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Replicanti che non lo erano

Non c’era nome migliore di Grigor Dimitrov fra i salvatori possibili delle ATP Finals nel momento in cui Roger Federer ha perso contro David Goffin in semifinale, qualche giorno dopo che Rafael Nadal aveva abbandonato il torneo per l’infortunio al ginocchio. Dopo un anno iniziato con uno Slam fantastico, l’Australian Open incerto fino all’ultimo punto, e proseguito con gli altri tre slam dall’esito scontato fin prima del sorteggio, con i Masters 1000 vinti dai soliti noti fino a quando hanno avuto voglia e poi divisi tra il futuro che verrà (Zverev) e quello che sembrava già passato (Dimitrov) ma solo grazie ad assenze e infortuni di moda, c’era ancora qualcuno che alle ATP finals avrebbe voluto una nuova riproposizione del falso d’autore, il Federer contro Nadal che avrebbe accontentato più le televisioni che i veri tifosi di questo sport. Ma che Nadal stesse male lo sapevano tutti, organizzatori in primis, e la sua presenza in campo è stata più il rispetto di una promessa fatta che una reale candidatura al titolo. E Rafa, con rara sincerità, in conferenza stampa subito dopo il ritiro, ha ammesso di non voler ostacolare le vendite dei biglietti fino a quando sarebbe stato impossibile fare altrimenti.

Qualificatosi in semifinale dopo aver battuto senza problemi Goffin (due soli i game concessi al belga), il solito inconcludente Dominic Thiem e Pablo Carreño-Busta che ha sostituito Rafael Nadal, Grigor Dimitrov si è presentato all’appuntamento della vita dopo aver battuto in semifinale il giocatore più in forma del finale di stagione, l’americano Jack Sock, l’altro vincitore di “1000” di stagione, per quanto possa sembrarvi strano, e che l’aveva battuto tre volte nei quattro precedenti, annullando match point in due di queste occasioni. Il bulgaro ha perso per 6-4 il primo set (che pure conduceva per 3-0) ma poi ha vinto per 6-0 il secondo e per 6-3 il terzo, disinnescando l’arma migliore dell’americano, il dritto carico di topspin; utilizzando il back di rovescio in lungolinea, Dimitrov ha costretto Sock – che ha mostrato una mano tutt’altro che rozza, capace di giocare diversi dritti anche con impugnatura classica e di non trovarsi spaesato a rete – a giocare il dritto in corsa, vista la tendenza a lasciare scoperta quella parte di campo, e quindi con minor efficacia.

Goffin, intanto, era riuscito nell’impresa: battere il predestinato alla vittoria, quel Roger Federer che pensava di essere già in finale dopo aver vinto facilmente il primo set. Ma il moto di ribellione del belga, capace di alzare il suo livello di gioco per lasciare increduli un po’ tutti, Federer prima di chiunque altro, ha precisato che le sorprese tennistiche del 2017 non erano ancora finite.

Come era invece prevedibile, la finale non è stata a senso unico come il match del round robin. E se questo, e cioè il fatto che un giocatore sconfitto nel girone si ritrovi a fare la finale dello stesso torneo, fa storcere il naso a molti, ancor più inaccettabile è il fatto che Goffin che pure ha battuto i numeri 1 e 2 del mondo, Nadal e Federer, non sia riuscito a vincere il torneo. Dimitrov è riuscito a vincere in rimonta il primo set contro un Goffin in formato Federer, e cioè capace di liberare il braccio e alzare di parecchio il ritmo da fondo campo.

Dimitrov non si è scoraggiato di fronte a un belga ovviamente più nervoso rispetto alla semifinale giocata e vinta contro Federer senza l’assillo del risultato. C’era in palio il titolo della vita, e Goffin, che al massimo ha vinto un 500, ha pagato un piccolo dazio. Grigor ha rimontato uno svantaggio nel primo set mantenendo la calma anche quando era sotto nel punteggio; ha avuto fiducia, ha aspettato la sua occasione e dopo aver pareggiato il punteggio ha chiuso 7-5 vincendo il game sul servizio di Goffin, un gioco bellissimo durato molti punti e quasi 10 minuti, la migliore risposta a quelli del killer point e del baccano sugli spalti.

