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Due passanti

Dieci anni fa, per quarantotto secondi, il mondo si fermò per assistere ad una partita di tennis.

Dieci anni fa, per quarantotto secondi, il mondo si fermò per assistere ad una partita di tennis.

Il ragazzo con la canotta attende nervoso che il ragazzo con la polo serva. In tribuna, la ragazza con gli occhiali da sole, la fidanzata del ragazzo con la polo, stringe i pugni e mormora delle parole che nessuno può sentire. Sono parole che conosce solo lei, e forse il suo fidanzato. È stato a tanto così dalla sconfitta, il ragazzo con la polo, la prima volta dopo sei lunghi anni di vittorie, ma è ancora nel torneo e forse, dopo tanto dominio, serve una dose di sofferenza per godere dell’estasi suprema. Il silenzio, sul campo da tennis, è totale, denso come la melassa, sacro come la prassi ordina e luogo comune esige. Solo il rumore della pallina che rimbalza a terra, anzi sull’erba, cioè sulla terra, interrompe la quiete. Sta per iniziare una tempesta di breve durata, qualche decina di secondi al massimo, e anche se ad assistere alla partita c’è solo qualche migliaio di persone, sembra che ogni essere umano si sia fermato per vedere quello che sta succedendo.

Il punteggio è di sette punti a sette, i due ragazzi stanno giocando il tie-break del quarto set. Il ragazzo con la polo è stato ad un solo punto dalla sconfitta, ma se l’è cavata. Ora può servire, cioè è nelle migliori condizioni per vincere il punto, visto che il suo servizio non è il più potente, ma è il migliore che c’è. Primo servizio: in direzione della T, sul dritto dell’avversario, mancino per scelta e non per nascita. È il suo migliore colpo, il dritto, ma non quando ha poco tempo per prepararlo. E questa partita la sta vincendo con il rovescio, non con il dritto. La pallina finisce in rete, si dovrà servire una seconda. Il ragazzo con la polo deve decidere come giocarsi il punto in una condizione sfavorevole. Rischiare con un’altra botta, sempre al centro? Tirare il suo servizio migliore, da destra a uscire, tentando un serve and volley per sorprendere il suo avversario in uno dei momenti più delicati del match? No, il ragazzo più bravo di tutti a giocare a tennis fa quello che probabilmente farebbe anche il meno bravo. Serve al centro del rettangolo, non troppo profondo, ben conscio che il ragazzo con la canotta non si prenderà un rischio inutile, a sua volta conscio che è il ragazzo con la polo a dover vincere il punto, non lui.

La partita è finita alle 21:15.

La risposta di rovescio è una parabola alta, sul rovescio del ragazzo con la polo, cioè il suo colpo più debole. Ma è giovane, giovanissimo, ha solo 27 anni, e i piedi, anche dopo quasi quattro ore di gioco, si muovono alla perfezione su quel rettangolo verde. Il ragazzo con la polo gioca un dritto dei suoi, da sinistra, dando quel tanto di top spin per andare sul sicuro. È un buon colpo, naturalmente, siamo in finale del resto, ma se i piedi del ragazzo con la polo vanno veloci, quelli del ragazzo con la canotta vanno ancora più veloce. Il ragazzo con la canotta però non ha tempo per fare qualche passo in più, e allora gioca un altro rovescio, stavolta incrociato, visto che ha funzionato alla grande fino ad ora. Il colpo è corto, troppo corto, e il ragazzo con la polo, se avesse tempo e baffi, si leccherebbe per l’appunto i baffi, perché il punto sta andando proprio come desidera. Due passi veloci e cadenzati, la racchetta che si abbassa e comincia a descrivere quella parabola fluida e mortale, da destra a sinistra, fino a completare il proprio percorso dietro alla spalla, quando la pallina è già lontana e, di solito, sta per far vincere il punto a chi l’ha mandata oltre la rete.

