetta fracassata. Niente di tutto ciò gli ha permesso di accendere il motore, di entrare finalmente in campo e cercare di fare partita, che sarebbe stata comunque difficile ma almeno non impossibile. Il coacervo di emozioni provocate dal possibile grande traguardo si è aggiunto a delle obiettive difficoltà fisiche, ampliate dalla differenza d’età col rivale e dal cammino molto più accidentato rispetto a quello del numero 2 del mondo.

Come se non bastasse, Novak non ha saputo gestire una novità. Il pubblico, inseguito per tutta una carriera, adesso lo incitava, esultava per gli errori dell’avversario, disturbava Medvedev quando stava per servire. La pressione, la stanchezza, Medvedev, il pubblico sconosciuto improvvisamente amico dopo anni di antipatia che sconfinava nell’odio chissà se solo sportivo: questo ha prodotto il severo 6-4 6-4 6-4 finale.

Forse è ingiusto nei confronti di Medvedev – che se non si fosse distratto contro il qualificato Botic van de Zandschulp, avrebbe vinto il suo primo Slam senza nemmeno perdere un set –  ma tutto, in finale, ruotava intorno a Djokovic. Però Medvedev ha dimostrato ancora una volta di avere i nervi saldissimi e l’impressione è che, se anche Djokovic fosse riuscito a tenere a bada i vortici emotivi che lo stavano sconquassando, il numero 2 del mondo, ancora per poco, avrebbe trovato il modo di venirne a capo. 

Sicuramente ne era convinto: “Avevo preparato diverse strategie di gioco. Perché ho giocato molte volte contro Djokovic e ogni volta è stato un match diverso. Quindi ero pronto a variare la strategia a seconda della necessità”. 

Daniil lo ha dimostrato nel game all’inizio del secondo set, quando ha offerto a Djokovic tre palle break consecutive regalate con uno scriteriato dritto a campo aperto. Djokovic ha compiuto una scelta pessima sulla prima, mettendo proprio sulla racchetta del russo un recupero su una improvvida smorzata, sulle altre Medvedev è stato devastante. E poi, ancora, il modo in cui Daniil ha giocato i primi due punti dell’ultimo game, la cocciutaggine con cui ha continuato a martellare con la seconda di servizio, pagando con 9 doppi falli ma anche con un 58% di punti vinti con la seconda: non male, se stai affrontando il GOAT in risposta.

La partita non è mai stata una reale contesa. Non ci sono stati mai momenti di reale equilibrio in campo, anche quando per alcuni tratti il punteggio recitava parità. A Medvedev è bastato giocare il classico match da contrattaccante dotato di un gran servizio. E cioè tenere agevolmente i suoi turni di battuta, colpendo in accelerazione solo se la palla tornava indietro dopo aver servito, e aspettare gli errori dell’avversario nel lento palleggio in risposta, che effettuava sempre lontanissimo dal campo. Per indole di gioco, era Djokovic quello che doveva costruire ogni singolo punto, ma pure quando provava ad alzare il ritmo, il serbo trovava dall’altra parte il muro ammirato per tutte le due settimane degli US Open: Daniil dava l’idea di poter scambiare all’infinito, senza mai sbagliare. 

Qualche nube è passata anche per il capo di Medvedev, com’era naturale che fosse, solo che non c’era in campo chi potesse approfittarne. Il russo ha giocato delle palle corte tremende. Non che sia il suo fondamentale, ma se c’è una qualità che Medvedev ha dimostrato varie volte nel corso della sua carriera è che sa prendere la decisione giusta al momento giusto. Contro Djokovic, quando ha giocato le palle corte, ha quasi sempre vinto il punto, ma non certo perché le ha ben eseguite. Alcuni recuperi del serbo su questi accenni di smorzata erano talmente catastrofici da sconfinare nella surrealità. Per la prima volta, e non solo quest’anno, Djokovic era in campo smarrito, inerme, senza sapere cosa fare, né dal punto di vista del gioco né dal punto di vista emotivo. Tirare un’altra palla contro i teloni di fondo campo? Sfasciare altre racchette? Tenersi tutto dentro come nella finale di Wimbledon 2019? 

La ventottesima partita in uno Slam, quella che avrebbe dovuto consegnarlo definitivamente alla storia, si è tramutata quindi in una lenta agonia per Djokovic, che a dire il vero, dopo aver perso il primo set in meno di quaranta minuti, ha provato a cambiare le carte in tavola, come aveva fatto, con successo, nei quattro turni precedenti, quando aveva rimontato un set di svantaggio alzando pian piano il livello raggiungendo quella comfort zone in cui diventa intoccabile. Ha avuto coraggio, ha provato ad andare a rete prendendo rischi che robonole non avrebbe mai preso. Le ha provate tutte, ma questa volta il giochetto non ha funzionato e qualche merito ce l’ha l’avversario, il villain per eccellenza, odiatissimo dal pubblico americano nel 2019, poi adottato in fretta e furia quest’anno e infine di nuovo rinnegato per la finale di tutte le finali. 