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Grigor è riuscito a vincere il primo e il terzo set grazie ad un numero minore di errori non forzati, un dato che spesso risulta decisivo quando si gioca prevalentemente da fondo campo. Goffin ha sì tirato quasi il doppio dei vincenti – 37 a 20 – ma ha anche commesso 13 errori in più. Uno scarto minimo, indice di una partita equilibrata, che Dimitrov ha vinto anche perché più fresco atleticamente del suo avversario nelle fasi finali di gara. Ed è per questo che si leggeranno articoli incensatori dei centimetri e muscoli di Grigor, mettendo in secondo piano anche tutte le sue abilità tecniche e la sua eccezionale capacità difensiva.

Quando Dimitrov è andato a salutare tutto il suo angolo, mamma, papà e staff, Daniel Vallverdu era l’ultimo in coda. Grigor gli ha preso la testa con le braccia e l’ha poggiata sulla sua, per dire quanto questa sia stata una vittoria ottenuta con la mente più che con braccio e gambe. Vallverdu è sempre stato ritenuto dagli addetti ai lavori uno scarso, un coach inadatto a valorizzare il potenziale infinito dell’erede di Federer. Vallverdu è venezuelano, ha 31 anni, ed è stato al massimo il numero 727 del ranking mondiale. Se un giocatore che inizierà il 2018 da numero 3 della classifica ha deciso di affidarsi a un allenatore con un curriculum scarso – questo sì – se paragonato alla concorrenza, un motivo valido ci sarà. È noto che uno dei problemi della relazione coach-atleta sia quello della fiducia, e cioè un tennista deve credere ai consigli del proprio allenatore, e spesso il palmares del coach gioca un ruolo determinante nello stabilire questa fiducia. Ad esempio: un consiglio di Lendl avrebbe lo stesso valore di un consiglio di Vallverdu?

Il coach venezuelano ha svolto un lavoro più sulla strategia di gioco e sull’aspetto mentale di Dimitrov, visto che tecnicamente non c’era praticamente nulla da aggiustare. Il ricordo di un Grisha che sfascia tutte le racchette nel torneo di Istanbul al cambio campo, in preda ad un vero e proprio attacco isterico, è lontanissimo. In campo oggi vediamo un giocatore capace di accettare serenamente le decisioni del campo, la bravura dell’avversario, la sorte avversa dettata da un nastro e anche le sue indecisioni e le sue insicurezze, perché queste hanno generato qualche sconfitta evitabile durante la stagione e hanno creato qualche problema anche nella finale contro Goffin.

La stagione di Goffin, comunque, non è finita: la settimana prossima potrà vincere la prima Coppa Davis per il Belgio.

Dimitrov ha imparato ad accettarsi per quel che è. C’è chi ancora lo accosta a Federer, nonostante questi anni abbiano dimostrato quanto diversi siano i due. Non lo chiameranno più Baby Fed, hanno scritto alcuni, evocando l’etichetta che torna di moda sia quando perde, sia quando vince. Almeno fino alla prossima sconfitta, viene da dire, perché lo stesso si scriveva dopo la semifinale di Wimbledon di tre anni fa, o quella degli Australian Open di dieci mesi fa. Entrambi accomunati dall’avere classe ed eleganza nei propri gesti, dalla capacità di generare colpi impossibili da ogni angolazione, Federer e Dimitrov differiscono parecchio nell’approccio di gara, nella tecnica di esecuzione dei colpi, nell’efficacia degli stessi rispetto alla fatica fisica impiegata per le esecuzioni, per non dire dell’aspetto mentale. Paragonare un giocatore che ha vinto 19 slam a uno che è ancora a quota 0 a 26 anni di età non può che ridursi ad un accostamento estetico o poco più.

