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L'ordine delle cose

Quando Serena Williams rimase fuori dal circuito WTA tra il 2010 e il 2011, varie tenniste che si erano dovute accontentare di stare sotto l’ombra della statunitense si spartirono titoli e allori. Tra US Open e Australian Open, Kim Clijsters, rientrata da poco nel circuito, realizzò una doppietta che non le era mai riuscita nel corso della carriera, e dopo Melbourne la belga si riprese anche il numero 1 del mondo; a Parigi vinse Li Na, già finalista agli Australian Open; a Wimbledon toccò ad una ragazza ceca di cui non si era sentito parlare granché prima di quel torneo, Petra Kvitova; agli US Open, Serena tornò a giocare in uno Slam dopo quattro assenze consecutive, ma si arrese in finale contro una delle tenniste più fragili dal punto di vista mentale, Samantha Stosur, che giocò probabilmente la migliore partita della sua carriera.

Quattro vincitrici diverse, ma nessuna di loro chiuse l’anno al numero 1. Eccezion fatta per una settimana, nella quale Clijsters la sorpassò, il 2011 vide al numero 1 una tennista che non solo non vinse un titolo ma non giocò nemmeno una finale Slam: Caroline Wozniacki. La danese ci andò vicinissimo, quando nella semifinale degli Australian Open servì per il match sul 5-4 del secondo set e arrivò fino al match point contro Li Na, ma la cinese glielo annullò e Caroline finì per perdere il match e un’occasione ghiotta di vincere il primo Major, non la prima e di certo non l’ultima. «A volte una palla può cambiare tutto quanto. Non ho convertito quel match match point e da quel momento in poi, lei ha giocato meglio di me. Ovviamente avrei voluto vincere la partita. Ora devo solo pensare ad allenarmi e a lavorare sodo. Spero di avere altre chance in futuro», disse a fine partita.

Non ne avrà molte, di chance, anche perché dal 2012 in poi la WTA vivrà un periodo di estremo equilibrio: l’affermazione di Viktoria Azarenka, l’imprevedibile colpo di fulmine tra Maria Sharapova e la terra battuta e il ritorno in grande stile di Serena Williams daranno vita a un paio d’anni dominati o quasi da queste tre tenniste. Il 2013 è l’anno in cui si sfidano la numero 1 e la numero 2 del tabellone in due Slam su 4 (Roland Garros 2013, Serena Williams-Maria Sharapova e US Open 2013, Serena Williams-Azarenka, entrambe vinte dalla statunitense), ma non c’è nulla di più precario dell’equilibrio, e così la WTA torna a essere un circuito molto incerto. Il confronto con l’ATP, in cui sono sostanzialmente 4 tennisti a spartirsi tutti i titoli principali, spinge molti acrobati della logica a cercare un legame tra una supposta instabilità della psicologia femminile e la mancanza di ordine che ha portato a 9 campionesse Slam negli ultimi 16 Slam.

Chissà che cosa diranno ora prima della finale degli Australian Open 2018, in cui si affronteranno la numero 1 e la numero 2 del mondo. In palio, per Caroline Wozniacki e Simona Halep, non c’è solo il primo titolo Slam di una carriera che sembrava avviata a chiudersi senza il titolo più prestigioso, ma anche il numero 1 del mondo, con buona pace di chi ha criticato per anni la WTA perché si poteva arrivare al numero 1 senza avere mai vinto uno Slam. Non che non sia sorprendente, questa finale, e comunque vada chi alzerà il trofeo lo farà dopo aver annullato dei match point: a Wozniacki è toccato per prima, al secondo turno contro Jana Fett, quando si è trovata addirittura sotto 5-1 40-15 nel terzo set; ad Halep è successo per ben due volte: al terzo turno contro Lauren Davis e in semifinale contro Angelique Kerber, in una partita che le è sfuggita di mano più e più volte.

Wozniacki ha superato Elise Mertens in semifinale, rischiando qualcosa solo nel secondo set.

Per entrambe è la terza finale Slam, la prima in Australia. Halep, in particolar modo, non si è mai trovata bene sul Plexicushion di Melbourne, visto che non aveva mai passato i quarti di finale e in sette partecipazioni contava ben quattro sconfitte al primo turno. Il suo percorso di quest’anno è stato comunque molto complicato fin dal primo turno, quando si è trovata sotto di un break contro la giovanissime Destanee Aiava. Nel secondo set, dopo aver vinto il primo al tie-break, Halep è caduta appoggiando malamente il piede sinistro, e in molti temevano che il suo torneo sarebbe finito lì. Invece, a dir suo, la preoccupazione per l’infortunio alla caviglia l’ha talmente distratta da tutto il resto, che il suo gioco ne ha risentito positivamente. Nonostante una vittoria risicatissima al terzo turno (15-13 al terzo set contro Lauren Davis), Halep è riuscita a non farsi schiacciare dalla pressione del numero 1 e dagli ottavi in poi ha giocato sempre meglio: 6-3 6-2 a Naomi Osaka, che in molti indicavano come la sorpresa del torneo, stesso risultato contro Karolina Pliskova e oggi un’altra mezza maratona: 6-3 4-6 9-7 contro Angelique Kerber, uscita dalla top 20 dopo un orribile 2017 ma che era ormai diventata per tutti la favorita del torneo, specie in virtù delle 10 vittorie di fila ottenute quest’anno.