I fischi prima del servizio, durante il servizio, le esultanze sui doppi falli, il costante brusio di sottofondo: il primo Slam di Medvedev ha qualche somiglianza con quello di Naomi Osaka. In quel caso fu la presenza di Serena a creare i presupposti di una situazione difficile da reggere emotivamente. Djokovic, invece, è rimasto quasi sempre sullo sfondo, non ha cercato conflitti con l’arbitro e quando ha capito che non c’era una sola cosa che potesse fare in campo per sovvertire l’esito della partita si è lasciato pian piano avvolgere dal torpore. Lo sguardo era perso nel vuoto, forse una voce dentro la sua testa chiedeva: Che cosa ci faccio qui?

Nel gennaio 2021, Medvedev aveva perso la finale degli Australian Open contro Djokovic per 7-5 6-2 6-2. Per molti, era favorito.

Solo alla fine della partita, quando era tutto irrimediabilmente perduto, Novak Djokovic è tornato in sé. Infatti, quando in conferenza stampa gli hanno chiesto cosa ha provato alla fine del match, lui ha risposto così: “Sollievo, finalmente era finita”.

Djokovic ha giocato l’ultimo game del match con le lacrime che un cambio campo non era riuscito ad asciugare totalmente. Medvedev gli ha regalato altri due game, con due doppi falli sui primi due match point accolti con gioia dal pubblico, che sicuramente sperava ma realisticamente non credeva fosse possibile il colpo di teatro. Novak aveva passato un minuto buono con il capo avvolto nell’asciugamano, singhiozzando, stava già elaborando che aveva fallito la partita delle partite. Oppure, se dobbiamo credere alle sue parole, l’amore incondizionato di New York, che mai prima d’ora aveva parteggiato così smaccatamente per lui, lo ha emozionato a tal punto da fargli dimenticare che l’opportunità del Grande Slam era ormai sfumata.

Possiamo solo fare supposizioni sul romanzo sentimentale di ieri sera e chissà, magari credere alle sue parole, forse ieri era davvero l’uomo più felice sulla Terra. Nessuno, quanto Djokovic, ha rincorso i favori del pubblico, facendo di tutto per farsi amare e raggiungendo l’esito opposto. Ci ha provato soprattutto con i risultati, con la forza dei numeri, e quando è riuscito a superare Federer e Nadal in termini di vittorie complessive, record e statistiche varie, la narrazione del più grande di tutti i tempi ha cambiato paradigma, spostandosi sul “Djokovic è il più forte per i numeri ma per il tennis sono stati più importanti Federer e Nadal”. Non è detto che il Grande Slam avrebbe avuto il potere di cambiare questo ma di certo avrebbe reso complicato argomentare che fosse meno forte o importante dei due dioscuri che dall’inizio della sua carriera si sente addosso come ombre cupe. 

Nessuno sa bene perché, alla fine il serbo non è poi così diverso da Federer e Nadal. Ma forse è semplicemente arrivato troppo tardi e si sa che il pubblico di questo sport è assai intransigente, nonché stupidamente avvinghiato alle tradizioni. C’è spazio per soli due tennisti, nel cuore degli appassionati: McEnroe e Lendl, Evert e Navratilova, Graf e Seles, Sampras e Agassi. Ogni tentativo di triangolo è naufragato ed è già tanto se ricorderemo i primi due decenni del terzo millennio come il periodo dei Fab 3, dei record irraggiungibili, delle finali storiche e degli infiniti incroci. 

Il 2021 per il tennis è l’epilogo di due decenni che ricorderemo anche per i tentativi di Novak Djokovic di aver cercato di spodestare nel cuore dei tifosi del tennis Federer e Nadal e di come soltanto perdendo potesse davvero riuscirci. Come Tantalo, figura mitologica condannata nel girone infernale dei golosi per aver rubato agli dei il nettare e l’ambrosia che davano l’immortalità, Djokovic ha trovato sugli spalti degli US Open il demone che lo ha fermato, condannandolo ad avere per sempre una fame e una sete impossibili da placare. 

E contro gli dei, siano essi due tennisti o quelli dell’Olimpo, non si vince mai, si è solo puniti. 

US Open 2021


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