Sembra che vada così anche questa volta, il ragazzo con la canotta è a tre metri dalla palla quando questa atterra sul campo. Non è un colpo particolarmente profondo, ma dovrebbe bastare perché tutto è successo in un battere d’occhio. Il ragazzo con la canotta, l’abbiamo detto, ha due gambe che funzionano a meraviglia, e in più ha una voglia matta di vincere, che non guasta in casi come questi. Quel modo di impugnare la racchetta, poi, gli permette di colpire il suo famoso dritto anche in condizioni disperate, quella in cui si trova proprio ora. Eseguire due falcate, rabbiose e potenti, per arrivare sulla palla, preparare il colpo cercando un aggancio impossibile, trovare il punto esatto di impatto che serve per allungare di almeno un altro colpo lo scambio, colpire la palla con tutta la potenza che è rimasta sulle braccia, vedere come va. È questione di secondi, noi ci stiamo mettendo tantissimo, forse troppo, per fare un resoconto di quello che sta succedendo su questo campo da tennis, ma in verità è passato appena qualche migliaio di millesimi di secondo da quando il ragazzo con la polo ha servito quella seconda di servizio.

Il piatto della racchetta del ragazzo con la canotta misura cento pollici, che per i non anglosassoni sarebbero seicentoquarantacinque virgola sedici centimetri quadrati, sembrano tanti, visto che una pallina ha una diametro di due pollici e mezzo, ma mica è così facile quello che deve fare il ragazzo con la canotta, bisogna far incontrare la palla con quel punto ideale del piatto della racchetta se si vuole che il colpo vada dove vogliamo noi, invece che, poniamo, in testa a quello spettatore dalla faccia antipatica. Per fortuna il ragazzo con la canotta sa esattamente cosa deve fare per eseguire l’unico colpo che può fargli vincere il punto, ed infatti quando la palla abbandona le corde di co-poliestere ad alta densità con profilo ottagonale e rivestimento incrociato di silicone, cominciando a nuotare nell’aria, volteggiando ad una velocità impressionante, si immette proprio nella corsia giusta, salendo forte e scendendo precipitosamente, sopra alla rete, con un certo margine di sicurezza. Quando arriva nell’altra metà di campo, il ragazzo con la polo, sorpreso ma non troppo, prova ad allungare il braccio destro, nel tentativo disperato di intercettare la traiettoria e trasformarla in un nuovo percorso, magari irraggiungibile per quell’avversario tarantolato.

Ma non va così, la palla lo supera inesorabilmente e termina il suo breve viaggio, durato sei colpi, rimbalzando due volte sul rettangolo di gioco occupato dal ragazzo con la polo. Il ragazzo con la canotta, poco incline a cantar vittoria prima del dovuto, cioè quando ha vinto l’ultimo punto della partita, dimentica per un secondo i suoi riti apotropaici, si piega sulle ginocchia e lascia andare un urlo liberatorio. È avanti per otto punti a sette e questo vuol dire che potrà giocare sul proprio servizio il punto che può decidere il match. Si riprende subito, però, ha la testa sulle spalle, e nella fattispecie è una testa molto sudata, per cui asciuga la fronte con i polsini e mette su una faccia tutta seria, come a dire, ho esultato più del dovuto ma è stata una leggerezza, perdonatemi, ho solo 22 anni e sto per vincere la partita più importante della mia vita. Il ragazzo con la polo, che pure è sudato ma non vuole darlo a vedere, si asciuga la fronte e con sguardo grave fissa il suo avversario, o forse il vuoto. Ha ancora una scintilla negli occhi, lo hanno accusato di non essere un combattente, eppure è ancora qua a giocare, e dopo tutto che ci vuole a vincere tre punti, lui che ne ha vinti a decine di migliaia?

