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Felina

L’anno sta per finire e il tennista di periferia è in cerca di punti per salvare la classifica. 

L’anno sta per finire e il tennista di periferia è in cerca di punti per salvare la classifica. 

Il sole del primo pomeriggio, una balconata che dà sul verde della campagna romana fuori raccordo, macchiata solo dal rosso dei campi da tennis, l’assenza di rumori che non siano il pof pof e qualche risata proveniente da improbabili doppi di ottuagenari giocati da fermo con gli occhiali da sole: è la Roma di ottobre sui campi da tennis. 

Questa settimana sono di torneo, anzi di *tornei* visto che sono iscritto a due gare contemporaneamente per cercare di fare i punti e conservare la classifica. Fin qui la stagione è stata magra: tre vittorie e tre sconfitte. Avevo interrotto le gare un mese fa, dopo aver perso al terzo set una partita contro un seconda categoria che poi ha vinto quel torneo over 40. L’avessi battuto – ero avanti un break nel terzo set – la salvezza sarebbe stata una pratica già archiviata. Invece eccomi qui a girare Roma in cerca di punti. 

Arrivo in anticipo sull’orario di gioco al circolo, guardo chi c’è sui campi, soci vecchiotti che mi mostrano come sarà la mia vita a 75 anni, e altri seduti a guardarli, come me, sul balcone. Al tavolo vicino al mio, all’ordine del giorno c’è un tema caldo. 

“Non mi va più di essere viola, voglio diventare bionda”.
“Eh ma infatti ho visto che li stai schiarendo”. 
“Sì, adesso passo a rame, poi al biondo, non lo sono mai stata in vita mia, e poi alla nostra età possiamo permetterci di fare tutto”.
“Eh no”, interviene tranchant il maschio coraggioso.
“Quando una donna dice alla nostra età allora si capisce che è in declino, che non ci tiene più a sé stessa, questa è una brutta espressione”.
Ma lei, definitiva: “Questo non è il nostro caso”. 

I problemi della senilità

Questo scenario così rilassante e spensierato era lontano da quello del giorno prima, quando ho giocato il primo turno del torneo alle 9 del mattino. La nebbia agli irti colli avvolgeva i campi sistemati a valle e l’atmosfera era quella della partita di tennis più famosa della storia del cinema popolare. Ero partito benissimo: 7 punti a 0 per lui, un ragazzo classificato 3.4, non male. Giocava bene tutti i colpi, non era però irresistibile. Speravo che accusasse più di me la notte e forse è andata così, perché, dopo una mezz’ora di sofferenza, dal 3 pari ho allungato fino a vincere il set per 6-3. A quel punto lui ha sparacchiato praticamente ogni colpo, sotto lo sguardo di disapprovazione del padre, che intirizzito dal freddo assisteva stoicamente a una brutta partita senza storia, vedi a volte l’amore paterno. 

Finita la partita, alle 10 e 30, è uscito il sole.

Dopo un’oretta avevo finito, e quindi ho raggiunto un altro circolo lì vicino. Il mio avversario mi attende per le 10:30. Il giorno prima, in questo altro torneo, avevo superato il primo turno vincendo contro un pari classifica. Era un over come me, e dopo avergli dato un vantaggio di 3-0, ho iniziato a trovare il ritmo da fondo campo e ho chiuso per 6-4 6-0. Arrivo trafelato con qualche minuto di ritardo, mi scuso, iniziamo a giocare ma in realtà ho poco tempo per affrontare questo trentenne che capisco subito essere uno stoico pallettaro. Devo essere in centro con la famiglia a breve, mi ritiro sul 3-2 del primo set, mi dileguo rapidamente, il secondo torneo finisce qui. 

Il giorno dopo sono di nuovo sul campo otto del torneo nel quale sono rimasto in gara. Il campo è quello più lontano e più in basso in questa disposizione dei campi, che è una specie di piramide sociale. Questa volta il sole lo rende magnifico. L’avversario l’ho visto di sfuggita in un altro torneo, mentre lo vedevo giocare pensavo a quanto sarebbe stato rognoso giocarci contro ed eccoci qui. 

Lui è uno di quei giocatori che ti fanno giocare male, cioè che riescono ad annullare tutte le certezze consolidate del tuo gioco costringendoti a reinventare il tuo tennis, cioè a fare cose che non alleni mai, che non ti piace fare e che, se non sei in grado di farle, vaya con dios amigo. Ad esempio, la battuta: sono abituato a fronteggiare servizi veloci, seconde palle cariche, lui invece batte pianissimo, tagliando la palla con lo slice per farla rimbalzare corta e bassa, quindi sono costretto a rispondere ben dentro il campo ma sempre impattando la palla sotto la rete, devo prendere rischi o seguire a rete la risposta al servizio tanto sono vicino alla metà campo. Quando poi parte lo scambio, gioca il dritto altissimo, arrotato, non prende mai rischi, di rovescio gioca invece praticamente di piatto e non sbaglia mai. Poi, come se tutto ciò non fosse già un incubo per uno a cui piace giocare un tennis propositivo, È FOTTUTAMENTE MANCINO. 

