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Quando eravamo Re

Nel 2005, dopo aver vinto ventiquattro partite di fila sulla terra battuta, Rafael Nadal si presentò ad Halle, un torneo tedesco che si gioca in un paesino della Vestfalia. Era il primo match sull’erba dopo oltre due anni, visto che l’anno prima Rafa non aveva partecipato né a Wimbledon né ad altri tornei su quella superficie così diversa dai campi su cui avrebbe dominato per un decennio. Ad Halle non andò tanto bene: perse al primo turno in tre set contro il numero 147 del mondo, Alexander Waske, ma non fu una grossa sorpresa. Nadal era sì il numero 3 del mondo ma quel giorno giocava la quarta partita in carriera sull’erba. La condizione psicologica e mentale di quel diciannovenne, inoltre, non poteva certo essere la migliore possibile dopo le tante vittorie consecutive, un ritmo a cui Nadal non era ancora abituato.

Con una coscia malandata, Nadal lasciò il torneo all’esordio ma ne ricavò dei buoni insegnamenti: «Oggi ho imparato come si gioca sull’erba. Questa era la cosa più importante per me». Nonostante gli insegnamenti, a Wimbledon non andò tanto meglio. Nadal perse al secondo turno contro un tennista mancino dal servizio molto insidioso, Gilles Muller, che disse: «Forse Rafa non vincerà mai Wimbledon. Serve bene e combatte in maniera incredibile, ma non fa mai un serve and volley. Penso che sarà dura per lui». Dodici mesi dopo, Muller perdeva al primo turno contro Olivier Rochus mentre Nadal arrivava in finale a Wimbledon e riusciva a portare via un set, l’unico del torneo, al tennista più forte del mondo, Roger Federer.

Dieci anni dopo la sua prima finale, però, le cose sono cambiate parecchio. Ieri Rafa ha annunciato che non parteciperà a Wimbledon per via dell’infortunio al polso che già lo ha costretto ad abbandonare in corsa il suo torneo preferito, il Roland Garros. Non è una decisione sorprendente, del resto, perché la mattina dell’annuncio Nadal aveva postato su Facebook una foto di un campo in cemento. Un segnale piuttosto difficile da fraintendere: per quest’anno niente erba, ci provo con le Olimpiadi. E poi i risultati degli ultimi anni di Rafa indicano che l’erba non è certo la superficie più adatta per tornare a giocare, nonostante lo spagnolo abbia un curriculum sull’erba decisamente migliore di quanto si aspettassero Gilles Muller e tanti altri.

Dal 2006 al 2011 Nadal ha sempre raggiunto la finale del torneo più prestigioso del mondo, saltando solo l’edizione del 2009, quando non partecipò affatto. In sostanza, quello che veniva considerato un terraiolo puro è riuscito nell’arco di un paio d’anni a diventare il secondo tennista più forte del mondo sull’erba. L’evoluzione di Nadal su una superficie così insidiosa è probabilmente uno dei principali obiettivi raggiunti dal maiorchino in una carriera già ricca di successi e di risultati sorprendenti. Ma Nadal è sempre stato un campione ambizioso, se ci passate la tautologia: già nel 2005, dopo aver perso contro Muller in maniera piuttosto netta, disse che vincere Wimbledon sarebbe stato il suo traguardo fino alla fine della sua carriera. Ma non dovrà certo aspettare così tanto per realizzare il suo sogno.

Tuttavia, perfino un tennista convinto dei suoi mezzi come lui difficilmente riusciva ad immaginarsi così competitivo nel corso di così poco tempo. Dopo la finale del 2006, infatti, Nadal raggiunse di nuovo la finale l’anno successivo ancora Roger Federer, stavolta in cinque set e con la concreta possibilità di break all’inizio del quinto parziale; nel 2008, infine, chiuse il cerchio e sconfisse lo svizzero in una delle partite più spettacolari e drammatiche della storia del tennis. Quella partita è stata più volte indicata come una delle migliori di sempre. Forse è vero, ma non per il livello di gioco, quanto per la sua valenza simbolica. Nadal, con quello stile poco britannico, con la canotta e con l’arrampicata al Royal Box, fece esaurire il repertorio metaforico delle redazioni di mezzo mondo. Ma al di là della retorica che se ne fece, è innegabile che quella vittoria scosse il mondo del tennis in un modo che nessun altra partita riuscirà a fare in futuro. La serie di vittorie a Wimbledon proseguì nel 2010 e si interruppe solo in finale nel 2011, quando Djokovic riuscì a vincere il suo primo titolo londinese sconfiggendo Nadal per la prima volta in una finale Slam.

nadal erba
Da quando ha vinto il primo Roland Garros, Nadal ha saltato cinque prove dello Slam. Wimbledon 2016 è il sesto.