In semifinale, ad Halep non è bastata una partenza impressionante, favorita da una Kerber disastrosa, per chiudere rapidamente il match. Persi 20 dei primi 25 punti, la Kerber è finalmente entrata in partita trovando una Simona forse distratta dalla facilità con cui era salita fino al 5-0. Errore grosso contro un’avversaria di quel tipo e che poteva costare molto di più. Per fortuna di Simona la tedesca si è limitata a recuperare due break su tre, ma quando è andata a servire sul 5-3 ha perso il servizio di nuovo. Il 3-1 del secondo set a favore della romena, con la tedesca però ben dentro il match, non ha retto a lungo ed è stata quindi Kerber a trovare l’accelerata giusta sul 4-4. A quel punto è cominciata non una sola battaglia di nervi appassionante, almeno per i cultori del genere. Perché Halep e Kerber si sono messe a giocare un tennis di estrema qualità: Halep ha trovato delle soluzioni lungolinea con il dritto che hanno spesso costretto Kerber a dei recuperi impossibili, la tedesca, a sua volta, è stata bravissima dal punto di vista tattico, riuscendo spesso a sorprendere la sua avversaria con i colpi di inizio gioco, disinnescando così il tennis della sua avversaria, basato su una costruzione ragionata e geometrica del punto.

Sul 6-5 e servizio, però, Kerber ha probabilmente pagato il peso psicologico delle numerose sconfitte dello scorso anno. Disabituata alla vittoria, non è riuscita a convertire i match point avuti a disposizione in un momento psicologicamente molto favorevole, visto che Halep aveva servito per il match sul 5-3 e aveva avuto due match point consecutivi sul 5-4. A onor del vero, sul 6-5 40-15, Halep ha lasciato andare il braccio e giocato due punti perfetti, facendo correre il suo fluidissimo rovescio (che in media andava sui 118 km/h) e prendendo velocemente l’iniziativa del punto con la sua arma preferita, il lungolinea. Dal match point in poi, Halep ha dimostrato un sangue freddo che negli Slam raramente aveva esibito, prendendo la rete alla prima possibilità e tirando un paio di ace nei momenti più delicati della partita.

Il diavolo è nei dettagli, ricordano nelle serie tv, e questa volta la più diabolica delle due è stata Halep, sotto 5-3 negli head-to-head e sconfitta nelle occasioni più importanti, i quarti di Wimbledon 2016 e il match di round robin delle WTA Finals, sempre nel 2016. Le quattro sconfitte su cinque incontri nell’anno d’oro di Kerber hanno ovviamente sbilanciato la tenzone, ma è indubbio che una tennista come Kerber dia estremamente fastidio ad Halep, che non ha un colpo definitivo e deve quindi avere la pazienza necessaria per costruirsi lo spazio di un vincente. Ma ci sono poche tenniste più pazienti di Angelique Kerber. E quindi ci sono stati molti punti lunghi, com’era lecito aspettarsi, come quello da 26 colpi nel nono game, finito con un rovescio vincente di Kerber, oppure quello che ha chiuso il dodicesimo game, giocato da Halep quasi tutto sul lungolinea e alla fine vinto dalla romena grazie ad un dritto inside in. 70 metri corsi da Kerber, 68 da Halep: stremata, la numero 1 del mondo ha dovuto prendere fiato per più di qualche secondo prima di andare a servire, eppure è riuscita a trovare le energie per tenere duro e chiudere il match poco dopo, grazie ad un rovescio lungo di Kerber.

Grazie alla semifinale raggiunta a Melbourne, Kerber tornerà tra le prime 10 del mondo.

«Mio fratello mi ha scritto un messaggio subito dopo il match: “5o vincenti, non posso crederci!”», ha detto Halep in conferenza stampa, e in effetti non è che Simona sia una tennista capace di chiudere il punto in pochi colpi. La partita di oggi ha confermato che negli Slam, difficilmente la difesa ad oltranza vince. Halep ne ha tirati 28 nel solo terzo set, esattamente il doppio di Kerber.

La partita contro Caroline Wozniacki, che dopo aver rischiato grosso al secondo turno, ha praticamente dominato ogni set giocato, compresa la semifinale contro la sorpresa Elise Mertnes, è ovviamente una delle più delicate della carriera di Simona Halep. Ma lo stesso vale per la danese, che ha perso da sfavorita le due finali Slam che ha giocato, ma che stavolta ha molte più opportunità di vincere il titolo. I bookmaker stanno dalla parte della numero 1, ma i precedenti dicono 4-2 per Wozniacki, tra cui il 6-0 6-2 di ottobre a Singapore. Dopo aver vinto le Finals, la danese sembra essere diventata una tennista più consapevole, capace di affrancarsi dall’etichetta di eterna perdente che ha approfittato di un momento di stallo. Ma per ristabilire l’ordine delle cose, occorre battere la numero 1 del mondo e spodestarla. O viceversa, occorre battere la numero 2 del mondo per mantenere quel trono a lungo agognato. Niente male, come chiusura del cerchio.

Australian Open 2018 Caroline Wozniacki Simona Halep


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