Il pubblico si è concesso un’esclamazione poco educata, eppure coerente con la delicatezza della situazione. Ora, essendo quasi tutti molto istruiti, si sono zittiti di nuovo, per assistere nelle condizioni richiesti dal codice di eleganza a quello che potrebbe essere l’ultimo punto dell’incontro. Tocca al ragazzo con la canotta. Il servizio non è il suo colpo più forte, ma è migliorato molto nel corso degli anni, e probabilmente migliorerà ancora, è così giovane e ambizioso che sarebbe strano il contrario. La sua scelta è ancora la più logica, i più bravi sono tali perché sanno quando è il tempo di rischiare e quando è il tempo di non andare per il sottile. E il ragazzo con la canotta raramente va per il sottile. Serve da sinistra a uscire, cercando la debolezza dell’avversario, il rovescio, sperando in un colpo corto, facile da attaccare, che gli permetta di inchiodare il ragazzo con la polo ai suoi limiti, per poi finirlo con le sue spietatezze. Le cose vanno secondo i piani, il ragazzo con la polo non può sbagliare, e allora inclina il piano ortogonale della sua racchetta per colpire in sicurezza, ciò che conta in questo momento è mandare la palla di là, il rischio lo deve correre lui stavolta, non io.

Noi spettatori non lo sappiamo, e per fortuna non lo sapremo mai, forse non lo sa nemmeno il ragazzo con la polo. Fatto sta che la palla va di là, certo, affilando l’aria girando vorticosamente, lenta e infida come una serpe dai denti affilati, e atterra poco distante dalla rete. Non è una palla corta, figuriamoci, ma poco ci manca, e allora al ragazzo con la canotta tocca fare una cosa che non fa mai volentieri, se non è lui a decidere di farlo. Viene a rete, cercando di raccogliere quella palla lenta, che in virtù della sua lentezza rimbalza meno e quindi si avvicina pericolosamente a quel secondo rimbalzo che chiuderebbe il punto in favore del suo rivale.

La partita è durata quattro ore e quarantotto minuti.

Anche stavolta le gambe non lo tradiscono, la racchetta nemmeno, e il ragazzo con la canotta a questo punto si trova di fronte a un dilemma: in quale corsia infilare la pallina? Se la tirerà forte davanti a sé, cioè in lungolinea, dovrà stare attento a due cose, innanzitutto a non tirare troppo forte, ma nemmeno troppo piano, e poi soprattutto alla rete, che ai lati è leggermente più alta e quindi rende il colpo più difficile. E però il rischio ha i suoi vantaggi, perché se deciderà di colpire in lungolinea il suo avversario dovrà fare più strada per arrivare sulla palla, e magari non ci arriverà proprio, oppure ci arriverà ma la manderà in rete, o magari in corridoio, oppure, ancora, giocherà un colpo facile da intercettare e così basterà un semplice colpo al volo per terminare il punto, il set, la partita e il torneo. Se viceversa deciderà di rimandarla da dove è arrivata, cioè al lato sinistro del suo avversario, farà giocare al suo avversario un colpo più facile da un certo punto di vista, perché non dovrà spostarsi o quasi, più difficile da un altro punto di vista, perché dovrà colpire di rovescio, forte e ben indirizzato. Visto che la rete è più bassa al centro, e c’è anche l’eventualità che il suo avversario decida di spostarsi in anticipo verso destra per tentare il tutto per tutto, il ragazzo con la canotta opta per la seconda opzione, quella meno rischiosa. A dirla tutta, tra l’altro, il modo che ha di colpire la palla con il dritto, oltre al fatto che non ci sia più tanta erba sul campo, è un altro vantaggio a suo favore. La pallina, infatti, non appena colpirà il terreno, prenderà una parabola piuttosto alta, difficile da intercettare per chi gioca il rovescio a una mano, ed è proprio questo il caso del ragazzo con la polo.

