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Ne è mancato solo uno

Per raccontare la stagione di Novak Djokovic si potrebbe partire dalle sconfitte, talmente poche che si può andare a memoria senza controllare il sito dell’ATP: ai quarti con Ivo Karlovic a Doha (unico torneo in cui non ha giocato la finale), con Roger Federer a Dubai, Cincinnati e al Round Robin del Masters, con Andy Murray a Montréal e con Stan Wawrinka al Roland Garros. E considerato il gap che c’è tra i Master 1000 e gli Slam in termini di punti del ranking, prize money e prestigio c’è da scommetterci che quella con Wawrinka rimarrà l’unica vera sconfitta del 2015 di Djokovic che tutti ricorderanno. Non tanto perché ha impedito il Grande Slam come piacerebbe pensare agli appassionati di ucronia, ma quanto perché per un giorno, uno soltanto, abbiamo visto un tennista davvero superiore a Djokovic. E non per un punto, per un game o per un set. No, in un match al meglio dei cinque set. La stagione di Djokovic è riassumibile anche in una sua sconfitta. Perché un suo avversario, per poterlo sconfiggere in una partita che contava, è dovuto scendere in campo e giocare per tre ore un tennis che nessun altro ha saputo giocare durante quell’anno. Nemmeno Novak Djokovic.

Dagli Australian Open alle ATP World Tour Finals Novak è sceso in campo da vero numero 1 – ed infatti questa è la prima stagione in cui ha iniziato e chiuso al primo posto senza mai scendere. Cioè ha sempre giocato per il titolo. E spesso e volentieri il titolo l’ha vinto lui. 82 vittorie e 6 sconfitte sono un bottino raro. Raro ma non inusuale, specie nei tempi recenti. Negli ultimi dodici anni, infatti, è già successo qualcosa di simile a questa sbalorditiva annata. Tre Slam su quattro li hanno vinti Federer (per tre volte: 2004, 2006, 2007), Nadal (2010) e Djokovic (nel 2011 e quest’anno). Se aggiungiamo che il 2005 di Federer, pur con uno Slam in meno ma con un numero simile di vittorie alle altre tre annate, siamo molto più vicini alla regola che all’eccezione. Stiamo vivendo un’epoca di rarissima ed aurea ricchezza tennistica oppure il tennis sta prendendo una direzione diversa da quella che eravamo abituati a conoscere? Entrambe le cose.

Novak Djokovic agli US Open 2015
La mascotte di Novak agli US Open: ha portato bene, ovviamente

Di certo né Federer, né Nadal, né Djokovic sono dei tennisti comuni. Ma questo profilerare di annate a senso unico non è motivato solo dal fatto che mai sono nati e mai rinasceranno tre fenomeni nello stesso spazio temporale. Piuttosto, l’impressione è che oggi gli equilibri siano tanto sottili quanto fragili. Vale a dire che un tennista superiore agli altri è talmente in grado di fare la differenza durante la stagione che anche chi gli è più vicino può solo puntare a vincere qualche set, o qualche match di minore valore. È un vantaggio fisico e tecnico, certo, ma è un vantaggio soprattutto mentale: chi è in testa sa di essere più forte, chi è dietro sa di essere più debole. Succedeva con Federer dieci anni fa, succede oggi con Djokovic oggi. Quell’incorreggibile orgoglioso di Federer, che pure dovrebbe capire come ci si sente in questa situazione di dominio totale, se l’è presa a male quando Djokovic ha detto in conferenza stampa di avergli “regalato la vittoria” nel round robin. Ma più che l’esistenza di una reale possibilità di scalfire lo strapotere di un numero, ciò dimostra piuttosto l’inesauribile orgoglio dello svizzero (appunto). E Federer, in effetti, ha potuto fare ben poco per fermare un uragano che ha vinto praticamente tutto quello che poteva vincere.

Quel praticamente, ça va sans dire, sta per quella sconfitta in finale al Roland Garros che a partire dal terzo set ha mostrato segni di ineluttabilità. È sembrato, per un solo pomeriggio, che quel presupposto di inferiorità si fosse impossessato di Djokovic, lui che quel presupposto l’aveva imposto a tutti coloro che, fino ad allora, avevano osato portarlo al terzo (o al quinto) set. Ipotizzare cosa sarebbe successo se Djokovic avesse vinto quella partita con Wawrinka è un’esercizio tanto affascinante quanto inutile. Non possiamo sapere né prevedere come il serbo avrebbe reagito alla pressione di un obiettivo che, per fare un esempio, ha frantumato la psiche di Serena Williams. Dopo il trionfo alle ATP World Tour Finals, insomma, restano i numeri. E a conti fatti, ci si rende conto che l’incredibile stagione di Djokovic ha avuto più di qualche precedente negli ultimi anni. Federer e Nadal, arrivati qualche anno prima di lui, hanno talmente alzato l’asticella che a Djokovic non è restato che adeguarsi a questo standard per poter essere accostato a quei due. Per colpa loro, a Djokovic non resta che compiere un altro passo. Se ci riuscirà davvero, ne parleremo a lungo ai nostri nipoti. Forse.

ATP Finals 2015 Novak Djokovic


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