Ma dopo quella finale con Djokovic, il bilancio di Nadal a Wimbledon è diventato quello che probabilmente in tanti si aspettavano agli inizi della sua carriera. Tra il 2006 e il 2011 Nadal vinse 32 partite e ne perse 3: due le perse contro Federer, il numero 1 del mondo, e una contro Djokovic, che vincendo in semifinale contro Tsonga si era già assicurato la prima posizione mondiale. Dal 2012 ad oggi, il bilancio è di 5 vittorie e 4 sconfitte, tutte arrivate contro tennisti con un ranking tre cifre: Lukas Rosol nel 2012, Steve Darcis nel 2013, Nick Kyrgios nel 2014 e Dustin Brown nel 2015.

Nadal è stato il primo dai tempi di Borg a centrare l’accoppiata Roland Garros – Wimbledon. L’adattamento di un terraiolo come Nadal in sole due settimane al gioco su erba è stato qualcosa di prodigioso e racconta meglio di tanti record la dimensione di questo campione. Negli anni ‘90, quando esistevano ancora gli specialisti delle superfici, a Wimbledon tornavano protagonisti quei tennisti che durante tutto l’anno facevano fatica. Era l’anno in cui l’erba veniva tagliata ad una altezza di 0.4 millimetri, con le palline che avevano una pressione maggiore rispetto ad oggi e un diametro inferiore. E quindi i “woodies” australiani, Todd Woodbridge e Mark Woodforde, giusto per nominarne due, si esaltavano sull’erba londinese. Era il tennis degli specialisti: giocare da fondo era impossibile, perché il rimbalzo della palla presentava sempre delle insidie. Per ovviare a questo problema, complici le condizioni di gioco velocissime, c’era un solo modo: andare a rete.

Poi le condizioni di gioco cambiarono. L’erba venne tagliata ad una altezza di 8 millimetri, vennero aumentate le dimensioni delle palle e diminuita la loro pressione: in soldoni, il tennis rallentò. Ma rallentò talmente tanto che Rafael Nadal, l’inventore del dritto più carico di top spin di sempre nel tennis, fu capace di arrivare in finale a Wimbledon già nel 2006, quando giocava un tennis certamente più conservativo. Il suo dritto, seppur privato di quell’eccezionale effetto in topspin dopo il rimbalzo, riusciva ad essere efficace nonostante i tempi di preparazione ristretti, perché sull’erba anche Nadal era costretto a giocare nei pressi della linea di fondo e non un paio di metri più indietro. Con gli scambi più rapidi, lo spagnolo riusciva a esaltarsi sul lato del rovescio, un colpo che Nadal esegue con una preparazione minore e con meno spin. Molti avversari, fra cui Federer in finale, preferivano andare a rete seguendo l’approccio sul lato del rovescio di Rafa invece di insistere sul campo scoperto dalla parte del dritto, e spesso venivano passati.

Per esempio.