Il dritto del ragazzo con la canotta non è però lungo quanto vorrebbe, oppure è esattamente lungo quanto vorrebbe, anche in questo caso non lo sapremo mai. Quello che sappiamo è che la palla effettivamente si inarca e in quel momento al ragazzo con la polo serve davvero qualcosa di speciale. La palla gli sta per arrivare addosso, è corta, sì, ma non può aspettare troppo, altrimenti la parabola diventerebbe ingestibile. Il ragazzo con la polo tira fuori la lingua, debolezza che di solito si riservano solo gli studenti in grande difficoltà, ma è un momento troppo importante e comunque non se ne accorge nessuno. Con gli occhi fissi sulla palla, il ragazzo con la polo si sposta verso sinistra, inizia a preparare il rovescio e, come il suo avversario pochi secondi prima, va disperatamente in cerca del punto d’impatto esatto di cui ha bisogno per prolungare lo scambio di almeno un punto. La racchetta incontra la pallina ancora nel punto ideale, il ragazzo con la polo ci aggiunge un po’ del suo, perché ruota il polso destro appena appena, è una cosa che fanno lui e pochi altri, e quel minuscolo movimento delle sue articolazioni fa sì che la palla, colpita in maniera netta e potente, proceda per una traiettoria perfettamente perpendicolare alla rete, ossia quello che esce dalla racchetta del ragazzo con la polo è un rovescio lungolinea magistralmente eseguito.

Il ragazzo con la canotta non prova nemmeno a intercettare la palla, che lo supera, veloce e rettilinea, con una pulizia crudele e tuttavia giusta, come un giudice severo che suo malgrado deve applicare la legge, in questo caso quelle della fisica e della geometria. L’imputato non può far altro che accettare il verdetto, il punto è perso, mentre il pubblico, che per fortuna non è la giuria, fa partire un altro urlo, stavolta più forte. Si sa che da queste parti sono fedeli alla maestà e poco inclini alle rivoluzioni, ma la gioia smodata questa volta è comprensibile e perdonabile, ci saranno almeno altri due punti da vedere, con un po’ di fortuna ne vedranno almeno altri ventiquattro. Il ragazzo con la polo guarda la palla lambire la riga, cadere sul campo una volta e infine interrompere il suo viaggio, durato quattro colpi, sui teloni a fondo campo. È otto punti a otto, la partita non è ancora finita e le possibilità sono ancora molteplici. Non si piega sulle gambe quando capisce di aver vinto il punto, chiude solo la mano a pugno, troppo teso per essere sollevato, ancora troppo lontano dalla vittoria per poter esultare.

In tribuna, la fidanzata del ragazzo con la polo, salta su, incredula. Accanto a lei ci sono la madre, il padre, nonché l’agente del ragazzo, anch’essi sbalorditi dalla bellezza della difficoltà, e per pochi secondi dimentichi dell’etichetta, che raccomanderebbe una condotta più sobria. Poco distante, lo zio del ragazzo con la canotta, fedele al suo cappellino, si lascia andare ad un’imprecazione, ovviamente non pronunciata ma solo pensata, ci mancherebbe, da queste parti, ma è ben leggibile dal modo in cui rotea gli occhi. Non è tipo da cantar vittoria, da qualcuno avrà pur imparato il nipote, ma questa volta il traguardo sembrava vicino, così vicino, invece ci sono almeno altri due punti da giocare, e se andasse male, potrebbero essercene molti altri, tutti difficili, tutti bellissimi, tutti sudati.

Sono passanti quarantotto secondi da quella prima di servizio del ragazzo con la polo al passante di rovescio lungolinea, sempre suo. Non è successo niente, o quasi, tra il pubblico qualcuno ha sospirato, qualcuno ha maledetto il destino, altri hanno espresso il loro stupore e i loro tremori, in pochi sono rimasti impassibili, la gran parte dell’umanità non ha assistito a quello che stava succedendo. Eppure, in quella manciata di secondi, sembrava che gli occhi di tutto il mondo fossero fissi su questi due ragazzi che stavano giocando a tennis, l’uno con la polo, l’altro con la canotta.

Rafael Nadal Roger Federer Wimbledon 2008


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