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... e tutti risero

Credete che non vi veda, voialtri là in fondo che sghignazzate? Pensate che quella volée agricola, quel dritto buttato via, quei servizi fuori di metri siano la mia bandiera bianca, vero? Ho una brutta notizia per voi: non ho alcuna intenzione di lasciare il mio trono, perché me lo sono sudato mentre voi mi deridevate e quando finalmente avete smesso di ridere, mi sono messo a ridere io. E ora non voglio più smettere. Sam è un bravo ragazzo, gliel’ho detto pure alla fine della partita, quando ci siamo abbracciati. Non gli ho detto che l’ho lasciato vincere, gli ho fatto credere che stavolta era stato più forte lui. Io mi chiamo Novak Djokovic, mica Roger Federer, eh.

Per me la sconfitta non è un incidente. Per me la sconfitta è necessaria, è ossigeno che gratifica il muscolo gonfio di acido lattico. Mi piace perdere perché adoro vincere. E per vincere, ho bisogno di perdere. Che ne sapete voi? Voi vedete Federer, che vinceva sempre e poi vinceva di nuovo e poi finiva per perdere finalmente una partita e quasi impazziva. E voi con lui. Poi però voi avevate bisogno di razionalizzare, di trovare un senso a quelle poche sconfitte. Dicevate: beh, quella sconfitta gli ha fatto bene, vedrai che torna più forte di prima. No, mi spiace ma non è così. Non per lui, almeno. Federer non aveva bisogno di migliorare, ma solo di vincere. Lui ama la vittoria perché non conosce nient’altro che la vittoria. Si bea solo di quei momenti, tutto il resto per lui è sospensione dell’anima. Non capisco perché ridete.

Credete che Nadal sia diverso da Federer? Dovrei dirvi che avete torto, che pure se stanno agli opposti sono praticamente la stessa cosa, ma è vero, ve lo concedo, in fin dei conti loro due sono davvero diversi. Nadal conosce la sconfitta, ma la teme, la fugge. Sa che allo Yin corrisponde sempre lo Yang perché è stato mandato dalla divinità del tennis per farlo capire a Federer. Federer non l’ha mai capito, Nadal sì, ma questo non significa che a Nadal piaccia la sconfitta. L’avete visto, quella volta là a Parigi? Che cosa credete sia successo nella sua testa? Secondo voi, lui conosce il significato di sconfitta salutare? No, non lo conosce, ve lo dico io. Pensava di potermi battere all’infinito, povero ingenuo. Poi è successo che a Indian Wells ho vinto io; a Miami ho vinto io; a Madrid ho vinto io; a Roma ho vinto io; a Londra ho vinto io; a New York ho vinto io; a Melbourne ho vinto io. E da allora le cose non sono più state le stesse.

Sono entrato nel suo software con la facilità di un malware qualsiasi e gli ho scompaginato tutto il disco fisso. Non è stato facile, lo ammetto. Ho dovuto lavorare sodo per cancellare dalla sua memoria tutto quello che era successo. Ma ad un certo punto non esistevano più tutte quelle vittorie di fila, tutte quelle battaglie dolorosissime che ho dovuto perdere, una dopo l’altra, per poter diventare quello che sono diventato oggi. Lui non lo sapeva, ma mentre continuava a sconfiggermi – a Madrid, come dimenticarlo, e poi a Parigi, ormai ho perso il conto, e come non ricordare New York, dannata New York? – stava somministrando del veleno a sé stesso perché ad ogni sconfitta io diventavo sempre più forte e lui sempre più debole. Ce l’avete presente Hulk, no? No, non il calciatore. Smettete di fare gli spiritosi, perché non c’è proprio nulla da ridere.

Al diavolo: ridete pure, se ne avete voglia. Io non vi fermerò, perché dopo tutto non sono certo io a dovervi dire cosa dovete o non dovete fare. Permettetemi di mettervi in guardia, però: l’ultima volta che avete riso così forte, credo fosse circa un anno fa, vi ho dato una lezione che forse non dimenticherete mai. Io di certo non me la dimenticherò, come neppure dimenticherò quello che è successo sabato. E non pensate che non mi dispiaccia, beninteso. A chi piace perdere? A nessuno, ovviamente, ma vorrei che seguiste il mio ragionamento e la smetteste di ridere: la sconfitta è la base di ogni vittoria. Se ami la sconfitta, la vittoria ti amerà.

Io non sono né Federer né Nadal, lasciateli perdere. Per me e voi è tutta un’altra storia. Io l’ho capito prima di tutti voi ed è giusto che me ne prenda i meriti. Voi state pure dietro ai numeri, come vi pare. Le strisce di vittorie consecutive, i record di imbattibilità, le statistiche che ripetete a pappagallo come fossero la bibbia. Se guardaste più nel profondo, capireste che io e voi, alla fine, stiamo facendo la stessa cosa. Siamo lì, seduti sulla sponda del fiume, in attesa che arrivi la sconfitta. Per poter ricominciare. Voi con la calcolatrice, io con i trofei.

E ancora ridete?

Novak Djokovic Wimbledon 2016


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