Dimitrov ha passato gli ultimi due anni a cercare di tornare ai piani alti della classifica, raggiungendo posizioni vicino alla top 20 per poi scivolare fuori dai primi trenta, diventare numero 44 e non riuscire a vincere partite consecutivamente. «Due anni fa ero (numero ndR) 43, 44 della classifica: non riuscivo a mettere tre palle in campo. Ma con la giusta forza mentale e le persone giuste vicino le cose sono migliorate naturalmente. Quel periodo mi ha aiutato molto. Solo passando un momento del genere si capiscono certe cose. Ho capito come e con chi dovevo lavorare e, piano piano, eccomi qui», ha detto ieri dopo la vittoria.

Lo dice lui stesso: ha capito con chi deve lavorare e su cosa. Questo più di ogni altro miglioramento tecnico, che pure c’è stato e c’è su piccole cose ma che vale per tutti i giocatori, è il motivo per il quale il tennis ritrova al numero tre del mondo un ventiseienne che prima di quest’anno era famoso per aver deluso le aspettative dei suoi tifosi. I risultati si sono visti quest’anno, anche per assenze altrui, ovviamente. Il 2017 di Dimitrov si chiuderà al terzo posto del ranking, dopo un’annata altalenante: ha iniziato con 14 vittorie su 15, poi fino a Wimbledon non è mai riuscito a vincere tre partite di fila; a Cincinnati si è improvvisamente ritrovato, vincendo il suo primo Masters 1000, per poi perdere al secondo turno degli US Open contro Andrey Rublev. Dopo New York, però, ha vinto 14 delle ultime 18 partite e ha così superato Alexander Zverev per il primo posto dietro ai due dominatori. 5000 punti e rotti, un punteggio piuttosto basso che in altri tempi non gli sarebbero bastati per finire tra i primi 5.

Grigor Dimitrov è il sesto tennista a vincere il Masters alla prima partecipazione dopo Alex Corretja (1988) e John McEnroe (1978).

Abbiamo vissuto il finale del 2016 a chiederci come sarebbe stato il 2017, visto che un anno fa di questi tempi alle ATP Finals erano assenti Federer e Nadal, i due che si sono poi presi la scena quest’anno mentre i vari Wawrinka, Djokovic, Murray, Nishikori e Raonic scomparivano mestamente dal campo. Abbiamo avuto più tempo per ammirare e giudicare i nuovi giocatori, i Kyrgios che arrivano alle finali dei Masters 1000, Goffin che torna a vincere tornei dopo qualche anno, Zverev che è già a quota due 1000 in carriera e Dimitrov che vince il titolo più importante della sua vita e che sarà l’osservato speciale del 2018.

«L’anno prossimo sarà molto interessante, specialmente l’inizio. Torneranno molti nomi importanti ovviamente. Mi concentrerò solo su me stesso, su come posso migliorare, così da poterli battere. Se sono uno dei top? Adesso ci sono, ho vinto, quindi sì, sono contento, ma tutto qui. La cosa importante è stare con i piedi per terra. Quello che ho fatto oggi è un trampolino, un punto di partenza».

Per valutare le stagioni di Grigor Dimitrov abbiamo dovuto fare sempre i calcoli e i paragoni, perché è sempre mancato il clamoroso successo, quello della consacrazione. In un anno nel quale ha vinto il Masters 1000 di Cincinnati e le ATP Finals, raggiungendo la posizione numero 3 della classifica, possiamo ragionevolmente considerare il tennista bulgaro allo zenith della sua carriera, nel pieno della maturità e pronto a cogliere quella vittoria che ci farebbe finalmente dire “finalmente”. Le ATP Finals non valgono quanto uno Slam: le vinse anche Davydenko, che non ha mai vinto uno Slam e viene ricordato come un giocatore fortissimo, non come un campione. A questo Dimitrov, al Dimitrov finale, manca ancora un ultimo passo per la consacrazione.

ATP Finals 2017


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