Il Nadal dell’epoca aveva una rapidità di gambe tale da compensare i movimenti dei suoi fondamentali su terra battuta con dei recuperi prodigiosi e una perfetta ricerca degli appoggi. Su erba la posizione d’impatto è più precaria rispetto ad altre superfici sulle quali invece si può scivolare, tipo la terra e il cemento (come ci hanno insegnato Radwanska e Djokovic). E poi sulle altre superfici si può beneficiare di rimbalzi perfetti, sull’erba no. Il mondo cominciò quindi ad accorgersi anche di altre qualità tecniche di Nadal: il back di rovescio efficace e che non sbagliava mai, le volée più che buone, l’ottima capacità di posizionarsi nei pressi della rete e poi lo smash, il migliore del circuito, grazie ad una perfetta ricerca della posizione e alla rapidità delle gambe. Specialmente il rovescio in back era un colpo che Nadal utilizzava nella prima settimana del torneo, quando l’erba era ancora tale e non la “terba” battezzata da Clerici, e lui doveva riuscire ad adattare il suo gioco, specie la risposta, in tempi brevissimi per via del minor tempo a disposizione per colpire. Sulla seconda palla, contrariamente a quanto faceva fino a due settimane prima sul rosso, era costretto a non indietreggiare troppo, quindi bloccava i movimenti senza dare troppa rotazione, cercando di appesantire la palla nei primi due o tre scambi.

Nadal Brown Wimbledon
Head-to-head tra Nadal e Brown: 2-0 per il tedesco.

Questo suo periodo di “adattamento” era favorito dal fatto che nel frattempo i volleatori si erano praticamente estinti. Lui poteva quindi creare tutte le condizioni di gioco per impostare lo scambio da fondo campo, la sua comfort zone. E quando Nadal ha tempo per “pensare” durante il gioco, gioca tranquillo. Poi, mentre andava avanti nel torneo, il campo si rovinava e quindi lui ritrovava i rimbalzi che tanto gli piacevano. Ma non era solo questo a rendere Nadal competitivo sul verde. Lui ha sempre giocato “da erba”, grazie all’ottima base di appoggio e al trasferimento del peso del corpo in avanti quando colpiva, questo grazie alle sue ottime qualità di coordinazione e forza. Senza dimenticare le doti acrobatiche necessarie a risolvere situazioni anomale sull’erba. Queste qualità a Nadal non sono mai mancate. Ma, soprattutto, Nadal era aiutato dal fatto di avere una grande intelligenza, la qualità che più lo avvicina ad un altro grande terraiolo diventato forte sul verde, Björn Borg.

Qui c’è da inchinarsi. Riguardate il punto concentrandovi sul frenetico movimenti di piedi di Rafa, che gira attorno a un perfetto backspin con taglio ad uscire per trovare la posizione giusta. E poi dare potenza a un vincente con il peso del corpo all’indietro: quanta forza hai nel braccio, Rafa?

Come Borg, che si muoveva benissimo sul campo e costringeva gli avversari a volée difficili, sempre al di sotto della rete, Nadal era “freddo” in campo, giocava i punti importanti in maniera impeccabile, prima di tutto a livello tattico. Altra cosa che Borg e Nadal hanno in comune è la capacità di lettura della situazione: nei momenti importanti, sanno quando vanno prese in mano le sorti del punto, spesso andando a rete sorprendendo l’avversario.

Ma il dispositivo Nadal ha bisogno di un prerequisito, a prescindere dalla superficie, dalle condizioni di gioco e dall’avversario: e quel prerequisito è il suo fisico. Il declino fisico, sempre più evidente negli ultimi tempi ma già visibile sull’erba da qualche anno, gli ha fatto perdere dei decimi di secondo nelle esecuzioni dei colpi. Non potendo giocare in maniera più pulita, ovvero con movimenti meno complessi, arrivano i colpi eseguiti in ritardo perché le gambe non sono più rapide come qualche anno fa a farlo trovare nel punto giusto al momento giusto. E manca poi la fiducia, quella del numero di classifica importante. Nadal a Wimbledon arrivava comunque da numero 1 o numero 2 del mondo, era un dominatore del tennis e questo si sentiva anche in un campo non perfettamente adatto alle sue caratteristiche. Insomma, l’erba, con le sue condizioni uniche, ha fatto intravedere già da qualche anno quello che sarebbe diventato evidente solo l’anno scorso.

In anni passati Nadal avrebbe rischiato anche qualcosa in più dal punto di vista fisico per essere presente nel torneo che più di tanti altri avrebbe voluto vincere, e che poi ha vinto per due volte. Ma adesso, con gli infortuni che diventano sempre più frequenti, Rafa gioca solo se è al meglio e dove può esprimersi al meglio. L’erba, per lui, non è più verde.

Rafael Nadal Wimbledon 2016


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