Lo odio subito, insomma, gioca quel tennis parassitario e di rimessa e non capisco veramente dove possa trovare godimento quando colpisce la palla. Io amo i pallettari, eh, sogno reconditamente di essere un giocatore come Berlocq, uno capace di fare solo poche cose in campo e quindi puntare tutto su resistenza, strategia e forza.Però, ahimè, mi è capitato di saper giocare a tennis, so fare pure troppe cose per essere un mediocre terza categoria. Sbraccio col dritto arrotando la palla come Thiem, adoro colpire di rovescio in lungolinea a tutta forza, il backspin esce dalla racchetta tagliata e rasente ma non lo uso mai, ché mi piace troppo colpire in topspin anche quando la palla è bassa per cercare di comandare sempre il gioco. Ma lui invece? Si diverte durante gli scambi? Quando è felice dei suoi colpi? Quando un suo pallettone mi costringe a un goffo errore nel tentativo di non perdere campo?  Quando sbaglio l’ennesima risposta su una palla di servizio che ti aspetteresti da un under 12 scarso? Quando i suoi recuperi altissimi mi fanno sbagliare lo smash? Boh. Sta di fatto che il suo tennis basato sulla Schadenfreude lo porta subito sul 3-0: io non ci sto capendo nulla. 

Non mi arrabbio, sono tranquillo, al cambio campo lascio che lo sguardo si rilassi guardando senza mettere a fuoco quello che ho di fronte mentre a mente faccio una short list di problemi da risolvere per entrare partita. 

  1. Anzitutto devo capire che fare con questa battuta: serve troppo piano perché io possa solo rispondere e far partire lo scambio. Devo fare qualcosa in più; 
  2. Nel palleggio devo trovare la distanza giusta dalla palla prima di ogni impatto: è mancino, quando colpisce imprime topspin ma anche sidespin, e cioè effetto esterno. Sono abituato a calcolare le distanze su impatti dei destrorsi, adesso non basta compensare col braccio: devo colpire nel momento e nella posizione giusta, ecco perché molte palle mi stanno uscendo in larghezza e lunghezza; 
  3. Soffrire, soffrire e soffrire per fare ogni cazzo di punto, che lui non regala mai. Se ho voglia di fare questo, c’è match, altrimenti si perde facile. 
Il campo numero 8 di giorno: con questi colori è impossibile non avere voglia di soffrire in campo

È una giornata magnifica per giocare a tennis in questi tempi di pandemia, allora decido di spezzargli le gambe facendolo correre come un cazzo di criceto ubriaco. Vinco il primo game e recupero il break di svantaggio dopo che lui ha servito sul 40-15. In risposta, per ora, sto solamente facendo partire lo scambio, tanto lui non mi pressa da fondo campo, sento che i miei colpi cominciano a calibrarsi. Salvo due palle per andare sotto 2-4 e lo aggancio sul 3-3. Qui, alla quinta palla break, dopo un game di oltre dieci minuti, passo in vantaggio e mi faccio sentire con “Forza!”: voglio spaventarlo. Lui continua a correre, comincia ad innervosirsi perché capisce che il suo tennis palla di là e speriamo che lui sbagli lo porterà alla sconfitta. Perdo malamente il break di vantaggio ma poi dal 4 pari chiudo 6-4 in sicurezza. Lui oramai è nervoso, nel secondo set vado subito in vantaggio per 2-1 con un break, annullo una palla per il 2-2 e allungo sul 3-1. Sto per andare sul 4-1 quando lui sceglie di fermarsi, “sennò spacco la racchetta”. “Eh sì, allora è meglio fermarsi qui” gli dico. Saluta e lascia il campo rapidamente. 

Il giorno dopo, alla stessa ora, sto di nuovo perdendo per 3-0. È la semifinale del torneo, il mio avversario è uno con un gran fisico, leggero, muscoloso, sa fare bene praticamente tutto e capisco subito che se voglio vincere devo fare una gran partita. Quando capisco questo concetto ho già perso il primo set per 6-2. Non sto giocando bene, mi sento molto sluggish, come direbbe Murray, rallentato. Non è la tensione, non la sento affatto, non ho buone sensazioni sugli impatti, come se arrivassi sempre in leggero ritardo, come se fisicamente non stessi a posto. Può capitare, specie a questa età, di essere discontinui da un giorno all’altro senza che sia successo niente, infatti non mi arrabbio e la prendo con filosofia, diciamo. Ad un certo punto sono sotto 2-6 2-5, penso che sarebbe un punteggio troppo severo per me, che posso fare di meglio, che questa contesa ancora non è stata mai tale, mi accendo improvvisamente e riesco ad accorciare sul 4-5. Che diventa 5 pari dopo un turno di servizio finalmente tranquillo.

