menu Menu

Fine della corsa

Ciao David

ho letto un po’ in giro dei commenti ai tuoi ultimi risultati, abbastanza deludenti come hai dichiarato a tv e giornali. È un momento brutto, posso immaginarlo, ti senti confuso e smarrito perché è una situazione nuova per te. Allora ho pensato di scriverti, almeno per distrarti un po’ dal pensiero fisso dei risultati che non arrivano.

Arriva un momento nella vita in cui fisico e testa iniziano a non andare più d’accordo. Per anni, a ogni ordine che il cervello ha impartito con la pretesa di avere risposta immediata sul campo, gambe e braccia hanno risposto puntualmente. Poi, in un momento che in genere arriva giusto sùbito dopo i trent’anni, le risposte cominciano a ritardare. La testa impartisce i soliti ordini, gli stessi: corri di qua, scivola di là, colpisci più forte che puoi. Gambe e braccia continuano a rispondere, certo, solo che lo fanno in ritardo. Te lo dico perché è capitato anche a me, anche se non ai tuoi livelli, certo, e ci ho messo un po’ a rendermene conto.

Penso di poterti capire. Negli ultimi mesi hai cominciato a pensare, una cosa che non hai fatto mai nel corso degli anni, perché eri troppo impegnato a correre sul campo. Dovunque c’era una pallina da inseguire, tu correvi, terra o cemento che fosse. Correvi, e colpivi palline sempre alla solita maniera. Non sapevi fare molto altro, ma quello che facevi lo facevi molto bene, tanto che sei arrivato a un passo da un successo che avresti meritato, a Parigi, ma quell’altro, quello che ha la tua stessa nazionalità e che ha cominciato a pensare troppo anche lui, non ha avuto pietà quel giorno.

Pensi, rifletti, ti interroghi, parli con amici e tecnici, ma non riesci a capire cosa sta succedendo. «Non so qual è il problema», hai confidato ad un giornale spagnolo dopo la tua ennesima sconfitta negli Slam, e pazienza se è a Wimbledon, dove oramai anche i terraioli come te giocano bene e arrivano alla seconda settimana. Dici che ti senti scarico mentalmente, che non riesci a capire dove sia il problema, «perché ho ancora le motivazioni altrimenti non sarei qui a giocare». Così hai detto.

Eppure non avevi iniziato male l’ennesimo anno, il diciassettesimo fra i professionisti. In Australia hai perso ai quarti di finale contro Andy Murray. Sul cemento hai perso facile quasi sempre, ma poi sei stato scarso anche nella stagione sul rosso, arrivando a perdere contro Berdych a Parigi, dove per un giorno hai sognato di vincere. Berdych, capisci?

La verità, caro David, è che il tempo di riposarsi è arrivato. Non sei il tipo che può trasformarsi in quello che non sei mai stato, non sei il terzino che può andare a giocare al centro della difesa perché lì si corre meno. Non puoi colpire in maniera diversa la pallina, non lo sai fare. Non puoi fare troppi punti con il servizio o cercare soluzioni precluse ai più, smorzate e volée che non ti abbiamo mai visto fare in quasi vent’anni di corsa nel circuito.

Capiamoci: a noi andava bene così. C’è sempre un corridore puro fra i migliori del tennis, c’era Muster  negli anni ‘90 e ci sei stato tu, poi. Certo, anche Nadal corre, ma lui sa giocare a tennis: ha vinto tutti gli Slam, due volte Wimbledon, che è il torneo più difficile di tutti, quello dove non hai mai giocato una semifinale. Tu eri il migliore dei corridori, un podista rispettato da tutti tanto che ti hanno sempre riempito di complimenti, specialmente dopo che ti avevano battuto. Ne hai perse tante contro i migliori, quasi tutte. Arrivavi spesso in fondo agli Slam, ma poi c’erano sempre quelli lì a batterti: se non era Federer era Djokovic, se non era Murray era Nadal. Giusto così, erano migliori, e il tennis non prevede premi per chi si impegna regolarmente. Il premio era già essere lì, con quelli più forti, almeno per la gente come te che ci è arrivata solo con il duro lavoro sul campo.

E adesso ti senti spaesato. Perché non sai cosa fare, o meglio, sai cosa potrebbe essere ma tu non ci vuoi credere. Tu, quella parola là, non vuoi sentirla. Nessuno del tuo entourage, che pure hai cambiato perché pensavi che potesse essere questo il problema, te la dice. Perché ti rispettano, perché ti vogliono bene e vogliono continuare a girare il circuito con te. D’altronde sei ancora il numero 14 del mondo, no? Ma ti sei accorto che le tue conferenze stampa sono sempre più deserte? Hai notato che non ci sono tue foto sul sito di Wimbledon nelle gallerie di quest’anno?

A noi tifosi, noi che ti abbiamo sostenuto tanto nel corso degli anni anche quando sapevamo che avresti perso, dispiace vederti così. Non vogliamo vedere le sconfitte contro gli anonimi del tennis che arrivano sempre più numerose, per non parlare della classifica. E poi, David, tu non sei il tipo che scende in campo per divertirsi. Non vorrai dirmi mica che quest’anno ti sei divertito quando hai perso tutte e due le volte che hai giocato contro Pouille? Un francese, sì, hai perso contro un francese.

Allora, David, forse è il caso di smettere di correre. Hai 34 anni, e noi non vogliamo vederti giocare come non riesci a fare più, con il fisico che non esegue più gli ordini con la puntualità di un tempo. So che la tua volontà è quella di sempre, anzi: pensi che ora occorra allenarsi ancora di più. È proprio quella volontà che ora ti dice di continuare a giocare, perché sei sicuro che ti riprenderai. So che ne sei certo, che la stagione cambierà prima o poi e le vittorie di fila torneranno, magari sul cemento americano. Ma non sarà così David, credimi. Tu fidati di noi, dacci retta. Non ti ricorderemo come Berdych, promesso.

david ferrer Wimbledon 2016


Previous Next

keyboard_arrow_up