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Passeggiata di salute

Novak Djokovic e Kei Nishikori sono entrati in campo con la musica dell’Esorcista in sottofondo e, se è pur vero che il DJ l’ha messa per tutta la settimana, è venuto naturale pensare che ci volesse dire qualcosa sull’esito della partita che avremmo visto di lì a poco. Ma comunque, più che i discutibili gusti musicali del DJ – una delle sue canzoni preferite è Blue degli Eiffel 65, meglio non scorrere ulteriormente la sua playlist – erano i precedenti a suggerire che la finale del sesto Masters 1000 sarebbe stato un horror. Djokovic ha giocato benissimo, Nishikori così così e la finale della Rogers Cup è finita con il punteggio più scontato e prevedibile: 6-3 7-5.

Ci si domandava se avremmo assistito ad una partita simile a quella di Roma – un match molto combattuto finito al tie-break del terzo set – o se il canovaccio sarebbe stato il solito, con Djokovic troppo solido e Nishikori incapace di sostenere il ritmo folle del serbo. Non ci hanno messo molto, i due, a dare la risposta: il dritto di Nishikori ha cominciato ad andare fuori giri dopo pochi game e da allora la partita ha seguito il copione che tutti si aspettavano senza i sussulti che Djokovic si è concesso durante la settimana. Contro Muller e Berdych, il serbo aveva subìto il break quando era andato a servire per chiudere il set, stavolta ha chiusto entrambi i game con sconfortante sicurezza. Sconfortante per Nishikori, si capisce: il giapponese era pure riuscito ad annullare un paio di set point nel primo set e a mettere un po’ di pressione sulle spalle dell’avversario, ma sul terzo ha fatto vedere tutto il meglio e il peggio del suo tennis. Prima ha preso in mano il punto con un paio di buone accelerazioni – una di solito non basta – poi è andato a rete, ha combinato il solito pasticcio e si è fatto scavalcare dal lob di Djokovic, è riuscito a tornare a fondo campo per poi chiudere il punto, e il parziale, con una stecca di dritto.

Djokovic comunque ha giocato ad altissimo livello e quindi Nishikori può consolarsi, se possibile, perché avrebbe comunque potuto fare ben poco. Il serbo ha messo in campo tantissime prime, ha retto perfettamente da fondo campo (ci mancherebbe) ma è anche riuscito a sorprendere Nishikori con qualche variazione di ritmo. Normale che il giapponese cominciasse a sbagliare tanto ed altrettanto normale che Djokovic prendesse sempre più fiducia. Durante la settimana, come spesso gli accade, il numero uno del mondo non ha giocato sempre da numero uno. Ha lottato con Muller, ha rischiato di perdere un set con Berdych ma alla fine è arrivato in finale con uno score perfetto: otto set vinti su otto. Il nono e il decimo set vinti a Toronto, che gli danno il trentesimo Masters 1000 della carriera, il quarto dell’anno, sono stati forse quelli che ha vinto giocando meglio, anche se ha sciupato il vantaggio di 3-1 che aveva nel secondo set e ha dovuto servire per rimanere nel set sul 5-4.

Nishikori lascia Toronto con 600 punti che gli permettono di superare Rafael Nadal al quarto posto della Race. Nei Masters 1000 quest’anno ha dimostrato una costanza inedita, tanto che per punti vinti in questa categoria è addirittura in seconda posizione, pur non avendo vinto nemmeno un titolo. Ma per poter vincere qualcosa di importante, magari le Olimpiadi o gli US Open, serve davvero un miracolo. Il dritto è un colpo troppo importante e quello di Nishikori è senz’ombra di dubbio il più incerto tra i top-10: impossibile pensare di far partita con Djokovic senza un colpo e il match point, una risposta di dritto mandata alle stille, è tanto simbolico quanto crudele nel sottolineare il grosso enigma che Nishikori non riesce proprio a risolvere.

Il quinto incontro nel 2016 è finito quindi con un’altra sconfitta e il precedente di Roma – quando Nishikori riuscì a far leva sul nervosismo di Djokovic per portarlo al terzo set, che perse naturalmente di un soffio – si è dimostrato poco più di un’eccezione nella loro rivalità. Anche se, a ben vedere, è quella di New York  l’eccezione più clamorosa. Con il senno di poi, la vittoria del giapponese nella semifinale degli US Open fu ancora più clamorosa di quella di Marin Cilic. Il giorno dopo quelle due partite tutti credevano che fosse stato Roger Federer ad aver sciupato una grossa occasione, ma oggi è la sconfitta di Djokovic a sembrarci più difficile da spiegare. Come giustificheremo l’esito di quella partita, a chi non vide la semifinale degli US Open 2014?

ATP Toronto 2016 Kei Nishikori Novak Djokovic


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