Sto battendo bene, dritto e rovescio ora sono colpi ficcanti e affidabili. Mi compiaccio di come riesco ad alzare il livello del mio tennis quando c’è il torneo, quando in teoria sarebbe più difficile farlo. Mi ero allenato nei giorni precedenti e pur non giocando benissimo avevo buone sensazioni, mi dicevo che nei match con i punti in palio sarebbe stato diverso, che la tensione mi avrebbe aiutato a tenere dentro certe palle o non fare doppi falli per lanci di palla sbagliati per via della poca concentrazione. Lo sentivo dentro di me, io che in allenamento sono sempre distratto, e così è adesso.  

Colline romane con torri e circoli tennis

Arriviamo al tiebreak, ora siamo in ballo. Ho trovato un passepartout per la serratura del suo gioco, forcing sul rovescio e poi cambio di direzione sul dritto, magari dandogli una palla che rimbalzi anche corta oltre che laterale, che lunga se l’aspettano un po’ tutti quando cambi direzione di gioco. Aspettare l’occasione buona per “spostare la palla” insomma, così dicono i coach. Arrivo a 6-4, due set point: sul primo butto un dritto banale a rete (com’era? il tennis robotico, ma certamente), sul secondo lui chiude un egregio serve and volley con una stop volley. Me cojoni. Si porta sul 7-6, match point, ma il mio forcing di dritto sul suo rovescio lo costringe all’errore. Sale di nuovo 8-7, serve lui, segue la prima a rete, rispondo meglio col rovescio e la sua volée finisce fuori ma non di molto. Vado 9 a 8, terzo set point e inizia uno scambio molto lungo.

Il punto è importante, e dura talmente tanto che entrambi abbiamo tempo per pensare a cosa fare, il palleggio è regolare ma l’iniziativa è sempre mia, non posso prendere rischi eccessivi, devo essere ordinato perché me la sono già vista brutta. Ad un certo punto lui accorcia col back di rovescio dopo l’ennesimo dritto in spinta da quella parte, io non ho scelta: devo seguire a rete dopo l’approccio. Vado, lui mi rimanda indietro un rovescio in back che cade subito dopo la rete dalla parte della mia volée di dritto. A questo punto io mi farei pure il segno della croce per una conversione tanto tardiva quanto falsa se servisse a fare punto, invece neanche penso a quello che sto facendo mentre avanzo verso la palla. Forse è proprio perché smetto di pensare mentre corro in avanti che le gambe non si impuntano impanicate quando devo colpire a rete. La palla arriva da me quasi a goccia, non ho altra scelta che giocare una stop volley, che mi riesce come fece Paire quella volta contro Simon: il piatto corde della mia Wilson guarda il cielo, il polso attutisce l’impatto come un elastico, la palla muore qualche centimetro oltre la rete, oltre la vita. Vado al terzo set. Lui mi fa i complimenti. 

Deciderà tutto il super tiebreak, non ne ho mai giocato uno in torneo. Mi dico solo di stare calmo anche se andrò sotto nel punteggio, che arrivare a dieci è lunga. Vado avanti io 4-1, ma sbaglio un paio di punti facili e lui rimonta fino ad andare avanti 5-4. A questo punto mi dico una sola parola: goldfish.

Perché la dico? Di seguito un dialogo da Ted Lasso, serie tv USA che narra la storia di un allenatore di football americano che va ad allenare una squadra di Premier League, Ted non sa niente di calcio ma è molto intelligente e bravo a capire le persone.

“You know which is the happiest animal on earth?”
“No”.
“It’s the goldfish”.
“You know why?”
“No”.
“Because he has a three-seconds memory”.

Così Ted Lasso motiva un giocatore che rimugina troppo sui suoi errori.

Con questa parola cancello i quattro punti di fila persi e ricomincio a chiuderlo nell’angolo del suo rovescio per poi fallo correre dall’altra parte. Vedo che l’avversario ha perso le sue certezze, lo percepisco in questa guerra di emozioni sopite e urlate che è una partita di tennis, ma d’altronde lui aveva quasi vinto. Pareggio, vado avanti per 7-5 che diventa 8-5 dopo un gran lungolinea di dritto. Finalmente arriva un suo errore, un dritto largo, una roba che non s’era mai vista fin qui. Sul 9-6 lo inchiodo ancora una volta sul suo rovescio, il suo back stavolta finisce a rete: è finale. Ora posso andare a prendere Itaca, il cucciolo di golden retriever che oggi compie due mesi. La porto a casa così potrà unirsi ai sobri festeggiamenti. 

Serate romane sui campi da tennis a ottobre

In finale c’è un ragazzino, ti pareva. Non è uno di quelli che buttano via le partite alla prima cosa che gli va storta, me ne accorgo anche dal fatto che chiama il punteggio dopo ogni quindici, all’inizio dei game e anche alla fine di questi, si incoraggia ad ogni punto come i professionisti. Lui è uno super impostato, ha 17 anni, non è un fenomeno, di rovescio rimette senza sbagliare mai, però ha un bel dritto e un ottimo servizio. Nel primo set serve tipo Opelka, fra prime e seconde non riesco mai a rispondere e mi prendo un 6-1 ineccepibile in manco mezz’ora. 

Sono rilassato, non sto giocando bene ma non riesco a darmi troppe colpe. Di sera accuso un leggero ritardo di lettura della palla, lui gioca molto veloce, non mi dà tempo di compensare, specie in battuta. Quando gli scambi partono riesco anche a vincerli, ma pure lui è capace di chiudere da fondo campo col dritto arrotato. Non demordo, il pensiero ora è vincere il primo game nel secondo set. Lo faccio, poi finalmente riesco a vincere un game quando batte lui, che è un po’ calato in battuta mentre io sono cresciuto anche in risposta e riesco a fargli male col dritto. Vinco un game chiudendo un dritto a sventaglio al salto, tipo Thiem, e colpendone un altro con la palla praticamente per terra facendo un flick of the wrist, un colpo col polso, che si rivela un vincente assurdo in quanto a difficoltà. Mi fa i complimenti. Adesso sto giocando bene. Potrei andare avanti 3 a 2 ma perdo un game da 30-0, questo perché mi rilasso un attimo, un errore che lui non fa mai. Lo riaggancio sul 3 pari ma poi perdo il game di nuovo in battuta. Lui va sul 5-3, tocca di nuovo a me. 

Adesso c’è match, lui ha un po’ di paura e si incoraggia con voce più forte. C’è il papà a incitarlo appena va sotto di un quindici. Vince tre punti di fila dal 30-0 per me e arriva a match point, una prima palla robusta mi salva. Parte lo scambio sul 40 pari, vado in forcing sul suo rovescio, che quando è colpito coperto è lento e lungo, infatti preferisce giocarlo in back. Teniamo entrambi su quella diagonale finché non indirizza un rovescio in back nell’angolo estremo alla mia sinistra, la palla rimbalza a pochi centimetri dall’incrocio delle righe: non posso girarmi per il dritto, la palla è troppo profonda. Allora vado per l’hot shot: ho i piedi fuori dal campo sia in larghezza che in lunghezza, mentre vedo la palla arrivare decido dove indirizzarla, è l’angolo alla sua destra, ci saranno al massimo dieci centimetri di campo dove far rimbalzare la palla, che in lungolinea viaggerà sempre fuori dal campo per rientrarvi proprio in quei dieci centimetri, se ho fatto bene i calcoli. 

Quando la palla rimbalza io ho già le spalle girate e il piede destro parallelo alla riga di fondo, sono nella posizione giusta, il tronco ruota e la sbracciata è violenta, seguo con lo sguardo la palla che si avvicina sempre di più alla riga di fondo ma rimanendo sempre fuori dalla riga esterna, quando entra nel suo campo, lo fa in quei dieci centimetri. Vale la pena vivere per tirare un rovescio così. Lui sgrana gli occhi. A fine partita, un game dopo, la prima cosa che mi dice è “Ma che rovescio hai tirato sul 40 pari? Era pazzesco”. 

Esulta dopo un mio dritto vincente, che mi avrebbe dato il 40 pari con lui in battuta e invece non è tale per via di qualche centimetro, lui ora è felice. Il papà corre per la foto con la coppa in mano, “Così pure mamma è felice”. Il ragazzo è ciarliero, mi fa molte domande, ha un bel sorriso, mi fa simpatia, di solito questi pischelli non hanno questa chiacchiera così disinvolta con chi, come me, potrebbe essergli padre. Io sono un po’ deluso, però non ho molto da rimproverarmi, la salvezza dovrebbe essere acquisita con i punti accumulati nonostante la sconfitta. Prendo la coppa, saluto l’avversario che rimane ancora in campo a chiacchierare con chiunque tanto è felice, e vado a casa. Quando dico a mio figlio che ho perso un po’ ci rimane male, poi vede la coppa e mi fa: “Ammazza, hai perso e ti hanno dato pure la coppa!”. Samu sorride, a lui basta così, e allora va bene pure a me. 


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